27 Marzo 2018

Tenuità del fatto e responsabilità amministrativa della società

di Redazione Scarica in PDF

Come noto, il D.Lgs. 231/2001 prevede una specifica responsabilità amministrativa a carico delle società, enti o associazioni anche prive di personalità giuridica qualora vengano commessi, nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica, particolari reati espressamente previsti dalla legge (c.d. reati presupposto).

Quindi in presenza dei presupposti applicativi previsti dalla norma, il giudice penale potrà applicare specifiche sanzioni pecuniarie, patrimoniali e interdittive che colpiscono il patrimonio aziendale e, conseguentemente, gli interessi economici dei soci.

In merito si ricorda che, per espressa disposizione normativa, le sanzioni previste per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:

la sanzione pecuniaria;

le sanzioni interdittive;

la confisca;

la pubblicazione della sentenza.

Inoltre, ulteriori sanzioni applicabili possono riguardare: la sospensione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, delle licenze o delle concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Esiste tuttavia una particolare causa di esclusione della responsabilità, qualora l’ente riesca a fornire la prova che:

l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e di gestione del rischio (c.d. “modello organizzativo 231”) idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del predetto modello, nonché di curare periodicamente il suo aggiornamento é stato affidato a un apposito organismo dell’ente (c.d. organismo di vigilanza), dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;

le persone interessate (es. dipendenti o altri soggetti), hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione del rischio;

non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo sopra indicato.

Ciò premesso, occorre comprendere come valutare l’eventuale esclusione della punibilità per tenuità del fatto a carico della persona fisica (es. il legale rappresentante dell’ente), con la responsabilità amministrativa dell’ente ex D.Lgs. 231/2001.

Infatti, l’articolo 131-bis del codice penale prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, stabilendo che nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.

Sul punto la Corte di Cassazione, sezione penale, con sentenza n. 9072 del 28 febbraio 2018, ha affermato che nell’ipotesi di non punibilità delle persone fisiche per particolare tenuità del fatto, in applicazione delle disposizioni sancite dall’articolo 131-bis del codice penale, il giudice può autonomamente accertare la responsabilità amministrativa a carico dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Nella vicenda sottoposta al vaglio di legittimità, il Tribunale di Grosseto dichiarava non punibili i soci di una società in accomandita semplice rilevando, simmetricamente, l’assenza di responsabilità dell’ente per il reato ambientale contestato, con conseguente irrilevanza dell’illecito “amministrativo” previsto dall’articolo 25-undecies del D.Lgs. 231/2001.

In merito gli ermellini, accogliendo il ricorso presentato dalla Procura generale presso la Corte di appello di Firenze, hanno chiarito che la sentenza di applicazione della causa di non punibilità ex articolo 131-bis c.p., pur producendo effetti sotto il profilo sanzionatorio come causa di non punibilità, non coinvolge il reato.

Infatti, la sentenza di non punibilità:

non può essere assimilata ad una sentenza di assoluzione, ma lascia intatto il reato nella sua esistenza, sia storica e sia giuridica (in dottrina di parla di “cripto condanna”);

deve essere comunque iscritta nel casellario giudiziale e reca un effetto di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di danno (quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso).

In definitiva, con riferimento alla circostanza esaminata, la suprema Corte ha rilevato che: “In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto, nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso; accertamento di responsabilità che non può prescindere da una opportuna verifica della sussistenza in concreto del fatto reato, in quanto l’applicazione dell’articolo 131-bis del c.p. non esclude la responsabilità dell’ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto; non potendosi utilizzare, allo scopo, automaticamente la decisione di applicazione della particolare tenuità del fatto, emessa nei confronti della persona fisica”.

Articolo tratto da “Euroconferencenews“