16 Marzo 2021

Il reato di infedeltà patrimoniale è integrato anche se la condotta consiste nel compimento di atti a rilevanza civilista astrattamente leciti

di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDF

Cass. pen. Sez. VI, sentenza (ud. 1 ottobre 2020) 16 ottobre 2020, n. 28831.

Parole chiave: Società – Infedeltà patrimoniale – Estradizione

Massima: “La condotta di infedeltà patrimoniale richiamata dall’art. 2634 c.c. si materializza in atti di disposizione, in sé astrattamente leciti, ma che assumono una rilevanza penale quando chi li compie si trovi in una posizione antagonista rispetto a quella della società, quale portatore di un interesse extrasociale.”

Disposizioni applicate: artt. 2634, 2639 c.c.

Il presente caso riguarda la richiesta di estradizione in uno Stato europeo di un cittadino italiano accusato del reato di infedeltà patrimoniale, qualificato ai sensi degli artt. 2634 e 2639 c.c.. Tale soggetto, infatti, abusando della propria qualità di direttore di una società privata e senza il permesso dei soci, è stato accusato di aver concluso accordi per la distribuzione di attrezzatture minerarie, causando danni economici alla società.

La Suprema Corte coglie così l’occasione di fare il punto sul reato in parola, nonché per precisare se la Convenzione europea di estradizione del 1957 richieda che il giudice effettui un’autonoma valutazione sul compendio indiziario offerto dallo Stato richiedente.

Quanto all’art. 2634 c.c., la Cassazione ribadisce che il reato di infedeltà patrimoniale sanziona il conflitto di interessi nel compimento da parte dell’amministratore di una società (o di un soggetto comunque titolare di tale funzione ai sensi dell’art. 2639 c.c.) di atti di disposizione, idonei a cagionare un danno per la stessa società. Atti di disposizione del patrimonio sociale che ben possono avere valenza civilista (nel caso di specie, si sono stipulati una serie di contratti di vendita, deposito in sicurezza e cessione).

Il reato ex art. 2634 c.c., infatti, non esclude la valenza civilista degli atti di disposizione (di per sé astrattamente leciti); tali atti possono però “colorarsi” (per riprendere l’espressione utilizzata dalla Suprema Corte) di rilevanza penale quando chi li compie sia portatore di un interesse extrasociale e antagonista rispetto a quello della società, tale per cui l’agente assume tipicamente, direttamente o indirettamente, il ruolo di controparte della società rispetto allo svolgimento di attività sociale e/o economica in posizione concorrenziale con l’ente o nell’utilizzazione a profitto proprio di dati conoscitivi e di fatti appresi nell’esercizio delle funzioni sociali (in proposito, la Suprema Corte cita una propria precedente sentenza: Cass. pen., 26 novembre 2019 n. 50795).

Nel caso in analisi, la Cassazione rileva come l’ipotesi di infedeltà patrimoniale fosse consistita nell’aver fatto acquistare alla società beni, che il ricorrente avrebbe poi dirottato su altre società private che li hanno commercializzati per proprio profitto, a discapito quindi della società da lui amministrata.

Quanto, invece, all’interpretazione della Convenzione europea di estradizione, il ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia effettuato un’autonoma valutazione del compendio accusatorio fornito dalle autorità straniere richiedenti. In proposito, la Suprema Corte non ritiene che il giudice italiano non sia tenuto a valutare autonomamente la gravità indiziaria ai sensi della suddetta Convenzione.

La Convenzione europea di estradizione, infatti, non prevede che avvenga un’autonoma valutazione del compendio indiziario da parte del giudice dello Stato richiesto nell’ipotesi di estradizione di tipo processuale. Perciò, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che l’autorità giudiziaria italiana, se da un lato non debba limitarsi ad un controllo meramente formale della documentazione allegata alla domanda di consegna, sia dall’altro tenuta soltanto ad accertare che in essa risultino indicate le ragioni per le quali, nella prospettiva dello Stato richiedente, è stata ritenuta probabile la commissione del reato ascritto all’incolpato, senza alcuna possibilità quindi di un esame diretto delle fonti di prova (cfr. in proposito, Cass. pen., 25 settembre 2019, n. 40552).

Di conseguenza, il giudice italiano nell’accogliere le richieste di estradizione applica correttamente la Convenzione in parola laddove, lette e richiamate le fonti di prova indicate ed illustrate nella domanda estradizionale, ritenga che la richiesta della consegna dell’estradando si fondi su comprovate ragioni. Devono quindi ritenersi precluse tutte quelle critiche del ricorrente che lamentano la omessa diretta valutazione del compendio indiziario da parte dell’autorità italiana e il mancato inoltro da parte dello Stato richiedente degli elementi indiziari, come anche quelle che si spingono a sindacare il significato probatorio delle fonti di prova raccolte.

Al di là delle questioni di diritto sopra evidenziate, nel caso specifico, la Cassazione ha però annullato con rinvio la sentenza impugnata alla luce delle documentate violazioni delle condizioni carcerarie riscontrate dalla CEDU nello Stato richiedente e poiché la Corte territoriale non ha tenuto conto della possibilità che all’estradando potesse essere comminato un trattamento carcerario più gravoso in ragione della sua etnia (alla luce di un conflitto in corso nello Stato richiedente).