15 Settembre 2020

Responsabilità medica e accertamento del nesso di causalità

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ. sez. III, 6 luglio 2020, n. 13872 – Pres. Armano – Rel. Guizzi

[1] Responsabilità medica – Nesso di causalità – Probabilità logica – Criterio del più probabile che non – Prevalenza relativa della probabilità

(Cod. civ. art. 2043)

[1] “Il procedimento logico-giuridico da seguire ai fini della ricostruzione del nesso causale implica che l’ipotesi formulata vada verificata riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana), nel senso, cioè, che in tale schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma.”

CASO

[1] Una donna veniva ricoverata in ospedale in attesa di un intervento chirurgico di sostituzione di valvola mitrale che non veniva mai effettuato in quanto il giorno prima, a causa di un versamento pleurico, i medici intervenivano con una toracotomia e la paziente decedeva a causa di uno shock emorragico.

I figli e il marito agivano in giudizio contro l’Azienda ospedaliera per accertare la responsabilità per condotta colposa dei sanitari adducendo che questi ultimi, dopo aver eseguito manovra di toracentesi per versamento pleurico, non avrebbero effettuato gli opportuni controlli successivi, omettendo di diagnosticare tempestivamente l’emotorace massivo che aveva condotto alla morte della loro congiunta. In primo grado, il Tribunale accoglieva la loro domanda mentre in appello la sentenza veniva completamente riformata. Secondo la Corte d’appello, in particolare, la CTU medico-legale, pur dando atto degli inadempimenti e dei ritardi compiuti dai sanitari, non aveva concluso nel senso di poter stabilire con certezza il rapporto eziologico tra la toracentesi espletata dai sanitari e l’emotorace massivo insorto, soggiungendo, invece, che l’evoluzione del quadro clinico non consentiva di affermare che un eventuale esame radiologico avrebbe evidenziato elementi tali da far supporre un’emorragia. Inoltre, l’errore commesso in sede di perizia autoptica era stato quello di considerare, ai fini dell’accertamento della responsabilità, come eseguita l’operazione di sostituzione della valvola mitrale che, invece, non era mai avvenuta.

Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione i congiunti della vittima sulla base di due motivi.

SOLUZIONE

[1] Per quanto di interesse con il primo motivo di ricorso, proposto a norma dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 2697, 1218, 1176 e 2236 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., laddove il giudice d’appello ha ritenuto non raggiunta la prova in ordine al nesso di causalità e al carattere lesivo dell’operato medico in relazione sia all’esecuzione della manovra di toracentesi sia all’omesso esame radiologico successivo alla predetta manovra.

La Suprema Corte, dopo un’attenta disamina in tema di accertamento del nesso di causalità, ha ritenuto i motivi fondati e ha accolto il ricorso.

QUESTIONI

[1] La sentenza in epigrafe, all’esito di un articolato e complesso percorso argomentativo, ha ricostruito l’accertamento del nesso di causalità nell’ambito della responsabilità medica chiarendo, altresì, come deve operare la regula iuris del più probabile che non.

La Corte, dopo aver affermato che la responsabilità sanitaria è un sottosistema della responsabilità contrattuale, ha ribadito preliminarmente che la ricostruzione del nesso causale consta di due momenti:

  1. la causalità materiale tra la condotta e l’evento (o causalità fondativa) che ricorre quando il comportamento abbia generato o contribuito a generare l’evento (art. 40, 41 c.p.);
  2. la causalità giuridica, successiva all’accertamento della causalità materiale, la quale consiste nella determinazione dell’intero danno cagionato ed è oggetto dell’obbligazione risarcitoria (art. 1223, 1225, 1227 c. 2 c.c.).

La Corte ha ricordato, poi, che l’accertamento nella causalità materiale, a differenza dell’ambito penale, si basa sulla regola del più probabile che non– anche denominata “preponderanza dell’evidenza” – la quale costituisce, in realtà la combinazione di due regole differenti: la regola del “più probabile che non” e la regola della “prevalenza relativa della probabilità”.

  • La regola del più probabile che non, in particolare, implica che rispetto ad ogni enunciato si consideri l’eventualità che esso possa essere vero o falso ossia che sul medesimo fatto vi siano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa, sicchè, tra due ipotesi alternative, il giudice deve scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all’altra. In altri termini, secondo la Corte l’affermazione della verità dell’enunciato implica che “vi siano prove preponderanti a sostegno di essa: ciò accade quando vi sono una o più prove dirette – di cui è sicura la credibilità o l’autenticità – che confermano quell’ipotesi, oppure vi sono una o più prove indirette dalle quali si possono derivare validamente inferenze convergenti a sostegno di essa”.
  • La regola della prevalenza relativa della probabilità, invece, rileva nel caso di cd. “multifattorialità” nella produzione di un evento dannoso (come accaduto nel caso di specie quando all’ipotesi, formulata dall’attore, in ordine all’eziologia dell’evento stesso se ne affianchino altre) allorchè “sullo stesso fatto esistano diverse ipotesi, ossia diversi enunciati che narrano il fatto in modi diversi, e che queste ipotesi abbiano ricevuto qualche conferma positiva dalle prove acquisite al giudizio”, dovendo, invero, essere prese in considerazione “solo le ipotesi che sono risultate “più probabili che non”, poichè le ipotesi negative prevalenti non rilevano”. Orbene, ricorrendo tale evenienza, vale a dire se vi sono più enunciati sullo stesso fatto che hanno ricevuto conferma probatoria, la regola della prevalenza relativa implica che il giudice scelga come “vero” l’enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili.

Ciò posto, secondo la Suprema Corte, quello che viene a delinearsi è un modello di “certezza probabilistica” nel quale il procedimento logico-giuridico da seguire ai fini della ricostruzione del nesso causale implica che l’ipotesi formulata vada verificata riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (così Cass. Sez. Un., sent. n. 576 del 2008 e, recentemente, Cass. sez. III, ord. 29 gennaio 2018, n. 2061; Cass. sez. III, ord. n. 23197 del 2018).

All’esito di un ampio e approfondito iter argomentativo, pertanto, la Suprema Corte ha concluso accogliendo il ricorso. La sentenza d’appello impugnata, infatti, ha disatteso la regula iuris che impone di accertare il nesso di causalità materiale secondo il criterio – consono alla morfologia e alla funzione del sistema della responsabilità civile – del più probabile che non (o meglio, della preponderanza dell’evidenza), nel duplice significato illustrato.

In particolare, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare, sulla scorta delle evidenze probatorie acquisite (anche a mezzo della disposta di consulenza tecnica d’ufficio), innanzitutto, se l’ipotesi sulla verità dell’enunciato relativo all’idoneità della toracentesi a cagionare l’emotorace presentasse un grado di conferma logica maggiore rispetto a quella della sua falsità (criterio del più probabile che non). In secondo luogo essa avrebbe dovuto stabilire, in applicazione del criterio della prevalenza relativa della probabilità, se tale ipotesi avesse ricevuto, sempre su un piano logico, ovvero sulla base delle prove disponibili, un grado relativamente maggiore di conferma rispetto ad altrettante e differenti ipotesi sulla eziologia tanto dell’emotorace, quanto del decesso della paziente.