Ricorso del giudice al criterio dei cd. “netti patrimoniali”
di Ilaria Tironi, Dottoressa in legge Scarica in PDFCass. civ., Sez. I, Ord., 29/05/2024, n. 15054
Parole chiave: società di capitali – scioglimento – responsabilità degli amministratori – atti contrari alla conservazione del patrimonio sociale – liquidazione del danno
Massima: “Nell’ipotesi di responsabilità degli amministratori derivante da atti di gestione incompatibili con l’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., il giudice, ai fini della liquidazione del danno, può legittimamente ricorre al criterio dei cd. netti patrimoniali – inteso come confronto tra valori patrimoniali, dati dalla differenza tra il valore del patrimonio netto esistente al momento del verificarsi della causa di scioglimento e valore del patrimonio netto al momento della cessazione dalla carica o sino all’apertura della procedura concorsuale, a condizione che i) si versi nell’impossibilità di effettuare una ricostruzione analitica dei singoli effetti dannosi riconducibili alla condotta degli amministratori; ii) l’impiego del criterio in questione si giustifichi alla luce delle caratteristiche del caso concreto, avendo l’attore allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato ed essendo state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta.”
Disposizioni applicate: artt. 1223, 1226, 1227, 2056, 2485, 2486 c.c.
La vicenda da cui è originata l’ordinanza in commento trae origine dall’azione di responsabilità ex art. 2486 c.c. intentata dal Fallimento di una s.r.l. nei confronti degli ex amministratori della stessa, per avere questi ultimi compiuto atti riconducibili alla normale attività di impresa, nonostante l’avvenuta dissoluzione del capitale sociale derivante dalla perdita del valore di avviamento e dell’accertata minusvalenza del patrimonio mobiliare e immobiliare della società, il quale, integrando una causa di scioglimento della società, avrebbe dovuto obbligare gli amministratori ad adottare i rimedi previsti dalla legge per lo stato di insolvenza ex art. 2485 c.c. e a rispettare l’obbligo di conservare l’integrità e il valore del patrimonio sociale ex art. 2486 c.c..
Successivamente alla proposizione dell’impugnazione proposta dal Fallimento avverso la iniziale pronuncia di rigetto della domanda del Tribunale di Pavia, la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata con una sentenza di accoglimento e ha condannato gli ex amministratori al risarcimento del danno causato alla massa dei creditori, a seguito del compimento di atti incompatibili con il fine della conservazione del patrimonio sociale previsto dall’art. 2486. Per quanto concerne la liquidazione del danno, la Corte d’Appello ha fatto applicazione del criterio dei cd. “patrimoni netti”, determinando così il risarcimento dovuto dagli ex amministratori sulla base della differenza tra il patrimonio netto risultante al 31 dicembre 2006 (data di chiusura dell’esercizio nel quale è risultata la dissoluzione del capitale sociale, integrante la causa di scioglimento della società che avrebbe dovuto essere accertata dagli amministratori ex art. 2485 c.c.) e il patrimonio presente alla data di dichiarazione di fallimento.
A seguito di tale pronuncia, gli ex amministratori della società proponevano ricorso in Cassazione, sostenendo che l’impiego del criterio dei “patrimoni netti” da parte della Corte d’Appello fosse illegittimo, in quanto quest’ultima avrebbe dovuto accertare il pregiudizio economico in relazione ad ogni singolo atto gestorio posto in essere dagli amministratori, senza che vi fosse la possibilità di ricorrere all’utilizzazione di meccanismi presuntivi delle perdite realizzatesi.
A questo proposito, la Corte di Cassazione ha rigettato le doglianze dei ricorrenti, stabilendo che l’impiego del criterio dei cd. “patrimoni netti” – già elaborato dalla Corte in tema di liquidazione in via equitativa del danno da responsabilità per mala gestio degli amministratori di società ex artt. 2392 s. e 2476 c.c. – è legittima anche nel caso della violazione dell’obbligo di cui all’art. 2486 c.c., quando si versi nell’impossibilità per il giudice di effettuare una ricostruzione analitica dell’effetto dannoso dei singoli atti compiuti dagli amministratori, a causa dell’incompletezza dei dati contabili, o della notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento o liquidazione giudiziale. L’impiego di tale criterio di liquidazione è però subordinato all’accertamento positivo della congruità di tale meccanismo rispetto alle caratteristiche del caso concreto; al fine di compiere questa valutazione, si richiede che l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e che siano state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta. A sostegno di tale argomentazione, la Corte ha inoltre richiamato alcune sue pronunce aderenti al medesimo orientamento (cfr. Cass. n. 9983/2017, n. 24431/2019, n. 12341 / 2020, e n. 20979 /2023).
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