L’onere della prova nella responsabilità per danno cagionato da animali selvatici
di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, Ord., 6.04.2025, n. 9043 – Dott. A. Moscarini
Circolazione stradale – Responsabilità civile – Responsabilità per danno cagionato da animali selvatici (art. 2052 c.c.) – Onere della prova (art. 2697 c.c.)
Massima: “Nell’ipotesi di danni causati dalla fauna selvatica, a norma dell’art. 2052 c.c., grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso causale tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo. Spetta, invece, al soggetto responsabile della custodia della fauna, dimostrare la prova liberatoria del fortuito, evidenziando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o comunque non evitabile neanche con l’adozione delle più adeguate e diligenti misure”.
CASO
Tizio citava in giudizio la Regione Alfa, davanti al giudice di pace, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati a causa dello scontro con un gruppo di cinghiali, avvenuto mentre stava percorrendo la strada X con l’autoveicolo di sua proprietà.
Il Giudice di Pace rigettava, in mancanza di prova del sinistro e del nesso causale, la domanda di risarcimento del danno proposta da Tizio.
A seguito di appello volto a censurare la sentenza di primo grado, il Tribunale rigettava l’appello, confermando la mancanza di prova del nesso causale. Il Tribunale dichiarava, infatti, di porsi in conformità con il consolidato indirizzo della S.C. secondo cui (in tema di danni provocati da fauna selvatica, a norma dell’art. 2052 c.c.) grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso causale tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, spettando al soggetto responsabile della custodia degli animali selvatici, nella specie la Regione, la prova liberatoria del fortuito, che può essere fornita dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o comunque non evitabile neanche con l’adozione delle più adeguate e diligenti misure (cfr. Cass. 20/7969).
Nello specifico, il Tribunale aveva ritenuto non sufficiente ad integrare la prova quanto dichiarato da un teste che aveva riferito di aver visto i cinghiali attraversare la strada e Tizio frenare e sbandare, perdendo il controllo dell’autovettura, ma non di aver assistito all’ impatto tra gli animali e l’autovettura.
Avverso la detta sentenza Tizio propone ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
La Suprema rigetta il ricorso.
QUESTIONI
La S.C. rileva che i giudici del merito con una pronuncia cd. “doppia conforme” hanno applicato un principio ben noto alla giurisprudenza della stessa Corte, in forza del quale il danneggiato è onerato innanzitutto della prova del fatto e del nesso di causalità tra la presenza dell’animale ed il danno e, in secondo luogo, dell’onere di dare conto anche di aver tenuto una condotta particolarmente accorta quando le condizioni ambientali sono tali da determinare il rischio della presenza di fauna selvatica. Anche in un recente caso (cf. Cass. 24/17253), la Corte ha avuto modo di precisare che nell’ipotesi di scontro fra un veicolo e un animale selvatico, il concorso fra le presunzioni di responsabilità stabilite a carico del conducente del veicolo e del proprietario dell’animale (rispettivamente previste dagli artt. 2054 e 2052 c.c.), comporta la pari efficacia di entrambe le presunzioni e la conseguente necessità di valutare, caso per caso, e, senza alcuna reciproca elisione, il loro superamento da parte di chi ne risulta gravato. Pertanto il danneggiato, ove sia anche il conducente del veicolo, deve allegare e provare non solo la dinamica del sinistro, il nesso causale tra la condotta dell’animale appartenente ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 e l’evento dannoso, ma anche di avere adottato, nella propria condotta di guida, ogni opportuna cautela (da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui è nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell’animale ha avuto, effettivamente ed in concreto, un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui, nonostante la prudenza, non sarebbe stato possibile evitare l’ impatto; mentre la Regione deve dimostrare il caso fortuito.
Per la comprensione del suesposto principio occorre rammentare che a norma dell’art. 2052 c.c. “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
In proposito va ricordato che la responsabilità per fatto degli animali non è una normale ipotesi di responsabilità per omessa custodia, tant’è che risponde del danno il proprietario o chi si serve dell’animale, sia che l’animale sia sotto la sua custodia sia che sia smarrito o fuggito. La responsabilità trova fondamento cioè nell’uso dell’animale (anche solo potenziale) al fine di trarne una qualche utilità secondo la sua natura e la sua destinazione economica e sociale (secondo il principio del cuius comoda et incommoda; cfr. Cass. 98/12307).
La responsabilità per fatto degli animali è una tipica ipotesi di responsabilità oggettiva: non è dunque necessario provare la colpa del padrone o dell’utente, i quali rispondono anche se incapaci e per il solo fatto che il danno sia avvenuto a causa dell’animale (in presenza quindi di un nesso causale tra fatto dell’animale e danno), indipendentemente dalla condotta dei primi (Cfr. Cass. 70/1356). La norma in esame prevede in capo al proprietario/utente una presunzione di colpa iuris et de iure a vincere la quale non è sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell’animale ma occorre la prova del caso fortuito idonea a interrompere il nesso causale tra fatto dell’animale e danno.
Ai fini della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., è necessario però che il danneggiato provi, a monte, che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno. Non è cioè sufficiente, per il danneggiato, come detto, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto – anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ai sensi dell’art. 2054 c.c., co. 1 – ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità e irrazionalità tale per cui non sarebbe stato possibile evitare l’impatto, nonostante ogni cautela; di modo che il contegno dell’animale possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno (cfr. Cass. 23/11107).
Facendo corretta applicazione dei principi di diritto sopra indicati, il giudice di merito ha ritenuto, con accertamento in fatto non sindacabile in cassazione, che la prova richiesta non fosse stata fornita e ha conseguentemente rigettato la domanda di Tizio. Questa statuizione è agli occhi della Corte corretta e non censurabile. Da qui il rigetto del ricorso.
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