29 Marzo 2022

I presupposti e l’onere della prova sottesi all’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c.  

di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Bologna, Sezione Specializzata in materia di Impresa, Sentenza n. 1587/2020 pubbl. il 11/11/2020, RG n. 14048/2018.

Parole chiave: azione di responsabilità – società a responsabilità limitata – gravi irregolarità –– mala gestio – irregolarità gestionali

Massima: “La norma di cui all’art. 2476 c.c. contempla una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente dal primo comma della disposizione menzionata, in cui si fa riferimento alla inosservanza dei doveri quale criterio di valutazione e di imputazione della responsabilità, e dalla circostanza che il prosieguo della norma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Il comportamento rilevante ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità è solamente quello che abbia causato un danno, e la mancanza di quest’ultimo rende irrilevante il comportamento inadempiente ai fini dell’azione in esame, perché essa tende, per sua natura, al risarcimento”.

Disposizioni applicate: art. 2476 c.c., art. 146 L. fall, 2446 ss c.c.

Nel caso in esame il Fallimento attore ha convenuto in giudizio l’ex amministratore unico di una S.r.l. fallita, proponendo nei suoi confronti un’azione di responsabilità ex art.146 L.Fall. ed individuando i seguenti addebiti: (i) la predisposizione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2011 non veritiero, con il conseguente occultamento della effettiva condizione della società che già nel 2011 avrebbe presentato un patrimonio netto negativo e (ii) da quel momento fino alla dichiarazione di fallimento, il conseguente aggravamento del dissesto e dell’esposizione debitoria.

Il Fallimento attore ha quindi quantificato un danno di oltre 400.000 Euro depositando, a tal fine, una perizia di parte.

Costituitosi in giudizio, l’amministratore ha contestato i fatti e la domanda attorea, chiedendo in ogni caso di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, ossia l’amministratore della società prima di lui che aveva gestito la medesima sin dal momento della sua costituzione, avvenuta nel marzo del 2011; ciò al fine di dimostrare che, già in quel momento ed ancor prima della sua nomina, la società aveva una rilevante esposizione debitoria che ne avrebbe determinato il successivo fallimento.

Il Tribunale delle Imprese di Bologna ha preliminarmente ricordato la natura e la finalità dell’azione di cui all’art. 2476 c.c., ossia strutturare una responsabilità in termini colposi (consentendo agli amministratori di andare esenti dalla medesima fornendo la prova positiva di essere immuni da colpa) e causativa di un danno, poiché la mancanza di un danno per la società rende irrilevante un eventuale comportamento inadempiente.

Al riguardo, il Tribunale ha poi richiamato il noto orientamento espresso dalla storica sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 13533 del 2001 che, in linea con la suddetta ricostruzione, afferma che “l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno” e che “dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale ex art. 1218 cc della responsabilità nei confronti della società consegue che sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), anche solo mediante allegazione, oltre agli elementi costitutivi della domanda risarcitoria”.

Ne consegue che a carico dell’amministratore grava l’onere di dimostrare di aver correttamente adempiuto e di essere, quindi, esente da colpa.

Orbene, nel caso di specie, tale onere probatorio non è stato assolto poiché il Giudice istruttore ha rilevato che nel bilancio al 31 dicembre 2011 era effettivamente presente una falsa rappresentazione di alcune poste tramite la quale era stato indicato un patrimonio netto positivo, in luogo di un patrimonio rettificato in negativo per 498.000,00 Euro che avrebbe imposto l’adozione dei provvedimenti ex articoli 2446 ss. c.c.

Le scritture contabili degli anni successivi erano poi state tenute solo formalmente fino alla fine del 2012, e in relazione agli anni 2013 e 2014 mancavano i registri Iva, il libro giornale, il libro dei cespiti, ed erano state omesse le dichiarazioni fiscali, con la conseguenza che non era possibile ricostruire la contabilità se non tramite le fatture emesse e ricevute.

A fronte di tali condotte, il Tribunale delle Imprese di Bologna ha quindi concluso confermando la mala gestio dell’amministratore convenuto, che ha violato i doveri di diligenza lui imposti dalla legge, partendo dalla falsa rappresentazione dei valori contabili, continuando con la mancata tenuta delle scritture, e così conducendo l’attività d’impresa senza alcun controllo dell’equilibrio economico, e finanziario della società, con il conseguente ed inevitabile aggravarsi del dissesto.

La quantificazione del danno derivante dalla protrazione dell’attività di impresa è stata quindi calcolata considerando la cd. “perdita incrementale” ossia la differenza dei netti patrimoniali tra il momento in cui la società avrebbe dovuto essere posta in liquidazione (ossia il 31 dicembre 2011 quando aveva già un patrimonio metto negativo per Euro 498.000,00) e il momento in cui è stato dichiarato il fallimento.

Considerando inoltre l’ammontare dei costi ineliminabili che avrebbero dovuto essere sostenuti nel tempo ragionevolmente necessario per liquidare ordinatamente l’attivo della società, il Tribunale ha quantificato un danno ascrivibile alla responsabilità dell’amministratore equitativamente individuato nella somma finale di Euro 414.000,00, oltre alla condanna alle spese di lite.

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