23 Novembre 2021

Le garanzie sulla consistenza patrimoniale di una società nel contratto di cessione di partecipazioni sociali

di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, Sentenza n. 6845/2020 pubblicata il 2 novembre 2020.

Parole chiave: Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Cessione di partecipazioni – Contratto di Cessione – Garanzia –

Massima: La cessione di azioni ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art.1497 cod. civ., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza (massima citata anche nella sentenza richiamata della Corte di Cassazione n.16031/2007).

Disposizioni applicate: articoli 1337, 1492, 1497 c.c.

Con il giudizio in esame la parte acquirente di una partecipazione pari all’80% di una S.r.l. ha opposto il decreto ingiuntivo ottenuto dalla venditrice per il recupero del corrispettivo della cessione, eccependo in particolare 1) la sussistenza di dolo contrattuale in capo alla venditrice, dal momento che dopo la cessione era emerso un ammanco di cassa per Euro 40.000,00 in capo ad una società posseduta al 95% dalla S.r.l. oggetto di cessione e 2) l’impossibilità di verificare tale ammanco prima della cessione in quanto la verifica della cassa e dei dati contabili della S.r.l era stata impedita dalla venditrice medesima  che aveva inoltre omesso di inserire nell’atto di cessione apposite clausole di garanzia al riguardo.

Secondo la parte acquirente si era quindi configurato un dolo omissivo, nonché una violazione degli obblighi di correttezza ed informazione ex art. 1337 c.c. nella fase preliminare delle trattative e della formazione del contratto id cessione; ciò avrebbe dovuto comportare una riduzione del prezzo di cessione (la cd. actio quanti minoris ex art. 1492 c.c.) già integralmente versato o, quanto meno e in subordine, un risarcimento del danno corrispondente all’ammanco di cassa.

Nell’affrontare la questione il Tribunale delle Imprese di Milano ha innanzitutto concesso la provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo opposto, richiamando poi nella sentenza finale il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo cui si può procedere con l’annullamento per errore di un contratto cessione di partecipazioni sociali o con la sua risoluzione per difetto di qualità della partecipazione venduta solo se il cedente (i) ha fornito specifiche garanzie contrattuali o (ii) ha agito con dolo configurando una situazione patrimoniale menzognera od omettendo informazioni importanti mediante malizie ed astuzie volte a trarre in inganno la parte acquirente quale persona di normale diligenza (cfr. le sentenze della Corte di Cassazione n. 16031/2007).

Nel caso di specie si trattava dunque di verificare, esclusa la presenza nel contratto di cessione di specifiche garanzie contrattuali, se la parte venditrice avesse rappresentato in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale della società oggetto di cessione, o se invece fossero state rese informazioni non veritiere rilevanti per la determinazione del prezzo di cessione e tali da viziare il processo formativo della volontà negoziale dell’altra parte (cfr. sentenza della Corte di Cassazione n. 16004/2014).

Al riguardo, parte opponente aveva indicato, quali indici di dolo e mala fede della venditrice, l’assenza nell’atto di cessione di apposite clausole di garanzia sulla consistenza patrimoniale della società normalmente pattuite in questo genere di negozi, oltre che il rifiuto della venditrice di consegnare la documentazione della società controllata da cui si sarebbe potuto evincere l’ammanco di cassa.

Il Tribunale ha tuttavia osservato che l’assenza di apposite garanzie contrattuali non è necessariamente indicativo di mala fede, ben potendo verificarsi anche una negoziazione in cui gli acquirenti sono pienamente consapevoli della situazione della società oggetto di cessione, così da ritenere non necessario l’inserimento di apposite garanzie.

Ha inoltre osservato che dalle risultanze istruttorie emergeva invece un diretto inserimento nelle vicende sociali del marito della parte acquirente (peraltro co-acquirente delle quote in questione), essendo lui stato amministratore della società controllata giù un mese prima della cessione, nonché amministratore della controllante, e risultando quindi inverosimile che la parte acquirente non avesse potuto in alcun accedere modo alla documentazione sociale.

In conclusione, quindi, il Tribunale ha rigettato l’opposizione di parte acquirente condannandola a versare alla venditrice il corrispettivo residuo della cessione.

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