22 Novembre 2022

L’inutile decorso del termine per accettare l’eredità ex art. 481 c.c. può anticipare l’effetto automatico dell’accrescimento

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. II, 6 ottobre 2022, n. 29146 – D’ASCOLA – Presidente – BELLINI – Relatore.

(Artt. 467, 481, 523 e 674 cod. civ.)

Massima: La revoca formale della rinuncia all’eredità sopraggiunta in pendenza del termine per l’accettazione fissato all’erede in rappresentazione, senza che questi abbia accettato, impedisce che possa aver luogo l’accrescimento a favore dei chiamati congiuntamente con il rinunziante. Una volta concesso il termine, tale effetto si sarebbe realizzato solo dopo lo spirare del termine, e sempre che, nel frattempo, non fosse intervenuta la revoca della rinunzia da parte del rinunziante o l’accettazione da parte del chiamato per rappresentazione”

CASO

Il giudizio trae origine dalla domanda di accertamento della natura (asseritamente) simulata di alcune compravendite avvenute tra il convenuto M.R. e il proprio nonno, con richiesta, da parte attorea, di condanna di M.R. alla reintegrazione del patrimonio del nonno, ormai defunto, con il valore dei beni immobili di cui alle sopracitate compravendite e, in ogni caso, di reintegrazione delle quote riservate agli attori legittimari.

M.R. si costituiva in giudizio chiedendo che fosse dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva e il rigetto delle domande attoree. Il Giudice disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di P.M.R., padre di M.R. e figlio del de cuius, il quale formulava eccezione di carenza di legittimazione passiva in quanto aveva precedentemente rinunciato all’eredità del proprio padre. Il Giudice assegnava, quindi, a M.R. il termine per l’accettazione dell’eredità ex art. 481 c.c

Prima che decorresse il termine per l’accettazione dell’eredità assegnato a M.R. dal Giudice di prime cure, P.M.R. si costituiva in giudizio dando atto di aver revocato la rinuncia all’eredità e di aver pertanto assunto la qualità di erede.

Con sentenza parziale il Tribunale dichiarava aperta la successione del de cuius, accoglieva la domanda di simulazione di parte attrice e disponeva la rimessione della causa in istruttoria.

Avverso tale sentenza proponeva appello M.R. nella parte in cui il Giudice di primo grado aveva ritenuto inammissibili, perché intempestive, le istanze istruttorie. Contestualmente proponeva appello incidentale P.M.R. con riguardo all’avvenuto acquisto dell’eredità da parte dei coeredi prima che il medesimo revocasse la rinuncia.

Pronunciandosi sugli aspetti che in questa sede interessa commentare, la Corte d’Appello rilevava che la quota ereditaria spettante a P.M.R. sarebbe stata devoluta per rappresentazione al figlio M.R. se questi avesse accettato tempestivamente nel termine assegnatogli dal Giudice e che la rappresentazione limita il diritto all’accrescimento dei coeredi solo se effettivamente esercitata.

Inoltre, la Corte d’Appello rappresentava che la revoca della rinuncia può avvenire fintanto che uno degli altri chiamati non abbia nel frattempo accettato l’eredità. Tuttavia, nel caso di specie, l’accettazione degli altri chiamati era intervenuta prima che il Giudice delle prime cure assegnasse a M.R. il termine ex art. 481 c.c., motivo per cui l’azione interrogatoria non sarebbe stata idonea a provocare l’accettazione dell’eredità per rappresentazione e ciò in conformità al principio di diritto secondo cui, in tema di rinuncia all’eredità, sussiste la perdita al diritto all’eredità ove sopraggiunga l’acquisto da parte di altri chiamati senza che sia necessaria una specifica accettazione da parte di questi ultimi.

SOLUZIONE

Limitando, in questa sede, la trattazione alla questione oggetto dell’appello incidentale proposto da P.M.R., si rileva che la Suprema Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, sulla base del seguente principio: quando la rinunzia all’eredità proviene da chi sia chiamato congiuntamente con altri, l’assegnazione al chiamato per rappresentazione di un termine ex art. 481 c.c., ancora pendente, non esclude il diritto del primo chiamato di revocare la rinuncia all’eredità.

In altri termini, la revoca della rinuncia all’eredità sarebbe valida e produttiva di effetti, anche se effettuata in pendenza del termine ex art. 481 assegnato al chiamato per rappresentazione.

In particolare, l’art. 525 c.c. prevede per il chiamato che abbia in un primo momento espresso la sua rinuncia all’eredità, la possibilità di accettarla in un secondo momento – tramite una revoca formale della rinuncia; ciò in forza dell’originaria delazione e sempre che questa non sia venuta meno in conseguenza dell’acquisto compiuto da altro chiamato.

In quest’ultimo caso, per effetto della rinuncia si andrebbero infatti ad accrescere le quote spettanti agli altri chiamati, così rendendo la rinuncia irrevocabile perché avente ad oggetto una quota non più disponibile.

Quando invece ricorrono i presupposti della rappresentazione, il diritto di accrescimento rimane subordinato al fatto che il rappresentato non voglia o non possa accettare, e non ci siano suoi ulteriori discendenti (art. 469 c.c.).

Fino a quel momento, vi è una coesistenza del diritto di accettare l’eredità a favore tanto del chiamato rinunciante (attraverso la revoca alla rinuncia) quanto dei chiamati in ordine successivo, con relativa persistenza della delazione del rinunciante con quella del chiamato ulteriore.

La Corte rileva che, a sua volta, l’acquisto dell’eredità da parte dei chiamati in ordine successivo necessita di accettazione espressa o tacita, accettazione che, di regola, può avvenire nell’ordinario termine di prescrizione decennale, salvo che si conceda un termine più breve ex art. 481 c.c.

In linea di principio, tuttavia, come si è detto, la concessione del termine di cui all’art. 481 c.c. non preclude il diritto del primo chiamato, rinunciante, di revocare l’atto abdicativo ma tale revoca, per essere efficace, deve intervenire entro il termine assegnato al chiamato in subordine ex art. 481.

In conclusione, la Suprema Corte afferma che la formale revoca della rinuncia sopraggiunta in pendenza del temine per l’accettazione dell’eredità concesso all’erede in rappresentazione senza che questi abbia accettato impedisce che possa aver luogo l’accrescimento a favore dei soggetti chiamati congiuntamente al rinunciante. L’accrescimento, pertanto, si sarebbe potuto realizzare solo dopo lo spirare del termine ex 481 c.c. e sempreché, nel frattempo, non sia intervenuta la revoca della rinuncia da parte del rinunciante o l’accettazione da parte del chiamato per rappresentazione.

QUESTIONI

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte torna a pronunciarsi sul rapporto tra rappresentazione e accrescimento nell’ipotesi di chiamata congiuntiva, che si realizza “quando più eredi sono istituiti con uno stesso testamento nell’universalità dei beni, senza determinazione di parte o in parti uguali, anche se determinate” [1], ed in particolare si occupa dell’ipotesi della rinuncia all’eredità cui abbia fatto seguito la revoca della rinuncia stessa.

In particolare, il punto di partenza della riflessione è da individuarsi nell’art. 525 c.c., che prevede la possibilità, per il chiamato all’eredità che vi abbia rinunciato, di accettarla in un secondo momento – tramite una revoca formale della rinuncia – purché ciò avvenga nel termine prescrizionale (di regola di dieci anni dall’apertura della successione)[2] previsto per l’accettazione, e sempre che non sia intervenuto l’acquisto dell’eredità da parte di altro chiamato.

Più precisamente, nel caso in esame, il chiamato istituito erede in base al testamento aveva rinunciato, ed operava quindi, sussistendone i presupposti, la rappresentazione. Tuttavia, perché il rappresentante possa subentrare al proprio ascendente, occorre da parte sua una accettazione dell’eredità che può avvenire, secondo i principi generali, nelle forme dell’accettazione espressa, dell’accettazione con beneficio di inventario, o dell’accettazione per fatti concludenti (c.d. “accettazione tacita”).

Secondo autorevole dottrina (G. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 172), il chiamato in subordine rispetto al rinunciante non acquisterebbe l’eredità per il sol fatto della rinuncia, ma acquisterebbe, in conseguenza della rinuncia, lo jus adeundae hereditatis, del quale sarebbe poi privato qualora intervenisse la revoca della rinuncia stessa prima dell’accettazione da parte del chiamato in subordine. D’altronde, occorre tenere conto del fatto che la rappresentazione prevale sempre rispetto all’accrescimento, secondo quanto stabilito dall’ultimo comma dell’art. 674 c.c.

Nella sentenza esaminata, dunque, non era ancora intervenuta accettazione da parte del rappresentante e, per questo motivo, era stato assegnato a quest’ultimo il termine ex art. 481 c.c., a tenore del quale lo spirare del predetto termine avrebbe prodotto la perdita del diritto di accettare l’eredità. Come affermato anche da recente Cassazione, il termine ex art. 481 c.c. è un termine di decadenza, essendo finalizzato a far cessare lo stato di incertezza che caratterizza l’eredità fino all’accettazione del chiamato. Ne consegue che, dal decorso di detto termine, in assenza della dichiarazione, discende la perdita del diritto di accettare, rimanendo peraltro preclusa ogni proroga di esso (Cass. civ., sez. II, 26/03/2012, n. 4849).

Conseguentemente, qualora il termine fosse spirato inutilmente e non vi fosse stata alcuna revoca della rinuncia, avrebbe operato l’accrescimento e, ciò, senza alcuna necessità di ulteriori accettazioni da parte di altri chiamati, come più volte affermato dalla Corte di legittimità (Cass. civ., sez. II, 12/10/2011 n. 21014; Cass. civ, sez. II, 21/05/2012 n. 8021).

Tuttavia, nella fattispecie in commento, la revoca della rinuncia da parte del primo chiamato è intervenuta validamente in pendenza del termine assegnato dal Giudice di prime cure a seguito dell’esperimento dell’actio interrogatoria. Ciò, secondo il principio della prevalenza della rappresentazione sull’accrescimento espresso dall’ultimo comma dell’art. 674 c.c., impedisce che possa aver luogo l’accrescimento a favore dei chiamati congiuntamente con il rinunciante. Tale effetto, come detto, una volta esperita l’actio interrogatoria, si sarebbe realizzato solo dopo l’inutile decorso del termine di cui all’art. 481 c.c., in quanto il diritto di accettare l’eredità, a quel punto, non sarebbe più stato disponibile né per il rappresentante né per il rinunciante.

[1] Cass., 10 ottobre 2012, n. 17267, in Famiglia e Diritto, 2013, 198.

[2] È interessante notare che l’art. 480 c.c. nel suo terzo comma, prevede che il termine decennale non corra per i chiamati ulteriori se vi è stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e, successivamente, il loro acquisto ereditario sia venuto meno. Ciò significa, in altri termini, che, fatta salva la predetta ipotesi, il termine corre per i chiamati ulteriori, e la Corte di Cassazione, con sent. n. 16426 del 27 settembre 2012, ha riconfermato questo principio argomentando proprio in base alla esperibilità della actio interrogatoria ex art. 481.

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