19 Maggio 2020

L’art. 91 del decreto Cura-Italia e l’esclusione della responsabilità del debitore per ritardi e inadempimenti durante l’epidemia da Coronavirus

di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDF

Sintesi del focus

L’epidemia da Covid-19 e le misure di contenimento del Governo rendono più difficile adempiere ai contratti. Dal punto di vista civilistico, si pone la questione se il debitore risponda dei propri inadempimenti come avviene in situazioni ordinarie, oppure se la sua responsabilità venga alleggerita dalle drammatiche circostanze sanitarie che stiamo vivendo. L’art. 91 del decreto n. 18 del 2020 (“Cura-Italia”) prevede una esclusione della responsabilità del debitore. Si tratta di una disposizione di estrema importanza pratica per tutto il contenzioso che sta per sorgere in relazione ai contratti non correttamente adempiuti durante il periodo di emergenza epidemiologica.

Contenuto

L’art. 91 del d.l. n. 18 del 2020 recita: “il rispetto delle misura di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi pagamenti”.

La responsabilità del debitore va valutata alla luce di due eventi che, fino a gennaio 2020, erano del tutto inimmaginabili e imprevedibili, un fatto involontario e un atto volontario:

  • il fatto involontario è costituito dalla epidemia di Covid-19, fatto che può essere qualificato come “forza maggiore”: per effetto della pandemia gli adempimenti contrattuali sono diventati più difficili e in alcuni casi addirittura impossibili;
  • al fatto involontario si è aggiunto un atto volontario consistente nei provvedimenti del Governo che hanno limitato sia le libertà personali di circolazione sia le libertà di produrre delle imprese. A questi atti ci si può riferire come a un “fatto del principe” (factum principis), ossia a un provvedimento (o a più provvedimenti) che – vietando certe condotte – ostacolano o addirittura impediscono l’adempimento dei contratti.

L’art. 91 d.l. n. 18 del 2020 identifica esattamente le circostanze che possono essere invocate dal debitore per andare esente da responsabilità: si tratta delle misure di contenimento “di cui al presente decreto”. Il decreto richiamato è il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, nel frattempo convertito in legge (legge di conversione 5 marzo 2020, n. 13) e recante: “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”. L’art. 1 d.l. n. 6 del 2020 identifica le misure restrittive che possono essere adottate dalle autorità competenti. Fra di esse rientrano il divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata (lett. a), le chiusure di attività commerciali (lett. j) e la sospensione delle attività lavorative per le imprese (lett. n). Si tratta, all’evidenza, di misure che possono ridurre le capacità di lavoro e produttiva e determinare degli inadempimenti rispetto ai termini e alle condizioni fissate nei contratti commerciali.

L’art. 91 del d.l. n. 18 del 2020 configura una disposizione eccezionale. Di norma, difatti, la responsabilità del debitore è disciplinata dal severissimo art. 1218 c.c.: “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Il debitore deve dunque, in condizioni ordinarie, eseguire esattamente la prestazione, altrimenti deve risarcire il danno. L’unica via di fuga rispetto alla responsabilità è la dimostrazione, che deve fornire il medesimo debitore, che l’inadempimento o il ritardo sono stati determinati da eventi su quali non ha il controllo e che non gli sono in alcun modo imputabili.

L’art. 91 del decreto “Cura-Italia” capovolge la prospettiva. Esso prevede difatti una circostanza che esclude la responsabilità del debitore: questa circostanza è “il rispetto delle misure di contenimento”. Per misure di contenimento si intendono gli atti adottati dal Governo o dalle altre autorità competenti per ridurre i danni cagionati dal Coronavirus. Se il debitore rispetta le misure di contenimento, egli non può essere ritenuto responsabile.

Il testo legislativo prevede anzitutto che il rispetto delle misure di contenimento “è sempre valutato” ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore. L’espressione è chiaramente rivolta al giudice, il quale non può far finta che la disposizione speciale non esista e valutare la responsabilità del debitore con il consueto rigore previsto dall’art. 1218 c.c. Tuttavia l’espressione “valutazione” significa che il giudice ha discrezionalità nel suo giudizio. Difatti, all’esito di ogni valutazione del caso concreto, si può giungere a tre conclusioni differenti:

  • sussiste una responsabilità totale del debitore;
  • non sussiste alcuna responsabilità del debitore;
  • sussiste una responsabilità parziale del debitore.

L’art. 91 del decreto Cura-Italia prevede che le misure di contenimento debbano essere valutate ai fini della “esclusione” della responsabilità del debitore. Sotto questo profilo, forse la disposizione non è stata ben formulata e, oltre al caso della esclusione, si sarebbe potuto prevedere espressamente il caso della “limitazione” della responsabilità del debitore.

Il Legislatore poi evoca, oltre all’art. 1218 c.c., anche l’art. 1223 c.c. Si tratta della norma che stabilisce che “il risarcimento del danno per l’inadempimento o il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. Il richiamo all’art. 1223 c.c. non è di immediata comprensione. La disposizione disciplina il risarcimento del danno e le voci di cui esso si compone, distinguendo fra “danno emergente” e “lucro cessante”. Poiché l’art. 91 d.l. n. 18 del 2020 deroga all’art. 1218 c.c., il richiamo all’art. 1223 c.c. forse va inteso nel senso che il giudice ha la possibilità di modulare il danno, riconoscendo una somma inferiore al creditore, così punendo meno gravemente il debitore inadempiente? Si tratta ovviamente di una tesi azzardata, perché – se vi è responsabilità – a quel punto il danno va risarcito nella sua interezza. La distinzione fra danno emergente e lucro cessante di cui all’art. 1223 c.c. non ha nulla a che vedere con la valutazione equitativa del danno prevista dall’art. 1226 c.c. Anzi, il criterio della valutazione equitativa è residuale rispetto al criterio della esatta quantificazione del danno: la legge prevede che, solo se il danno non può essere provato nel suo ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.

L’art. 91 d.l. n. 18 del 2020 fa poi espresso riferimento a decadenze e penali. Si immagini che in un contratto sia previsto un termine essenziale. La legge prevede che, “se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa … se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto” (art. 1457 c.c.). Laddove le misure di contenimento abbiano impedito il rispetto di un termine essenziale, si può sostenere la tesi che il contratto non si risolva di diritto automaticamente per effetto del superamento del medesimo.

L’art. 91 d.l. n. 18 del 2020 richiama infine le penali, ossia le clausole che obbligano a risarcire il danno in caso di ritardo nell’adempimento. I limiti alla libera circolazione e, ancor più, la chiusura forzata di attività produttive ed esercizi commerciali può determinare ritardi negli adempimenti i quali – a rigore di contratto – potrebbero far scattare delle penali. La disposizione consente di (provare a) evitare di pagare le penali, invocando il rispetto delle misure di contenimento.