9 Aprile 2024

Obbligo di vigilanza dei sindaci: non è sufficiente un controllo meramente “formale” dell’attività gestoria

di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Cassazione civile, Sezione I, Ordinanza n. 2350 del 24 gennaio 2024.

Parole chiave: responsabilità dei sindaci – controllo – diligenza – vigilanza – attività gestoria – sindaci – amministratori – società – operazioni gestorie – razionalità economica – patrimonio sociale

Massima: “I sindaci non esauriscono l’adempimento dei propri compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare ogni altro atto che, in relazione alle circostanze del caso (e, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione), fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie”.

Disposizioni applicate: artt. 1460, 2043 e 2407 c.c.

Il giudice delegato al fallimento di una Srl ha respinto la domanda di ammissione al passivo proposta dall’ex sindaco della società fallita rispetto al credito al compenso dallo stesso maturato, e ciò “per mancanza di prova della attività, della pattuizione del compenso richiesto e comunque non risultando una utile attività di vigilanza sulla società, da tempo in crisi”.

L’ex sindaco ha proposto opposizione avverso tale decreto innanzi al Tribunale. Quest’ultimo ha accolto l’opposizione e, per l’effetto, ha ammesso l’istante al passivo del fallimento, ritenendo infondata l’eccezione con la quale il fallimento ha dedotto la “carenza di vigilanza” da parte dell’opponente.

Il Fallimento ha chiesto la cassazione del decreto (i) sostenendo che i sindaci non abbiano adottato le necessarie iniziative a fronte delle operazioni gestorie compiute dagli amministratori, prima facie contrarie al principio di corretta amministrazione e ai criteri di razionalità economica che consentono la conservazione del patrimonio sociale, e (ii) censurando il decreto impugnato nella parte in cui il Tribunale ha respinto l’eccezione d’inadempimento sollevata dal Fallimento.

Chiamata a decidere, la Suprema Corte ha affermato che:

(a) ove il preteso creditore (come il sindaco della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali, con, appunto, il solo onere di allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art. 2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.);

(b) i sindaci  non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019);

(c) se è pur vero che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d’inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è tuttavia necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2°, c.c. non richiede, del resto, l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo, piuttosto, sufficiente che gli stessi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere, ove possibile, ai sensi dell’art. 2409 c.c. (cfr. Cass. n. 32397 del 2019; Cass. n. 16314 del 2017; Cass. n. 13517 del 2014);

(d) né del resto può rilevare il fatto che il collegio sindacale abbia in tutto o in parte ignorato le operazioni gestorie compiute dagli amministratori; la colpa, infatti, può consistere tanto in un difetto di conoscenza, quanto in un difetto di attivazione.

Alla luce di quanto sopra sposto, la Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato, rinviando al Tribunale di Como per un nuovo esame.

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