L’attuazione della collazione per imputazione
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. 2, sentenza n.12258 del 09/05/2025
Divisione – Divisione Ereditaria – Operazioni Divisionali – Formazione Dello Stato Attivo Dell’eredità – Collazione Ed Imputazione – Collazione D’immobili – Imputazione – Valore venale del bene all’atto della divisione – Irrilevanza – Valore venale del bene all’atto dell’apertura della successione – Computo – Necessità
Massima: La collazione per imputazione viene attuata in due fasi dapprima con l’addebito del valore del bene donato a carico della quota spettante all’erede donatario e, poi, con il prelevamento, ex art. 725 c.c., d’una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari.
I beni che i coeredi non donatari possono prelevare dalla massa ereditaria a seguito della collazione per imputazione effettuata dai coeredi donatari devono essere stimati sulla base del valore che avevano all’epoca dell’apertura della successione e non già al momento della divisione. *
* Massima redazionale
Disposizioni applicate
Articoli 725, 726, 746 e 747 cod. civ.
[1] Tizia convenne in giudizio Caio per chiedere di dichiarare aperta la successione della madre Mevia e di disporre dei beni relitti sulla base del testamento olografo del 07/07/1988, che aveva confermato il precedente testamento del 03/05/1988.
L’attrice espose che la de cuius, con un primo testamento del 03/05/1988, aveva lasciato a lei ed alla sorella Filana, premorta in data 01/11/1993, un immobile ed al figlio Caio un diverso immobile ubicato nel medesimo Comune, nulla disponendo in ordine agli altri immobili di proprietà.
Successivamente, con altro testamento olografo del 10/05/1988, aveva nominato il figlio Caio erede universale ma, con altro testamento olografo del 07/07/1988, la de cuius aveva annullato il testamento del 10/05/1988, confermando il primo testamento del 03/05/1988.
Nel giudizio di primo grado, Caio si costituì per resistere alla domanda, sostenendo di essere erede universale di Mevia sulla base di un precedente testamento del 25/12/1986, sostenendo che tale disposizione fosse stata confermata con il testamento del 10/05/1988.
Il Tribunale di primo grado dichiarò aperta la successione di Mevia sulla base dei testamenti del 07/07/1988 e del 03/05/1988 e statuì che entrambi i figli erano eredi legittimi in parti uguali, qualificando le disposizioni testamentarie del 03/05/1988 come prelegati.
Con sentenza definitiva dispose, poi, lo scioglimento della comunione ereditaria e l’attribuzione dei beni agli eredi, determinando i conguagli.
Caio propose appello per chiedere di essere dichiarato erede universale e domandando, altresì, la sospensione del giudizio di divisione, in attesa della definizione della causa pendente in primo grado con la quale aveva chiesto dichiararsi l’acquisito della proprietà per usucapione di alcuni immobili oggetto della divisione.
La Corte di Appello rigettò l’istanza di sospensione del giudizio, confermò che la successione trovasse regolamentazione nei testamenti del 07/07/1988 e del 03/05/1988, e relativamente all’oggetto del presente contributo ritenne che l’appellante non avesse indicato i prelevamenti da effettuare sulla collazione per imputazione e dispose la divisione dell’asse relitto, calcolando il valore dei beni residui al momento della divisione.
[2] Avverso tale decisione gli eredi di Caio, nel frattempo venuto a mancare, hanno proposto ricorso per cassazione articolandolo su otto motivi, dei quali nella presente sede vengono in esame il terzo, quarto e quinto, tutti censuranti, sotto vari profili, la sentenza d’Appello nella parte in cui ha rigettato i motivi di impugnazione volti ad ottenere i prelevamenti dalla massa ereditaria di beni corrispondenti per natura e qualità a quelli donati dalla de cuius a Tizia ed oggetto di collazione per imputazione.
Gli Ermellini hanno ritenuto tali motivi fondati e svolto alcuni ragionamenti che meritano di essere riportati.
In primis, ricordano come sia costante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità nell’affermare che “la collazione per imputazione si differenzia da quella in natura per il fatto che i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del medesimo donatario; sicché, ove il condividente abbia optato per la prima, la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato”.[1]
Precisano, poi, come la collazione per imputazione costituisca, “di fatto, una fictio iuris, per effetto della quale il coerede che, a seguito di donazione operata in vita dal de cuius, abbia già anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l’apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore di quanto precedentemente donatogli determinato al detto momento dell’apertura della successione, senza che i beni oggetto della collazione tornino materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, incidendo i medesimi esclusivamente nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi secondo la misura del diritto di ciascuno”.[2]
Conseguentemente, i beni che i coeredi non donatari possono prelevare dalla massa ereditaria a seguito della collazione per imputazione devono essere stimati in base il valore che avevano al momento di apertura della successione e “non già al momento della divisione, perché detti prelevamenti, pur costituendo una delle fasi in cui si attua la divisione, non si identificano con le operazioni divisionali vere e proprie, avendo, al pari della collazione, il prevalente scopo di assicurare la parità di trattamento fra coeredi donatari e coeredi non donatari”. [3]
La Corte d’appello, a giudizio della Suprema Corte, ha errato nell’applicazione di tali principi.
[3] Secondo il Giudice di legittimità, “una volta effettuata la collazione per imputazione dei beni donati dalla de cuius alla figlia Tizia (…), avrebbero dovuto essere effettuati i prelevamenti da parte del coerede non donatario.
La stima di detti prelevamenti andava effettuata con riferimento alla data dell’apertura della successione, mentre la Corte d’Appello è incorsa nel duplice errore di non effettuare i prelevamenti e di valutare i beni residui facenti parte della massa ereditaria con riferimento al momento della divisione.
Mentre i beni conferiti in collazione per imputazione da Tizia sono stati correttamente stimati con riferimento al valore al momento dell’apertura della successione, la Corte d’Appello ha omesso di effettuare i prelevamenti da parte del coerede non donatario con beni della stessa natura e qualità.
Detti prelevamenti, pur costituendo una delle fasi in cui si attua la divisione, non si identificano con le operazioni divisionali vere e proprie, avendo, al pari della collazione, il prevalente scopo di assicurare la parità di trattamento fra coeredi donatari e coeredi non donatari”.
Così operando, la Corte d’Appello non ha assicurato la par condicio tra gli eredi, risultato che viene raggiunto, in caso di collazione per imputazione, solo ove i prelevamenti avvengano con beni della stessa natura e qualità di quelli che non sono stati conferiti in natura.
[4] La sentenza in commento offre lo spunto per una breve disamina dell’istituto della collazione per imputazione.
Deve, innanzitutto, ricordarsi come, a norma dell’art. 724 c.c., comma 1, i coeredi tenuti alla collazione devono conferire tutto ciò che è stato loro donato, salvo che ne siano stati espressamente dispensati dal donante. Si tratta, in particolare, di un’obbligazione che sorge in seguito all’accettazione dell’eredità ed al sorgere di uno stato di comunione tra i soggetti individuati dal nostro legislatore, all’articolo 737 c.c., come tenuti alla collazione.
La collazione può avvenire in natura o per imputazione.
Quella in natura riveste carattere di eccezionalità, essendo ammissibile solo qualora la donazione abbia avuto ad oggetto beni immobili che siano ancora di titolarità del donatario. In tal caso egli può scegliere se conferire (in natura, appunto) alla massa ereditaria il bene ricevuto in donazione, ovvero imputarne il valore.
La collazione per imputazione, dunque, rappresenta l’ipotesi più frequente, trovando applicazione indipendentemente dalla natura del bene donato. Al riguardo, gli articoli 725 e 726 c.c. dispongono, nel disciplinare i c.d. prelevamenti, che se i beni donati non sono conferiti in natura, gli altri eredi prelevano dalla massa ereditaria beni in proporzione delle loro rispettive quote e, appunto, che la collazione di un bene immobile si fa o col rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce.
Mentre, dunque, la collazione in natura si realizza in un’unica operazione (la restituzione del bene alla massa ereditaria) per effetto della quale si determina un effettivo incremento dei beni in comunione e da dividere, “quella per imputazione viene attuata in due fasi, id est dapprima con l’addebito del valore del bene donato a carico della quota spettante all’erede donatario e, poi, con il prelevamento, ex art. 725 c.c., d’una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari, in guisa che soltanto nella collazione per imputazione e non anche in quella in natura i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del coerede donatario, il quale li può trattenere in forza della pregressa donazione, versando alla massa solo l’equivalente pecuniario”.[4]
Di fondamentale importanza è la determinazione del riferimento temporale al quale ancorare la valutazione del bene. Al riguardo, l’art. 747 c.c. dispone che la collazione per imputazione si fa avuto riguardo al valore dell’immobile al tempo della aperta successione, avuto riguardo della disciplina relativa a miglioramenti di cui all’articolo 748 cod. civ.: “in tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione.
Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa.
Il donatario dal suo canto è obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile”.
[1] In tal senso si vedano, altresì: Cass. civ., sez. 2, n. 4671 del 14/02/2022; Cass. Civ., Sez. 6, n. 9177 del 12/04/2018; Cass. Civ., Sez. 2, n. 5659 del 20/03/2015; Cass. Civ., Sez. 2, n. 25646 del 23/10/2008
[2] Si veda Cass. Civ. n. 14553 del 30/07/2004
[3] In tal senso anche Cass. Civ., Sez. 2, n.12068 del 03/05/2024
[4] Così, testualmente, la sentenza in commento.
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