2 Novembre 2022

L’onere della prova del curatore fallimentare nell’azione di responsabilità nei confronti del collegio sindacale

di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, sez. I, ordinanza n. 30383 del 17 ottobre 2022

Parole chiave: società di capitali – azione di responsabilità – sindaci – collegio sindacale – mala gestio – onere della prova.

Massima: “Ai fini dell’accertamento della responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori, l’attore deve fornire la prova non solo dell’inadempimento dei doveri dei sindaci e del danno conseguente alla condotta degli amministratori, ma anche del rapporto di causalità tra l’inerzia dei primi ed il danno arrecato alla società, dal momento che l’omessa vigilanza in tanto rileva in quanto possa ragionevolmente ritenersi che l’attivazione del controllo avrebbe consentito di evitare o limitare il pregiudizio. Alla stregua di tali principi, un’inversione dell’onere di provare il nesso causale è configurabile soltanto quando l’assoluta mancanza ovvero l’irregolare tenuta delle scritture contabili rendano concretamente impossibile al curatore fornire la relativa dimostrazione, dal momento che in tale ipotesi la condotta del sindaco, che integra la violazione di obblighi specificamente posti a suo carico dalla legge, risulta di per sé idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio della società”.

Disposizioni applicate: artt. 2390 ss. c.c., art. 2394 c.c., art. 146 L. Fall, art. 2477 c.c.

Con il giudizio in esame, il curatore del fallimento di una S.r.l. ha convenuto l’amministratore unico della società fallita, nonché i componenti del collegio sindacale, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla società, quantificati in misura pari alla differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare.

In particolare, il curatore sosteneva che dalla documentazione contabile emergevano numerose irregolarità e falsità poste in essere dall’amministratore e dai sindaci, in accordo tra loro, al solo fine di occultare alcune operazioni attuate in frode ai creditori e alla compagine sociale e di dissimulare la reale situazione economico-patrimoniale della società per evitare una denuncia di completa erosione del capitale sociale e mancata applicazione delle misure di cui all’art. 2477 c.c.

Dopo l’accoglimento della domanda del curatore da parte del Tribunale di Marsala, la sentenza, impugnata dai tre componenti del collegio sindacale, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Palermo la quale aveva ritenuto non condivisibili le conclusioni della sentenza e del CTU di primo grado, ritenendo più convincenti le conclusioni del CTU nominato in appello.

Quest’ultimo aveva infatti precisato che lo stato d’insufficienza patrimoniale con azzeramento del capitale sociale si era verificato soltanto alla fine del 2003, e solo nel 2004 si erano verificati i fatti che rivelavano l’intenzione dell’amministratore di portare la società al fallimento, fatti a seguito dei quali il collegio sindacale si era però immediatamente attivato, promuovendo un procedimento di denuncia ex art. 2409 c.c. ed invitando l’amministratore a mettere a disposizione la documentazione per il controllo delle esposizioni e a convocare l’assemblea straordinaria per le deliberazioni di legge.

A seguito di tali pronunce, con il primo motivo d’impugnazione, il fallimento aveva rilevato che la Corte d’appello si era totalmente appiattita sulle conclusioni svolte dal CTU d’appello, senza considerare i rilievi sollevati dalla difesa in merito alla valutazione di alcune poste contabili (come le rimanenze di magazzino e fatture di ingente valore sottratte dall’attivo della società), la cui falsità aveva comportato la mancata rilevazione di perdite certe, e quindi l’azzeramento del capitale sociale, senza alcuna vigilanza o intervento da parte del collegio sindacale.

Con il secondo motivo d’impugnazione, il fallimento aveva poi censurato la sentenza impugnata per aver posto a suo carico l’onere di fornire la prova del nesso di causalità tra l’operato dei sindaci ed il pregiudizio cagionato dalla condotta dell’amministratore, nonostante l’accertato compimento di atti di mala gestio da parte di quest’ultimo e la ritenuta insufficienza dei controlli effettuati dal collegio sindacale.

In risposta a tali motivi, la Corte di Cassazione ha preliminarmente osservato che il giudice d’appello aveva adeguatamente assolto il proprio dovere di motivazione, giustificando l’esclusione della responsabilità dei sindaci in virtù di un accurato esame delle relazioni depositate dai CTU di primo e secondo grado, ponendole a confronto sia tra di loro che con le censure sollevate dai difensori delle parti.

Quanto invece alla lamentata violazione della ripartizione dell’onere probatorio, la Corte di Cassazione ha richiamato il principio già costantemente ribadito e consolidato in sede di legittimità, principio in base al quale, ai fini dell’accertamento della responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori, l’attore deve fornire la prova non solo dell’inadempimento dei doveri dei sindaci e del danno conseguente alla condotta degli amministratori, ma anche del rapporto di causalità tra l’inerzia dei primi ed il danno arrecato alla società, dal momento che l’omessa vigilanza in tanto rileva in quanto possa ragionevolmente ritenersi che l’attivazione del controllo avrebbe consentito di evitare o limitare il pregiudizio (cfr. Cass., Sez. I, 11/12/2020, n. 28357; 29/10/2013, n. 24362).

Alla stregua di tale principio, un’inversione dell’onere di provare il nesso causale è configurabile soltanto quando l’assoluta mancanza ovvero l’irregolare tenuta delle scritture contabili rendano concretamente impossibile al curatore fornire la relativa dimostrazione, dal momento che in tale ipotesi la condotta del sindaco, che integra la violazione di obblighi specificamente posti a suo carico dalla legge, risulta di per sé idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio della società (cfr. Cass., Sez. I, 4/04/2011, n. 7606; 11/03/2011, n. 5876; 19/12/ 1985, n. 6493).

Applicando tali assunti al caso in esame, la Corte di Cassazione ha quindi evidenziato che il fallimento ricorrente non aveva né allegato, né denunciato alcunché in merito alla tenuta delle scritture contabili della fallita ed, anzi, le irregolarità contestate all’amministratore ed ai sindaci erano state accertate dal curatore proprio sulla base della documentazione contabile in possesso della società.

Pertanto, il ricorso in cassazione è stato dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti.

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