16 Marzo 2021

La dichiarazione del fiduciario può essere contenuta nel testamento

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. Civ., sez. II, Ord., 26 novembre 2020, n. 26988 – GORJAN– Presidente, GIANNACCARI- Relatore

 (C.c., art. 602 c.c.)

“La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile, può essere contenuta anche in un testamento; essa non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della “contra se pronuntiatio”, dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.”

CASO

L’attrice S.M.G. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma B.H. per sentire dichiarare lo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione della sorella S.R., che aveva disposto dei propri beni con testamento. Il convivente in vita della de cuius B.H., costituitosi in giudizio, deduceva l’esistenza di un testamento integrativo e posteriore rispetto al precedente, nel quale la testatrice dava atto che l’immobile, di cui aveva disposto nella precedente scheda testamentaria, apparteneva per il 50% al B. in quanto era stato ristrutturato con gli apporti di entrambi i conviventi. Secondo il convenuto, nella scrittura “integrativa” si affermava che l’appartamento era solo formalmente intestato alla de cuius, che era invece proprietaria del 50%, e pertanto richiedeva, riconosciuta la natura di disposizione testamentaria allo scritto, che venissero rideterminate le quote dello stesso e dell’attrice funzionali allo scioglimento della comunione. Il Tribunale di Roma negava la natura di scheda testamentaria alla scrittura, mentre la Corte d’Appello, a contrario, affermava che la scrittura successiva fosse integrativa del primo testamento e contenesse delle disposizioni a valere post mortem. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.M.G. sulla base di un unico motivo.

SOLUZIONE

Con l’unico motivo di ricorso, la sorella della testatrice, S.M.G censurava la sentenza impugnata per aver attribuito valore di testamento alla scrittura nella quale la de cuius riconosceva di essere intestataria dell’appartamento nella misura del 50%. Secondo la ricorrente mancava qualsiasi riferimento alle disposizioni citate che vi attribuissero valore post mortem. A sostegno di tale tesi, la sorella della de cuius ricordava che in sede di pubblicazione del testamento era stato proprio il convivente della defunta a dichiarare che il documento avesse contenuto testamentario. La Corte di Cassazione accoglie il motivo di doglianza, sostenendo, tuttavia, che la Corte d’Appello abbia giustamente, sulla base dell’interpretazione del documento, ravvisato, una serie di elementi convergenti nel senso dell’individuazione di una volontà di disporre per il futuro. Tale convincimento era stato tratto in primis dall’incipit iniziale del documento “nel pieno possesso delle sue facoltà“, espressione che generalmente viene associata alla redazione delle ultime volontà del testatore. Tuttavia, all’ulteriore espressione, contenuta nel documento, i giudici d’appello avrebbero dato un’erronea interpretazione facendo conseguire l’attribuzione della comproprietà dell’immobile al convivente e non l’esistenza di un patto fiduciario avente ad oggetto l’appartamento. I giudici di legittimità, richiamando la sentenza del 06 marzo 2020, n. 6459 le Sezioni Unite, hanno qualificato tale dichiarazione unilaterale in un patto fiduciario con oggetto immobiliare. Secondo l’orientamento tracciato dalle Sezioni Unite, sulla validità dell’intestazione fiduciaria, il patto fiduciario, riconducibile al mandato senza rappresentanza, pur avendo ad oggetto beni immobili, può essere validamente contenuto in una dichiarazione unilaterale redatta per iscritto, con cui il fiduciario si impegna a trasferire determinati beni al fiduciante, in attuazione esplicita del pactum fiduciae. Nell’articolata ricostruzione fatta dalle Sezioni Unite si osserva che la dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario. Di conseguenza, nel caso di specie, l’atto posteriore al testamento, pur avendo contenuto per il tempo in cui il fiduciario avrebbe cessato di vivere, non può condurre, come erroneamente sostenuto dalla Corte d’Appello, all’affermazione che “il 50% dell’immobile appartenesse al B.” in quanto la dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, anche se contenuta in un atto mortis causa, non costituisce autonoma fonte di obbligazione. Alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite, fatti propri dalla pronuncia in commento, la dichiarazione posteriore resa dal testatore ha effetto confermativo del patto fiduciario ed esonera il fiduciante solamente dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che viene presunto iuris tantum. Pertanto, la Cassazione ritiene che il bene rimanga nella proprietà del de cuius ma il fiduciante, sulla base dell’atto ricognitivo del pactum fiduciae, si avvale della presunzione iuris tantum. In questo modo, si verifica un’inversione dell’onere della prova ed il fiduciario o il suo avente causa, assume l’onere di dare l’eventuale prova contraria dell’esistenza, validità, efficacia, esigibilità o non avvenuta estinzione del pactum. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, rinvia alla Corte d’Appello in diversa composizione che dovrà conformarsi al seguente principio di diritto: “La dichiarazione unilaterale scritta dal fiduciario, ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile, può essere contenuta anche in un testamento; essa non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della “contra se pronuntiatio”, dell’onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria”.

QUESTIONI

L’ordinanza in commento offre sicuramente un interessante spunto, sulla scia dell’orientamento delle Sezioni Unite, sul tema del patto fiduciario avente oggetto immobiliare. Tuttavia, la prima questione che il Tribunale ha affrontato verteva in primis sulla qualificazione giuridica della contestata scrittura lasciata dalla testatrice successivamente al (primo) testamento. Come osservato dalla Corte di Cassazione, prima di affrontare le questioni relative all’interpretazione della volontà testamentaria, il prius logico necessario è qualificare l’atto quale mortis causa. Nel caso di specie la Corte d’Appello ha riconosciuto la scrittura come testamento olografo. Sul punto, per inquadrare una scrittura privata come testamento olografo, non sembra essere sufficiente verificare la sussistenza dei requisiti di forma individuati dall’art. 602 c.c., ma si dovrà indagare ed accertare un’oggettiva riconoscibilità, nella scrittura stessa, della volontà attuale dell’autore di compiere un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo in cui avrà cessato di vivere (Cass. 28 maggio 2012, n. 8490). Nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che per decidere se un documento abbia i requisiti intrinseci di un testamento olografo, occorre accertare se l’estensore abbia avuto la volontà di creare quel documento che si qualifica come testamento: in altre parole è necessario che emerga una volontà attuale (Cass., 12 ottobre 1957, n. 3785). Accanto ai requisiti previsti dalla norma sopracitata, la giurisprudenza in commento ricorda come il testamento possa contenere negozi diversi con contenuto patrimoniale, che produrranno effetto secondo le regole del negozio che si intende compiere: si tratta di negozi, aventi contenuto tipico o atipico, che hanno efficacia negli atti inter vivos come, a titolo esemplificativo, il riconoscimento di debito o la rinuncia all’esercizio di un diritto. Le disposizioni a contenuto patrimoniale non sono le uniche ad essere previste. Infatti, ai sensi dell’art. 587 c.p.c., comma 2, si ammette che il testamento possa contenere disposizioni non patrimoniali, con l’unico limite della “meritevolezza” degli interessi perseguiti. In dottrina (G. Capozzi, Successioni e Donazioni, I, Giuffrè, 2009, p. 818) si suole dividere le disposizioni di carattere non patrimoniale in disposizioni tipiche, previste dal legislatore, ed atipiche, non espressamente previste. Nel primo caso rientrerebbero, a mero titolo esemplificativo, le disposizioni quali il riconoscimento del figlio naturale, la designazione di soggetti chiamati a prendersi cura di soggetti incapaci o le disposizioni circa la propria sepoltura o, ancora, circa la volontà di essere cremati. Con le disposizioni non patrimoniali atipiche si riconosce l’operatività di disposizioni non espressamente contemplate dal legislatore ma di cui si riconosce la validità quando contenute in un testamento (Per approfondimento si veda, CNN, Studio 114-2020/C, Il contenuto atipico del testamento – V. Barba). Tali considerazioni mostrano come la causa testamentaria sia riconosciuta dal legislatore con grande ampiezza allo scopo di consentire ai singoli di autoregolamentare i propri interessi e rapporti post mortem. A conferma di questa apertura, ripresa dalla sentenza in commento, la Suprema Corte di cassazione, con una netta inversione rispetto al pregresso orientamento, ha persino affermato “la validità della clausola di diseredazione meramente negativa inserita in un testamento, in forza della quale il testatore manifesta la propria volontà di escludere dalla propria successione uno o più eredi legittimi non legittimari, senza che la stessa sia accompagnata da disposizioni attributive a favore di altri soggetti” (Cass., 25 maggio 2012, n. 8352). Tale apertura della “causa testamentaria” necessita di essere bilanciata individuando quei requisiti minimi di un negozio mortis causa, essenziali per trarre la certezza che nella scrittura l’autore abbia voluto porre in essere una disposizione di ultima volontà, anche allo scopo di distinguerlo da una donazione o da un riconoscimento di debito o da altri atti unilaterali a contenuto negoziale. Dall’ordinanza in esame, dalla quale si ottiene una valida analisi relativamente al patto fiduciario, invero non si desumono inequivocamente i requisiti minimi che hanno preso in considerazione i giudici di legittimità per valutare se il documento sia effettivamente un testamento.

Si riscontra, però, sul tema, una conferma da parte della Cassazione sull’ampiezza della “causa testamentaria”, e così un atteggiamento di apertura nei confronti di documenti che, pur senza dettare disposizioni attributive, regolino in qualche modo la realtà giuridica post mortem, e questo anche nel senso più puro di ricognizione, e cioè di disvelamento della verità giuridica che sta alla radice del patto fiduciario.

In conclusione, nel caso in esame la Cassazione pur condividendo con la corte di merito la natura post mortem della dichiarazione, se ne distacca affermando che nel documento contestato vi sia un riconoscimento dell’esistenza di un patto fiduciario. Tale patto fiduciario può essere eventualmente inserito nella scheda testamentaria alla luce dell’ampiezza della “causa testamentaria” e per l’ammissibilità, affermata dalle Sezioni Unite, della dichiarazione scritta unilaterale del fiduciario ricognitiva dell’intestazione fiduciaria dell’immobile. L’esistenza di tale dichiarazione, resa dal testatore, ha effetto confermativo del patto fiduciario ed esonererà il fiduciante dall’onere di provare il rapporto fondamentale, presunto iuris tantum. Con l’inversione dell’onere della prova, sarà il fiduciario, o il suo avente causa, al fine di contrastare il contenuto di tale dichiarazione, ad assume l’onere dell’eventuale prova contraria dell’esistenza, validità, efficacia, esigibilità o non avvenuta estinzione del pactum.

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