6 Maggio 2025

La puntuale ricostruzione dell’asse ereditario per l’esercizio dell’azione di riduzione

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Corte d’Appello di Roma, Sentenza n. 559 del 28/01/2025

Successioni mortis causa – Successione necessaria – Lesione della quota di riserva dei legittimari – Reintegrazione della quota di riserva – Azione di riduzione – In genere – Onere di allegazione a carico dell’attore – Conseguenze – Rigetto della domanda – Esclusione – Fondamento

* Poiché la causa petendi dell’azione di riduzione presuppone, oltre all’allegazione della qualità di legittimario, la specificazione dei beni che costituiscono il relictum e l’individuazione delle diverse attribuzioni che invece costituirebbero il donatum, la precisazione di tali elementi si riverbera con immediatezza sul contenuto dell’atto di citazione, di talché eventuali omissioni o imprecisioni potrebbero dar vita ad un’ipotesi di nullità della citazione ex art. 164 c.p.c., in relazione al requisito di cui al n. 4 dell’art. 163 c.p.c…

Deve, tuttavia, ritenersi che l’onere attoreo sia soddisfatto richiamando la misura della sua quota di legittima, quale dettata dalla legge, e assumendo che per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto allo stesso titolo, residui una lesione.

Non può imporsi anche che la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione, sia ai fini della precisazione del relictum che del donatum, e che l’individuazione della lesione debba avvenire in termini matematici con una sua precisa indicazione numerica.

* Massima redazionale

Disposizioni applicate

Articoli 540, 553, 564 cod. civ.

[1] In seguito al decesso della propria madre, Tizio conveniva in giudizio la sorella Caia, lamentando di essere stato leso nella propria quota di legittima per effetto del testamento pubblico del proprio genitore.

Il Giudice di primo grado rigettava la domanda dell’attore ritenendo che non avesse assolto all’onere di determinare, e meno che mai con esattezza, sia il valore della massa ereditaria che il valore della quota di legittima asseritamente violata dal testatore.

Avverso tale sentenza, Tizio proponeva appello deducendo l’erroneità della sentenza di primo grado atteso che lo stesso era stato nominato erede nella sola quota di legittima e che, non avendo ricevuto alcuna donazione, alcun legato o altra attribuzione patrimoniale – mentre l’unico coerede aveva beneficiato della quota di legittima, della disponibile e di un prelegato – ne sarebbe conseguita la certa lesione della legittima. Evidenziava, inoltre, come nell’atto di citazione fosse stata indicata sia la quota di legittima richiesta che l’intero asse ereditario e che, in ogni caso, il giudice avrebbe dovuto d’ufficio ricostruire l’asse ereditario.

[2] Nell’accogliere l’appello, la Corte richiama i principi espressi dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 18199 del 02/09/2020, ove si è affermato che “poiché la causa petendi dell’azione di riduzione presuppone, oltre all’allegazione della qualità di legittimario, la specificazione dei beni che costituiscono il relictum e l’individuazione delle diverse attribuzioni che invece costituirebbero il donatum”, la precisazione di tali elementi si riverbera “con immediatezza sul contenuto dell’atto di citazione, di talché eventuali omissioni o imprecisioni, in presenza di altri elementi probatori che depongano viceversa per la loro esistenza o individuazione ovvero a fronte di puntuali contestazioni delle controparti, potrebbero dar vita ad un’ipotesi di nullità della citazione ex art. 164 c.p.c..” Tuttavia, “deve reputarsi che l’attore soddisfi l’onere di specificità della domanda impostogli dalla legge una volta che, richiamata la misura della sua quota di legittima, quale dettata dalla legge, assuma che per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto allo stesso titolo, residui una lesione. In tal senso non può però imporsi anche che la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione, sia ai fini della precisazione del relictum che del donatum, e che l’individuazione della lesione debba avvenire in termini matematici con una sua precisa indicazione numerica, essendo viceversa sufficiente che si sostenga che, proprio alla luce del complesso assetto patrimoniale del defunto, quale scaturente dalle vicende successorie, il valore attivo pervenuto al legittimario sia inferiore a quanto invece la legge gli riserva”.[1]

Sulla base di tali considerazioni, non ha ritenuto condivisibile l’assunto del giudice di primo grado secondo cui grava su parte attrice l’onere di indicare sia il valore della massa ereditaria che il valore della quota di legittima asseritamente violata dal testatore ed ha valutato sufficientemente preciso il quadro delineato dall’attore nell’atto di citazione del giudizio di primo grado, tale da permettere una esaustiva ricostruzione del patrimonio ereditario e delle operazioni di riunione fittizia propedeutiche all’accoglimento della domanda di riduzione.

[3] La sentenza in commento fa espressa applicazione dei principi oggi prevalenti nella più recente giurisprudenza di legittimità, che ha abbandonato la precedente più rigorosa posizione.

Sino a pochi anni fa, infatti, era pressoché pacifico che il legittimario che agiva in riduzione avesse “l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva”.[2]

Con la richiamata pronuncia del 2020, la Suprema Corte ha ritenuto di dover meglio circoscrivere e riconsiderare i principi esposti.[3]

Per la Cassazione, l’imputazione non sarebbe (a differenza della preventiva accettazione con beneficio di inventario, ove necessaria) una condizione dell’azione, ma una prodromica operazione di calcolo di natura esclusivamente contabile, diretta al riscontro della effettiva lesione della legittima, ed ancor prima atta a determinare con precisione la stessa entità della riserva spettante al legittimario. Ma, è stato chiarito, se è pur vero che “la puntuale individuazione delle componenti patrimoniali (…) costituisce un’attività riservata alla fase introduttiva del giudizio che soffre delle preclusioni legate alla fissazione del thema decidendum, (…)  ben potrebbe la stessa allegazione da parte dei convenuti degli elementi patrimoniali da prendere in considerazione ai fini della riunione fittizia o in particolare in vista dell’imputazione ex se, ove connotata da specificità (ad esempio con la puntuale individuazione delle donazioni non indicate in citazione ovvero dei beni relitti del pari non indicati dall’attore), consentire al giudice di poter comunque procedere, se del caso avvalendosi anche di una CTU (che proprio perchè chiamata a valutare ben individuati componenti patrimoniali non avrebbe carattere esplorativo) alla verifica della ricorrenza della lesione”.[4]

Gli Ermellini, nel citato precedente, hanno, altresì, avvertito l’esigenza di dover confutare l’affermazione, ancora frequente nelle pronunce di merito, secondo cui ai fini della stessa ammissibilità dell’azione di riduzione sarebbe necessario indicare in dettaglio i valori dei beni costituenti il relictum e di quelli oggetto delle donazioni (dirette o indirette), oltre alla necessaria precisa indicazione della lesione lamentata: “l’onere di allegazione della parte effettivamente impone di offrire un quadro soddisfacente della situazione patrimoniale del de cuius ai fini del compimento delle operazioni di riunione fittizia e di imputazione. (…). Una volta soddisfatto tale onere (anche, come detto, per effetto, dell’attività di allegazione della altre parti del giudizio) deve reputarsi che l’attore soddisfi l’onere di specificità della domanda impostogli dalla legge una volta che, richiamata la misura della sua quota di legittima, quale dettata dalla legge, assuma che per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto allo stesso titolo, residui una lesione.

In tal senso non può però imporsi anche che la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione, sia ai fini della precisazione del relictum che del donatum, e che l’individuazione della lesione debba avvenire in termini matematici. (…).

Opinare diversamente significherebbe imporre al legittimario che agisce in riduzione di dover necessariamente esperire una preventiva perizia di parte ovvero di proporre discrezionali (se non addirittura arbitrari) valori per i vari beni implicati dalla vicenda, indicazioni tutte che comunque non rivestirebbero poi carattere vincolante nella successiva fase dinanzi al giudice, chiamato invece autonomamente (e di norma attraverso l’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio) a riscontrare l’effettività della lesione dedotta e la sua precisa entità”.

[4] Come già si è avuto modo di evidenziare in altra sede[5], permangono perplessità circa il corrente orientamento giurisprudenziale.

Se, infatti, a giudizio di chi scrive, troppo rigido è pretendere la quantificazione certa ed esatta della lesione subita[6], non pare, tuttavia, condivisibile il ragionamento posto alla base delle conclusioni cui la Giurisprudenza giunge: non può ritenersi un’assurdità che l’attore debba effettuare una valutazione di parte dei beni al fine di verificare la lesione subita; anzi, una tale stima si configura quale presupposto (anche solo logico e necessario) dell’agire in riduzione. Ed è proprio per evitare l’arbitrarietà che simili valutazioni inevitabilmente comportano, che è demandata al giudice l’attività istruttoria. Ma, un conto è affermare che tale attività possa meglio definire, provare o supportare le conclusioni attoree, altro è dire che essa possa sopperire all’onere “di allegazione, in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa, che incombe alla parte che agisce in giudizio tempestivamente formulare”.[7]

Ha, dunque, forse colto più nel segno la sentenza della Cassazione n. 16523 del 31/07/2020  che, con condivisibile ragionamento logico, ha ritenuto non applicabile il principio “tradizionale” secondo cui il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, e in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva, “qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio con donazioni. In questo caso, infatti, il legittimario non ha altra via, per reintegrare la quota riservata, se non quella di agire in riduzione contro i donatari, essendo quindi la compiuta denuncia della lesione già implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del relictum“.

[1] Nello stesso senso, si veda la pronuncia di poco anteriore: Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 17926 del 27/08/2020

[2] Così Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 1357 del 19/2017. Si vedano, nello stesso senso, tra le molte: Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 20830 del 14/10/2016; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 14473 del 30/06/2011; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 13310 del 12/09/2002; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 11432 del 17/10/1992; 2 Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 3661 del 9/10/1975.

[3] In realtà, già nella citata pronuncia n. 1357/2017 la Suprema Corte aveva precisato come la prova della consistenza dell’asse e della conseguente lesione dei diritti di legittimario potesse essere fornita anche a mezzo di presunzioni, purché munite dei requisiti di cui all’articolo 2729 cod. civ.: “ancorché il legittimario che agisca in riduzione abbia l’onere d’indicare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché quello della quota di legittima violata, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva, aggiungendo altresì che una volta ravvisata la ricorrenza delle presunzioni come sopra connotate, risulta legittimo anche l’esperimento della C.T.U., atteso che, una volta che l’attore in riduzione ha assolto il suo onere probatorio, il giudice ha il dovere di disporre la C.T.U.,  per stimare il valore dei beni costituenti il relictum e il donatum”.

[4] Così, ancora, Cass. Civ. n. 18199/2020.

[5] M. Ramponi, Azione di riduzione ed onere di imputazione, in EC Legal del 17/11/2020, https://www.eclegal.it/wp-content/uploads/pdf/2020-11-17_azione-riduzione-onere-imputazione.pdf

[6] Diversi e non infrequenti sono, infatti, i casi in cui il legittimario sia effettivamente impossibilitato ad ottenere una compiuta quantificazione della massa su cui calcolare il valore della quota di riserva ovvero quelli in cui la lesione si palesa come certa (è il caso della totale pretermissione di un legittimario che mai abbia ricevuto liberalità).

[7] Così Cass. Civ. n. 20830/2016 cit.

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