29 Aprile 2025

Compenso, inadempimento e responsabilità dei sindaci di società

di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDF

Corte di cassazione, 27 dicembre 2024, n. 34671, Pres. Ferro, Rel. Fidanzia

Parole chiave

Collegio sindacale – Retribuzione – Eccezione di inadempimento

Massima: “In tema di retribuzione dei sindaci di società, ove il sindaco di una società fallita proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito al compenso maturato del quale abbia chiesto l’ammissione, il fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai proprio obblighi contrattuali”.

Disposizioni applicate

Art. 2402 c.c. (retribuzione), art. 2407 c.c. (responsabilità), art. 1460 c.c. (eccezione d’inadempimento)

CASO

Due componenti di uno studio associato svolgono la funzione di sindaco di una società per azioni. La s.p.a. viene dichiarata fallita e lo studio fa domanda di ammissione al passivo per il compenso ancora dovuto (18.609 euro). L’istanza di ammissione viene rigettata cosicché lo studio fa opposizione allo stato passivo. Anche il Tribunale di Brescia segue però l’indicazione del giudice delegato e non ammette il credito. Lo studio associato si rivolge allora alla Corte di cassazione.

Il Tribunale di Brescia aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo, accogliendo un’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela ai sensi dell’art. 1460 c.c. Il curatore aveva ritenuto che il credito non fosse degno di ammissione in quanto i sindaci avevano lavorato male, non sollevando alcuna obiezione contro un’operazione societaria. La s.p.a. aveva ceduto una partecipazione in data 29 novembre 2019, iscrivendo come posta attiva del bilancio l’importo di 1.900.023 euro, salvo poi – a distanza di due soli mesi – ricomprare la partecipazione. In sostanza, si era creata una mera apparenza di reale liquidità mediante la temporanea vendita della partecipazione.

SOLUZIONE

La Corte di cassazione conferma il rigetto dell’opposizione e conferma dunque che lo studio associato non ha diritto al compenso per l’attività svolta da due suoi componenti in qualità di sindaci. La Suprema Corte osserva che i sindaci hanno l’obbligo di indicare nella nota integrativa al bilancio i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio. Alla data di approvazione del bilancio (30 ottobre 2020) si era già verificato l’evento della retrocessione delle azioni che aveva completamente azzerato la portata della posta attiva. I sindaci avevano omesso qualsiasi rilievo in merito al riacquisto della partecipazione.

QUESTIONI

Le questioni affrontate nell’ordinanza della Corte di cassazione in commento stanno a cavallo tra il tema del compenso dei sindaci e quello della loro responsabilità. La prima base normativa da cui partire è costituita dall’art. 2402 c.c., a mente del quale “la retribuzione annuale dei sindaci … deve essere determinata dall’assemblea all’atto della nomina per l’intero periodo di durata del loro ufficio”. Da questa disposizione emerge che i sindaci hanno diritto al compenso, e sarebbe del resto ben difficile sostenere il contrario, data la natura professionale dell’attività da essi svolta.

Sennonché i sindaci non hanno solo diritti (al compenso), ma hanno anche doveri e – in caso di violazione dei doveri – possono essere tenuti a risarcire il danno. La base normativa di questi principi è l’art. 2407 comma 1 c.c.: “i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico”. Il successivo comma 2 stabilisce che i sindaci “sono solidalmente responsabili con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”. Attenzione che quella riportata è la versione che è stata applicata al caso di specie, oggi non più in vigore a seguito della legge n. 35/2025.

La Corte di cassazione osserva che, ove il sindaco di una società fallita proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito al compenso maturato del quale abbia chiesto l’ammissione, il fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o di inesatto adempimento.

I poteri dei sindaci non si esauriscono nel mero burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, continua la Suprema Corte, ma comportano l’obbligo di adottare ogni altro atto che, in relazione alle circostanze del caso, sia utile o necessario ai fini di un’effettiva ed efficace e non meramente formale vigilanza sull’amministrazione della società. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci è configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali.

Nel caso di specie, come accennato, era successo che – in prossimità della chiusura dell’esercizio 2019 (fine novembre 2019) – la società poi fallita aveva ceduto un pacchetto azionario, così iscrivendo a conto economico la posta attiva di 1.900.023 euro, che le aveva consentito di chiudere l’anno sociale con l’esposizione di un significativo utile, salvo poi, a distanza di soli due mesi, deliberare (alla seduta del 28 febbraio 2020, cui erano presenti i componenti del collegio sindacale) un percorso di riacquisizione del medesimo pacchetto azionario, conclusosi con il riacquisto del 2 luglio 2020, il tutto senza che, dal punto di vista finanziario, fosse intervenuta alcuna movimentazione in entrata o in uscita. La disposizione violata dai sindaci è il comma 22-quater dell’art. 2427 c.c., a mente del quale la nota integrativa deve indicare anche “la natura e l’effetto patrimoniale, finanziario ed economico dei fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio”.

Ma come si quantifica il danno patito dalla società per effetto dell’inadempimento dei sindaci? L’ordinanza della Corte di cassazione osserva che il giudice è tenuto a procedere a una valutazione dei comportamenti delle parti, tenendo conto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute. Nel caso di specie, il Tribunale di Brescia, nel negare l’ammissione al passivo di qualsiasi credito, ha ritenuto che l’inesatto adempimento dei sindaci non abilitasse gli stessi a chiedere alcun compenso. In altri casi più lievi potrebbe capitare che il giudice neghi solo una parte del compenso, mentre in altri caso più gravi potrebbe succedere che il giudice – oltre a negare il compenso – condanni i sindaci a risarcire il danno ulteriore.

La recentissima legge n. 35/2025 ha riformato la tematica della responsabilità dei sindaci, prevedendo dei limiti quantitativi. In dettaglio, la nuova versione del comma 2 dell’art. 2407 c.c. prevede che “al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo … i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società … nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito”.

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