3 Maggio 2023

L’abuso di potere nelle deliberazioni assembleari assunte in forma totalitaria

di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Napoli – sentenza n. 3185/2022 pubblicata il 30 marzo 2022

Parole chiave: assemblea – assemblea totalitaria– società a responsabilità limitata– abuso di potere – abuso della maggioranza – buona fede

Massima: “Di fronte ad un’assemblea totalitaria, l’accertamento della presenza dell’intero capitale sociale e della maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo esclude la rilevanza della mancanza delle formalità previste per la convocazione assembleare, come affermato dalla giurisprudenza secondo cui l’assemblea totalitaria ha una “competenza generale, senza che rilevi l’eventuale violazione delle norme che disciplinano la convocazione”, e come confermato dalla disciplina di cui all’art. 2366 c. 4° c.c., da ritenersi applicabile anche alle assemblee delle S.r.l.. Inoltre, l’abuso della regola di maggioranza può determinare l’annullamento delle deliberazioni assembleari solo quando le stesse non trovino alcuna giustificazione nell’interesse sociale – per essere il voto ispirato al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure siano il risultato di una intenzionale attività fraudolenta diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza”.

Disposizioni applicate: 2379 bis c.c., 2366 c. 4° c.c., 1175 c.c. e 1375 c.c.

Con il provvedimento in esame il Tribunale di Napoli si è pronunciato in merito ad una domanda di invalidità e di annullamento di una delibera assembleare adottata nel contesto di una S.r.l. composta da due socie, una di minoranza con il 40% delle quote della società ed una società, socia di maggioranza, con il restante 60%.

In particolare, la socia di minoranza ha impugnato la delibera con cui, alla presenza di entrambe le socie e dei due liquidatori, con il voto favorevole della socia di maggioranza e contrario di quella di minoranza, sono stati revocati i liquidatori medesimi, espressione dell’intera compagine sociale, ed è stato nominato un nuovo liquidatore espressione della sola socia di maggioranza, con contestuale trasferimento della sede della liquidazione.

Secondo la ricostruzione dell’attrice, la delibera in questione sarebbe stata illegittima in quanto (i) la convocazione da parte della socia di maggioranza sarebbe avvenuta in violazione dello statuto sul falso presupposto dell’inattività di entrambi i liquidatori, smentito dal fatto che uno dei due aveva regolarmente inviato una convocazione assembleare per un’altra e diversa data, andata tuttavia deserta (iii) l’o.d.g. dell’assemblea impugnata non avrebbe contemplato gli ulteriori argomenti richiesti dalla socia di minoranza; e (iv) la revoca dei due liquidatori, con la nomina di un uno solo di fiducia della socia di maggioranza, ed il contestale trasferimento della sede della liquidazione e delle scritture contabili presso un indirizzo di esclusivo gradimento della medesima, avrebbero integrato, nell’insieme, un caso evidente di “eccesso di potere”, ovvero un comportamento palesemente contrario ai principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., diretto a favorire la socia di maggioranza a danno di quella di minoranza.

Secondo la socia di maggioranza, invece, non si era verificata alcuna illegittimità di convocazione dell’assemblea e nessuna violazione del diritto di partecipazione dei soci, essendosi trattato di un’assemblea totalitaria ed informata sugli argomenti all’ordine del giorno, ed era altresì infondata la tesi relativa all’eccesso di potere e alla violazione dei principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., in quanto i liquidatori revocati non avevano mai assunto provvedimenti sulla scorta dei poteri conferiti ed, anzi, avevano tenuto un comportamento scorretto che aveva fatto venir meno la fiducia sottesa al loro mandato.

Ciò posto, il Tribunale delle Imprese di Napoli ha evidenziato:

  • che la censura attorea relativa al vizio di convocazione dell’assemblea era priva di fondamento, assumendo rilevanza dirimente il dato incontestato che si era trattato di un’assemblea totalitaria e, anche nel caso più grave di una mancata convocazione, è noto come l’art. 2379 bisc., precluda al socio che, pur non essendo stato convocato, abbia partecipato all’assemblea così consentendone lo svolgimento, di impugnare la delibera conseguentemente assunta; ciò in applicazione del principio generale, immanente nel sistema del diritto societario, di garantire, il più possibile, la stabilità delle decisioni assembleari, con la conseguenza che di fronte ad un’assemblea totalitaria, quale quella del caso in esame, l’accertamento della presenza dell’intero capitale sociale e della maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di controllo esclude la rilevanza della mancanza delle formalità previste per la convocazione assembleare. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’assemblea totalitaria ha “competenza generale, senza che rilevi l’eventuale violazione delle norme che disciplinano la convocazione” (Trib. Roma, 25 settembre 2007, in Riv. Dir. Comm., 2008, II, 1; nello stesso senso Id. Milano, 21 ottobre 2004, in Rep. Foro It., 2005, voce “Società”, n. 2005), come confermato dalla disciplina di cui all’art. 2366 c. 4° c.c., da ritenersi applicabile anche alle assemblee delle S.r.l., per cui – in ipotesi di qualunque violazione delle modalità di convocazione, comprese quelle che cagionerebbero la nullità delle delibere (come la mancata convocazione) – il possibile rilievo officioso del vizio (di fronte alla preclusione operante per il socio non convocato, ma comunque intervenuto alla riunione) sarebbe escluso; e
  • priva di fondamento era anche la seconda doglianza dell’attrice in merito all’eccesso di potere della socia di maggioranza in quanto, seppur sia vero che l’esecuzione del contratto di società deve essere improntata ai noti canoni di correttezza e buona fede, l’abuso della regola di maggioranza (quale species del più ampio genus dell’abuso del diritto) può determinare l’annullamento delle deliberazioni assembleari solo quando le stesse non trovino alcuna giustificazione nell’interesse sociale – per essere il voto ispirato al perseguimento, da parte dei soci di maggioranza, di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure siano il risultato di una intenzionale attività fraudolenta diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza, circostanze, queste, non dimostrate, né allegate nel caso di specie.

Alla luce delle suddette considerazioni, il Tribunale delle Imprese di Napoli ha quindi rigettato le domande della socia attrice, condannando quest’ultima anche alla rifusione delle spese di lite in favore della socia intervenuta.

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