22 Aprile 2025

Revoca del testamento a seguito di distruzione o irreperibilità: aspetti sostanziali e processuali

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 18/02/2025, n. 4137

Massima: “L’irreperibilità del testamento, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione, per cui incombe su chi ha interesse alla sua conservazione l’onere di provare che esso fu distrutto lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore oppure che costui non ebbe intenzione di revocarlo.”

(Articoli di riferimento: 602 e 684 c.c.)

CASO

Nel 2016 A.A. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Padova, gli eredi testamentari del fratello N.N. chiedendo che fosse dichiarata la nullità del testamento olografo di quest’ultimo, pubblicato dal notaio C.C.; conseguentemente domandava l’apertura della successione legittima in favore proprio e della sorella, con contestuale collazione del compendio ereditario.

L’attore sosteneva che il fratello N.N., deceduto celibe, senza figli né ascendenti, avesse redatto un testamento olografo il cui originale era andato smarrito. Il notaio C.C. ne aveva pubblicato una fotocopia recante su ogni pagina l’annotazione “copia conforme all’originale” e la firma del de cuius; tale documento, tuttavia, non possedeva i requisiti di forma prescritti dall’art. 602 c.c. per la validità del testamento olografo.

I convenuti replicavano che, oltre alla copia del testamento contenuta in una busta sigillata consegnata al notaio, erano stati pubblicati anche due codicilli originali, la cui autenticità non era stata oggetto di contestazione. I medesimi, inoltre, chiamavano in causa il notaio C.C. chiedendone la condanna al risarcimento del danno per responsabilità professionale, a causa dello smarrimento dell’originale del testamento affidatogli fiduciariamente dal de cuius. Il notaio C.C. si difendeva affermando di aver proceduto alla pubblicazione della copia del testamento – ai sensi dell’art. 620 c.c. – unitamente ai due codicilli originali ricevuti dal testatore, la cui autenticità non era stata contestata dall’attore.

Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 2259/2021, rigettava le domande di A.A. accertando la pregressa esistenza e la validità di un testamento olografo riconducibile a N.N., mai revocato e di contenuto conforme alla copia pubblicata.

In seguito, A.A. e alcuni degli originari convenuti impugnavano la sentenza in appello, in particolare sostenendo che la prova della consegna dell’originale al notaio e del suo successivo smarrimento non potesse fondarsi sulle sole dichiarazioni rese da quest’ultimo in sede di interrogatorio, le quali dovevano ritenersi inattendibili in quanto finalizzate a escludere la propria responsabilità professionale.

La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 1769/2023, respingeva l’impugnazione ritenendo provata la perdita accidentale dell’originale del testamento, avvenuta in assenza di volontà revocatoria da parte del testatore. La decisione si fondava su plurimi elementi: la mancata contestazione della conformità della copia all’originale, l’attestazione di conformità apposta dallo stesso de cuius, la presenza dei codicilli autentici e le dichiarazioni rese dal notaio. In definitiva, la Corte riteneva che il testamento olografo di N.N. dovesse considerarsi esistente, non revocato e pienamente valido ed efficace.

Avverso tale decisione A.A. ha proposto ricorso.

SOLUZIONE

Nel decidere la controversia in esame, la Corte di Cassazione ha preliminarmente richiamato alcuni principi consolidati in materia di irreperibilità del testamento, e in particolare ha affermato:

  • che l’irreperibilità del testamento, qualora ne sia provata l’esistenza in un determinato periodo mediante la presentazione di una copia, è equiparata alla sua distruzione; grava, pertanto, su chi vi ha interesse l’onere di dimostrare che il testamento è stato distrutto, lacerato o cancellato da un soggetto diverso dal testatore, ovvero che il testatore non aveva intenzione di revocarlo;
  • che la prova contraria può essere fornita – anche mediante presunzioni – non solo dimostrando che il testamento era ancora esistente al momento della morte del testatore (circostanza che esclude la revoca), ma anche provando che, pur essendo scomparso prima del decesso, esso è stato distrutto da terzi, smarrito accidentalmente o comunque perso senza il concorso della volontà del testatore;
  • che è altresì ammissibile la prova, anche per presunzioni, del fatto che la distruzione del testamento da parte del testatore non fosse accompagnata dall’intenzione di revocare le disposizioni in esso contenute.

Sulla scorta dei principi enunciati la Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo non raggiunta la prova contraria idonea a superare la presunzione di revoca prevista dall’art. 684 c.c., con la conseguenza che il testamento, essendo irreperibile, doveva considerarsi distrutto e quindi revocato. Le motivazioni della decisione possono essere così sintetizzate:

  • in primo luogo, l’assenza di contestazioni circa la conformità della copia informale del testamento all’originale non era di per sé sufficiente a superare la presunzione di revoca, operante ex 684 c.c. in mancanza di prova contraria;
  • in secondo luogo, le firme apposte sulle pagine della copia, finalizzate ad attestare la conformità all’originale, non avevano valore probatorio, in quanto non verificate e comunque non idonee a dimostrare lo smarrimento dell’ Secondo la Corte era infatti plausibile che il testatore avesse rilasciato una copia ai beneficiari a titolo precauzionale, indipendentemente da un’eventuale perdita dell’originale;
  • in terzo luogo, i codicilli autenticati, pur facendo riferimento al testamento olografo, non fornivano alcuna prova diretta né dell’esistenza dell’originale al momento della morte, né del suo successivo smarrimento, né tantomeno della conformità alla copia pubblicata;
  • infine, quanto alle dichiarazioni del notaio in merito allo smarrimento del testamento, la Corte ha escluso che potessero qualificarsi come confessioni: tali affermazioni, infatti, non erano dirette ad ammettere fatti pregiudizievoli per il notaio, né incidevano sulla sua responsabilità professionale, bensì riguardavano la validità del testamento, questione estranea alla sua sfera di interesse; di conseguenza, non potevano essere qualificate come confessioni né assumere valore di prova legale ai sensi dell’ 2733 c.c..

QUESTIONI

In generale, ai sensi dell’art. 587 c.c., il testamento è un atto per sua natura revocabile. Poiché la volontà del testatore può mutare fino all’ultimo istante di vita, la revocabilità costituisce proprio uno degli elementi essenziali del negozio testamentario, consentendo al testatore, in qualsiasi momento, di privare di efficacia le precedenti disposizioni o di modificarne il contenuto. La revoca, nello specifico, assume carattere totale se investe l’intero contenuto del testamento anteriore, ovvero carattere parziale se incide solo su specifiche disposizioni[1].

L’essenzialità della revocabilità – sia essa esercitata in forma totale o parziale – è confermata dalla chiara scelta del legislatore di escludere la possibilità per il testatore di rinunziarvi: ai sensi dell’art. 679 c.c., infatti, è nulla la rinuncia alla facoltà di revoca. Se poi tale rinuncia dovesse assumere la forma dell’accordo bilaterale tra vivi, avente contenuto dispositivo o obbligatorio, essa risulterebbe comunque nulla per violazione del divieto dei patti successori, secondo quanto sancito dall’art. 458 c.c.[2]. Inoltre, chi dovesse costringere il testatore a revocare o a non revocare il proprio testamento mediante violenza risponderebbe certamente dei danni arrecati alla libertà di autodeterminazione testamentaria, in base alla disciplina generale della responsabilità aquiliana[3].

In merito alla natura giuridica della revoca non vi è un orientamento univoco[4]. Secondo una prima tesi, valorizzando l’incidenza immediata sull’atto da revocare e, quindi, la sua efficacia diretta, alla revoca viene attribuita la natura di atto inter vivos; un diverso orientamento, invece, pone l’accento sugli effetti prodotti dalla revoca, ritenendola un atto mortis causa. Si ritiene preferibile accogliere una posizione intermedia, la quale distingue in base alla forma: si attribuisce natura di atto inter vivos alla revoca contenuta in un atto ricevuto dal notaio alla presenza di testimoni, e natura di atto mortis causa alla revoca contenuta in un testamento[5].

La manifestazione della volontà di revoca, in ogni caso, rappresenta un atto giuridico unilaterale non recettizio ma necessariamente formale, in considerazione del particolare rilievo giuridico degli effetti che ne derivano. In ragione di ciò la legge stabilisce in modo tassativo le modalità e le forme attraverso cui è possibile revocare o modificare il testamento[6].

Innanzitutto la revoca può essere espressa: è tale quella che si realizza mediante la redazione di un nuovo testamento o attraverso un atto ricevuto da notaio nel quale il testatore esprime personalmente la volontà di revocare, in tutto o in parte, le precedenti disposizioni. Pur non essendo richiesta una formula sacramentale, è pacifico che sia necessaria una manifestazione di volontà inequivocabile in tal senso[7]. La revoca è invece tacita quando un testamento successivo contenga disposizioni incompatibili con quelle precedenti, ovvero nel caso di ritiro di un testamento segreto. Costituiscono inoltre ipotesi di revoca tacita la distruzione del testamento olografo e l’alienazione o trasformazione del bene legato. Infine, il legislatore ha previsto una forma di revoca automatica, indipendente dalla volontà del testatore, la cui fonte è direttamente la legge: ai sensi dell’art. 687 c.c., le disposizioni testamentarie sono revocate di diritto nel caso di nascita o sopravvivenza di figli ignorati o non ancora esistenti al momento del testamento[8].

Relativamente al caso in esame, la giurisprudenza si è soffermata in particolare sulle ipotesi di revoca tacita per distruzione o irreperibilità del testamento olografo.
Quanto alla distruzione, ai sensi dell’art. 684 c.c., “il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera in tutto o in parte revocato, a meno che si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, ovvero si provi che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo”. Quanto all’irreperibilità, la giurisprudenza tende ad equipararla alla distruzione del testamento, qualora al momento dell’apertura della successione non se ne rinvenga copia; in tal caso si ritiene che l’irreperibilità generi una vera e propria presunzione di revoca, nel senso che si presume che il documento sia stato distrutto dal testatore con l’intento di revocarlo[9].

La disposizione dell’art. 684 c.c. si fonda dunque su due presunzioni distinte: la prima attiene all’attribuzione dell’atto materiale di distruzione, lacerazione o cancellazione del testamento al testatore; la seconda concerne l’intento revocatorio, che si presume sussistere qualora la distruzione sia stata volontariamente compiuta dal testatore. Quest’ultima presunzione, tuttavia, può operare solo a condizione che sia stato previamente accertato il carattere volontario dell’atto distruttivo[10].

La natura giuridica di tali presunzioni è oggetto di dibattito[11]. Secondo un primo orientamento, la prima presunzione (distruzione da parte del testatore) avrebbe natura iuris tantum, e sarebbe quindi superabile con prova contraria (ad esempio dimostrando che fu un terzo a distruggere il testamento). La seconda (volontà di revocare) sarebbe invece iuris et de iure, e quindi assoluta: una volta accertata la volontarietà della distruzione si presume in modo definitivo anche l’intenzione revocatoria. Un diverso orientamento – oggi prevalente in dottrina e giurisprudenza – riconosce invece natura relativa ad entrambe le presunzioni, ammettendo la possibilità di prova contraria sia in ordine all’autore materiale della distruzione, sia in merito alla volontà effettiva del testatore; quest’ultima potrebbe infatti non sussistere, pur in presenza di un atto volontario, come nel caso di un gesto impulsivo privo di una chiara e consapevole volontà revocatoria[12].

Chi intenda far valere un testamento olografo distrutto, lacerato, cancellato o irreperibile ha la possibilità di superare la presunzione legale di revoca dimostrando che tali eventi non sono riconducibili al testatore, ovvero che, pur essendone egli l’autore materiale, questi non ha inteso privare di effetti l’atto[13]. L’onere probatorio grava in ogni caso su chi invoca l’efficacia del testamento, e comporta, anzitutto, la prova dell’esistenza dell’atto, della sua conformità ai requisiti di forma prescritti dalla legge e del suo contenuto; tale prova può essere raggiunta con qualsiasi mezzo, incluse testimonianze e presunzioni, purché queste siano gravi, precise e concordanti. Nel caso in cui esista un documento che riproduca il testamento (ad esempio una fotocopia non tempestivamente disconosciuta), si ammette inoltre che la prova possa essere integrata anche in deroga ai limiti di cui agli artt. 2724 e 2725 c.c., che normalmente circoscrivono l’utilizzo della prova testimoniale[14].

Si deve tuttavia osservare – secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza – che qualora fosse disponibile una copia informale del testamento olografo, il mancato disconoscimento della sua conformità all’originale assumerebbe rilievo probatorio solamente in un momento successivo rispetto al superamento della presunzione di revoca prevista dall’art. 684 c.c.. In altri termini, finché non venga fornita una prova idonea a vincere tale presunzione – dimostrando, ad esempio, che il testamento non fu distrutto volontariamente dal testatore, o che, pur essendone egli l’autore materiale, mancava in lui l’intento di revocare – la copia informale non può assumere efficacia ai fini della ricostruzione del contenuto dell’atto. Una volta superata la presunzione di revoca, tornano applicabili in via analogica le disposizioni previste per i contratti dagli artt. 2724 e 2725 c.c., che consentono il ricorso alla prova testimoniale e per presunzioni, anche in deroga alle limitazioni ordinarie. Resta fermo, tuttavia, che non potrà usufruire di tali mezzi di prova colui che abbia contribuito dolosamente o colposamente alla scomparsa dell’originale.

Eventualmente, poi, ai fini della prova, assume rilievo anche la posizione processuale dell’erede che deteneva il testamento, da distinguere rispetto a quella di chi non lo abbia mai avuto in custodia. Nel primo caso l’onere della prova sarà più gravoso: l’erede dovrà dimostrare che la perdita o la distruzione della scheda sia avvenuta per caso fortuito o per fatto imputabile a un terzo, dal quale fosse lecito attendersi la custodia del documento; nel secondo caso, ossia quando l’erede non abbia mai detenuto la scheda testamentaria, egli potrà provare liberamente – anche mediante testimoni – sia l’esistenza che il contenuto del testamento, fermo restando che dovrà comunque dimostrare di non averne mai avuto la materiale detenzione[15].

L’onere, infine, si considera pienamente assolto se l’interessato prova che il testamento era custodito presso un terzo e che, per circostanze oggettive, non era tenuto ad acquisirne la detenzione; né è necessario dimostrare l’eventuale mancata consegna successiva. La presunzione di revoca viene meno, inoltre, qualora si accerti che la distruzione o lo smarrimento del testamento sia riconducibile a un evento naturale, e non a un’azione umana, sia essa volontaria o colposa.

Da ultimo, per completezza dell’indagine, va osservato – sulla scorta dell’orientamento consolidato di dottrina e giurisprudenza[16] – che le ipotesi di revoca tacita del testamento, disciplinate dall’art. 684 c.c., devono essere interpretate in senso restrittivo, non potendosi estendere in via analogica a fattispecie non espressamente previste. Ciò in quanto solo le condotte tipizzate dal legislatore – distruzione, lacerazione o cancellazione – sono considerate idonee a esprimere con certezza e in modo inequivoco l’intento revocatorio del testatore.

Tuttavia, se da un lato l’elencazione degli atti idonei a integrare una revoca tacita è da ritenersi tassativa, dall’altro non lo è la modalità concreta attraverso cui tali condotte possono realizzarsi: distruzione, lacerazione e cancellazione possono infatti assumere le forme più varie[17].

In questa prospettiva, si è ritenuto che l’apposizione della dicitura “annullato” ai margini della scheda testamentaria o sulla busta che la contiene – ancorché non sovrapposta al testo – possa, in presenza di ulteriori elementi, integrare un comportamento riconducibile alla cancellazione ai sensi dell’art. 684 c.c., salvo prova contraria circa l’effettiva volontà di revoca. Parte della dottrina ritiene, tuttavia, che tale dicitura possa assumere rilievo solo se apposta direttamente sul corpo del testamento, incidendo materialmente sul suo contenuto[18]. Di maggiore univocità è la cancellazione della sottoscrizione, la quale comporta la revoca dell’intero testamento, determinando il venir meno di uno dei requisiti essenziali dell’olografo. Ne consegue che, qualora il testatore intenda riutilizzare la medesima scheda – anche solo parzialmente – per redigere un nuovo testamento, sarà tenuto a procedere a una nuova sottoscrizione, non potendo più avvalersi di quella originaria, ormai priva di efficacia[19].

Non assumono invece rilievo, ai fini della revoca tacita, comportamenti ambigui o meri indizi di disinteresse: si pensi, ad esempio, all’appallottolamento della scheda o al suo collocamento tra i rifiuti, che non ledono l’integrità materiale del documento né incidono sul suo contenuto. Analogamente, il deterioramento del testamento dovuto al decorso del tempo o all’impiego di materiali deperibili – quali la matita o carta scadente – non è assimilabile alle ipotesi di distruzione previste dalla norma[20].

Infine, in caso di redazione del testamento in più esemplari, la distruzione di uno solo di essi non implica revoca, essendo la pluralità delle copie indicativa della volontà del testatore di garantirne la conservazione anche in caso di smarrimento o perdita di una versione[21]. Tuttavia si ritiene che sussista l’intenzione di revoca quando il testatore abbia intenzionalmente distrutto uno solo degli esemplari ritenendolo l’unico esistente.

[1] GENGHINI-CARBONE, Le successioni per causa di morte, Vicenza, 2022.

Nel distinguere tra revoca totale e parziale si deve osservare che l’eliminazione di singole parole o espressioni comporta sicuramente revoca parziale; si ritiene tuttavia che se la cancellazione interviene su elemento essenziale come la data, allora ciò si debba considerare quale intenzione di revocare l’intero atto. Cfr. Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 684 c.c., Milano, 2006.

[2] CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2023.

[3] Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 684 c.c., op. cit..

[4] BIANCA, Diritto civile, Le successioni, Milano, 2022.

[5] PASQUARIELLO, Revoca del testamento, in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, Milano, 2023.

[6] CAPOZZI, Successioni e donazioni, op. cit..

[7] BIANCA, Diritto civile, Le successioni, op. cit..

[8] BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, …

[9] Cfr. per tutte Cass. civ. n. 3636/2004.

[10] Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 684 c.c., op. cit..

[11] PASQUARIELLO, Revoca del testamento, in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, op. cit..

[12] Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 684 c.c., op. cit..

[13] Cfr. per tutte Cass. Civ. n. 3636/2004.

[14] CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, art. 684 c.c., Milanofiori Assago, 2016.

[15] Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 684 c.c., op. cit..

[16] BIANCA, Diritto civile, Le successioni, op. cit.. Per la giurisprudenza si veda per tutte Cass. civ. n. 4119/1986.

[17] Cfr. Cass. civ. n. 1739/1979.

[18] Cfr. Cass. civ. n. 1739/1979.

[19] PASQUARIELLO, Revoca del testamento, in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, op. cit..

[20] PASQUARIELLO, Revoca del testamento, in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, op. cit..

[21] CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, art. 684 c.c., op. cit..

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