28 Febbraio 2023

Trattamento sanitario obbligatorio: è ammesso il risarcimento del danno in caso di mancata prestazione del consenso informato?

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., ord., 11.01.2023, n. 509 – Pres. Travaglino – Rel. Rossetti

Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) – Consenso informato – Violazione del diritto alla libertà di autodeterminazione e del diritto alla salute – Omissione del medico dell’obbligo informativo – Risarcimento del danno – Onere della prova

(art. 32 Cost., art. 2 Cost., art. 34 e 35 L. n. 833/78)

[1] Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, che può essere legittimamente disposto solo dopo aver esperito ogni iniziativa concretamente possibile, se pur compatibilmente con le condizioni cliniche, di volta in volta accertate e certificate, in cui versa il paziente – ed ove queste lo consentano – per ottenere il consenso del paziente ad un trattamento volontario. Si può intervenire con un Trattamento Sanitario Obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni, ovvero l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti e l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.

CASO

L’attore, affetto da un disturbo delirante cronico in fase di scompenso, si recava presso il Centro di Salute Mentale, al fine di richiedere una copia della propria cartella clinica, ed ivi veniva trattenuto ai fini dell’attivazione di un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) per 15 giorni, avendo costantemente rifiutato precedenti interventi terapeutici, che gli erano stati prescritti.

Il trattamento, assunto nei modi legge, era stato successivamente convalidato dal Giudice Tutelare.

Il paziente, soggetto al TSO, conveniva in giudizio l’Azienda Sanitaria locale ed il Ministero dell’Interno, onde ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti per effetto del TSO, cui era stato sottoposto.

Il giudice di primo grado, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero, respingeva la domanda risarcitoria avanzata nei confronti dell’Azienda Sanitaria.

Dopo dieci anni dai fatti, l’attore riproponeva un nuovo giudizio avanti al Tribunale, facendo valere la responsabilità contrattuale dell’Azienda Sanitaria e del Ministero dell’Interno.

Anche questa volta la domanda risarcitoria veniva respinta: nei confronti del Ministero per difetto di contatto sociale, che giustifichi una richiesta risarcitoria a titolo di responsabilità contrattuale; nei confronti dell’Azienda Sanitaria per difetto di prova, pur sussistendo un contatto sociale tra paziente e struttura.

Il paziente impugnava la sentenza di primo grado avanti alla Corte d’Appello, che, rilevata la tardività della domanda risarcitoria, rigettava il gravame.

Il paziente proponeva quindi ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, ritenendo erronea la dichiarata tardività della richiesta risarcitoria, relativa al difetto di consenso informato.

SOLUZIONE

Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte ha affermato che si può intervenire con un TSO, anche a prescindere dal consenso del paziente, se sono contemporaneamente presenti tre condizioni, quali: l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti; l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.

QUESTIONI

Nell’ordinanza in commento la Suprema Corte ha affrontato il delicato tema del trattamento sanitario obbligatorio, chiarendone i confini entro cui ci si deve muovere, ai fini del risarcimento del danno derivante dallo stesso, in caso di mancata prestazione del consenso informato da parte del soggetto sottoposto a tale procedura.

Gli Ermellini colgono l’occasione per ribadire i seguenti principi oggetto di propri precedenti arresti.

Nell’ipotesi di omessa o insufficiente informazione, riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sarà dovuto.

Nell’ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli abbia impedito di accedere a più accurati e attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all’autodeterminazione sarà risarcibile, qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici.

Il Supremo Collegio muove dalla centralità del consenso del paziente alla prestazione di cure mediche, quale “diritto irretrattabile della persona”, in mancanza del quale l’atto del sanitario è illecito, fatte salve le ipotesi in cui ricorra lo stato di necessità e quelle del trattamento sanitario obbligatorio per legge.

Il Trattamento Sanitario Obbligatorio consiste nell’insieme di procedure sanitarie alle quali viene sottoposto un paziente affetto da malattie mentali, in caso di necessità clinica, al fine di tutelarne la salute, anche contro la sua volontà.

Il TSO costituisce una deroga al principio del consenso informato, che è presupposto imprescindibile di ogni prestazione sanitaria, e trova la sua giustificazione, in caso di urgenza clinica, nella necessità di tutelare la salute e la sicurezza del paziente, oltreché della collettività.

Il Trattamento Sanitario Obbligatorio trova il proprio fondamento nell’art. 32, co. 2, Cost., secondo cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e comunque – in conformità all’art. 32 Cost. – “nei limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Il Supremo Collegio, nell’ordinanza in commento, sottolinea che l’ospedalizzazione in regime di TSO per un disturbo di mente, “costituisce un evento intriso di problematicità, essendo associata ad una presumibile condizione di incapacità del paziente a prestare un valido consenso”.

Da un punto di vista normativo, un paziente viene considerato capace o incapace; mentre, la realtà clinica, soprattutto in caso di situazioni problematiche legate alla salute mentale, dimostra che possano sussistere delle zone intermedie, vale a dire dei residui spazi di autonomia decisionale anche in paziente sottoposti a Trattamento Sanitario Obbligatorio.

Il fatto, quindi, che un soggetto sia dichiarato incapace e non disponga più della capacità di agire non significa che non possa prendere una consapevole decisione terapeutica, sia pure transitoria.

Per questo motivo, secondo gli Ermellini, un “approccio di tipo multidimensionale”, basato sulla valutazione del singolo paziente a prestare il consenso informato, costituisce un possibile terreno sul quale ricostruire, all’interno della relazione medico-paziente, proprio il percorso di recupero della capacità di prestare il consenso alle cure.

Tuttavia, in taluni casi, si può intervenire con un trattamento sanitario obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente, se sono contemporaneamente presenti tre condizioni:

  • l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
  • la mancata accettazione da parte del paziente degli interventi terapeutici proposti;
  • l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere.

Secondo la Corte, quindi il TSO è “un evento” terapeutico “straordinario”, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente che non deve essere considerato una misura di difesa sociale e che deve essere attivato solo dopo aver ricercato, con ogni iniziativa possibile, sia pure compatibilmente con le condizioni cliniche, il consenso del paziente ad un intervento/trattamento volontario.

 Questo evento straordinario richiede una specifica procedura, che deve essere attivata da un medico.

Il sanitario deve verificare e certificare l’esistenza, anzitutto, dell’avvenuta convalida della proposta da parte di un altro medico, dipendente pubblico (generalmente un specialista in psichiatria), dell’emanazione da parte del Sindaco dell’ordinanza esecutiva (entro 48 ore) ed infine della notifica al Giudice Tutelare (di nuovo entro 48 ore), che provvede a convalidare o meno il provvedimento, comunicandolo al Sindaco.

In esito a tali precisazioni, la Suprema Corte ha rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata dal paziente, sottoposto al Trattamento Sanitario Obbligatorio dopo il continuo rifiuto di vari interventi terapeutici, sussistendo nella fattispecie tutti e tre i presupposti di legge, che legittimano l’adozione del TSO.

Infine, dopo aver richiamato gli arresti oramai consolidati della stessa Cassazione in tema di consenso informato (tra gli altri, Cass. civ., 7248/2018), l’ordinanza che si annota chiarisce che, sebbene il TSO incida su diritti fondamentali della persona (es. il diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.), il diritto alla libera circolazione (art. 16 Cost.), il diritto alla libera accettazione di trattamenti sanitari (art. 32 Cost.), esso non esclude che il destinatario debba comunque dimostrare di aver subìto un danno ingiusto, in conseguenza del trattamento cui è stato sottoposto.

Infatti, laddove il sanitario proceda alle cure, prescindendo dal consenso informato del paziente, quest’ultimo, che agisca per il risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto di autodeterminazione (inteso come privazione del diritto di valutare i rischi ed i benefici del trattamento sanitario), deve provare il pregiudizio – diverso dal diritto alla salute eventualmente derivato – che abbia subìto.

Si aggiunga, peraltro, che laddove – come nel caso di specie – il paziente accetti di proseguire il trattamento sanitario, oltre i limiti temporali imposti dalla legge, egli non può più lamentare di aver subìto un danno, giacché l’accettazione del trattamento esclude l’esistenza del danno.

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