3 Maggio 2023

Non è dovuto il risarcimento se dal deterioramento della cosa locata non è conseguito un danno patrimoniale al locatore

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte Suprema di Cassazione, Sez. III, Civile, Ordinanza n.8526 del 6 maggio 2020, Pres. Dott. Frasca Raffaele, Est. Dott.ssa Gorgoni Marilena.

Massima: “L’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione contrattuale è di per sé un illecito, ma non obbliga l’inadempiente al risarcimento se, in concreto, non è derivato un danno al patrimonio del creditore, neppure nell’ipotesi disciplinata dall’art. 1590 c.c. Ne consegue che il conduttore non è tenuto al risarcimento se dal deterioramento della cosa locata, superiore a quello corrispondente all’uso della stessa in conformità del contratto, per particolari circostanze non è conseguito un danno patrimoniale al locatore. (Nella specie, la riconsegna era avvenuta per consentire che l’immobile, destinato ad attività alberghiera, fosse sottoposto a ristrutturazione, sulla quale il deterioramento non aveva avuto alcuna incidenza economica)”.

CASO

Tizia riportava di aver ricevuto in restituzione dalla (OMISSIS) S.r.l., al termine del rapporto locatizio, l’albergo (OMISSIS), di averlo accettato con riserva di ogni diritto ed azione, di avere conferito all’arch. Caio l’incarico di verificarne le condizioni e di avere successivamente tentato invano di addivenire con la conduttrice ad una soluzione concordata quanto alle spese risultate necessarie per far fronte alla manutenzione dell’immobile e per adeguarlo alla normativa antincendio.

Successivamente la proprietaria veniva convenuta dalla società (OMISSIS) S.r.l. dinanzi al Tribunale di Savona affinché venisse condannata al pagamento dell’indennità di avviamento[1] quantificata in Euro 59.306,21, nonché al pagamento dell’indennità di cui all’art. 31 della medesima legge, quantificata in Euro 135.557,05, sul presupposto che non avesse avviato, come invece avrebbe dovuto, l’attività alberghiera nell’immobile entro sei mesi dalla sua riconsegna o, in via subordinata, al pagamento di Euro 59.306,21, della L. n. 392 del 1978, ex articolo 34, comma 1, ove fosse emerso che l’attività alberghiera fosse stata avviata entro un anno dalla restituzione del bene locato.

Tizia contestava la debenza delle indennità richieste per varie ragioni: perché all’immobile non erano stati apportati i necessari adeguamenti alla normativa antincendio; perché il contratto era cessato per scadenza naturale del termine ed, infine, perché era stato necessario eseguire dei lavori sull’immobile provocati dallo stato di cattiva manutenzione. Pertanto, attraverso la proposizione di riconvenzionale, la proprietaria domandava “il pagamento dei canoni dovuti dalla scadenza del contratto al momento della riconsegna, quantificati in Euro 7.060,25, il pagamento delle imposte di registro, il risarcimento dei danni derivanti dal deterioramento dell’hotel imputabile alla società conduttrice, quantificati in Euro 400.000,00”.

Il Tribunale di Savona infine accoglieva la domanda della (OMISSIS) S.r.l. relativa all’indennità di avviamento, quantificandola in Euro 59.306,21, riteneva fondata la domanda della ricorrente relativa all’indennità per ritardato rilascio e quella volta ad ottenere la corresponsione dell’imposta di registro per la somma di Euro 8.579,25, rigettava la domanda risarcitoria di (OMISSIS) per i lavori di manutenzione ordinaria dato che la locatrice, dopo la riconsegna dell’albergo, aveva provveduto alla sua integrale ristrutturazione e non alle riparazioni di singoli deterioramenti.

Tizia proponeva giudizio di gravame, sostenendo di aver provveduto non ad una ristrutturazione dell’albergo, ma ad vero e proprio integrale restauro dei pavimenti, degli infissi e delle pareti reso necessario dai danni provocati dalla conduttrice; si costituiva presentando appello incidentale la società (OMISSIS), lamentando il rigetto delle sue ulteriore richieste. In merito a tali richieste, la Corte d’Appello di Genova, con la sentenza oggetto del qui commentato ricorso, si pronunciava  rigettando entrambe e compensando tra le parti le spese di lite.

Tizia ricorreva pertanto per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello ligure formulando due motivi.

SOLUZIONE

La Suprema Corte di Cassazione dichiarò il ricorso inammissibile, condannando la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, diede atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

QUESTIONI

Attraverso il primo motivo la ricorrente rilevò la nullità della sentenza gravata e la violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma I, n. 4, nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., ex articolo dell’articolo 360 c.p.c., comma I, n. 3. La sentenza, spiegò, avrebbe deciso ultra petitum, non essendo mai stato affermato o dedotto dalla società conduttrice un riconoscimento dell’inesistenza del danno o una rinuncia a farlo valere.

Oltre a ciò, il provvedimento avrebbe violato i criteri legali di interpretazione del contratto relativamente al verbale di riconsegna dell’immobile nella parte in cui risultava che il bene immobile fosse stato accettato con riserva di ogni diritto ed azione, quindi, con l’intento, da parte della locatrice, di non rinunciare a nessun diritto ed azione connessi alla riconsegna dell’albergo tenuto conto dello scopo del verbale di riconsegna e del comportamento anteriore e successivo delle parti.

Con il secondo motivo la ricorrente censurò la sentenza sottolineando la violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1588 e 1590 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Oggetto di doglianza fu l’applicazione dell’orientamento della Suprema Corte in virtù del quale, anche nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 1590 c.c., l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione contrattuale integrerebbe ex sé un illecito, ma non comporterebbe l’obbligo per l’inadempiente di risarcire il danno se in concreto non ne è derivato un danno al patrimonio del creditore. Tale indirizzo implicherebbe, dunque, che il conduttore non sarebbe tenuto al risarcimento allorquando dal deterioramento della cosa locata superiore a quella corrispondente all’uso normale della medesima, per particolari circostanze, non dovesse derivare un danno al patrimonio del locatore.

Riportandosi al caso concreto, il ricorrente assumeva che non vi fosse stata alcuna ristrutturazione dell’immobile tale da assorbire totalmente i danni cagionati dalla conduttrice, mentre la Corte territoriale, essendosi limitata a prendere in esame il valore della domanda risarcitoria e la durata dei lavori programmati dopo la riconsegna non avrebbe tenuto conto che i lavori più significativi eseguiti avevano riguardato interventi diversi e distinti da quelli relativi al ripristino delle parti deteriorate.

I giudici di Cassazione, preliminarmente, valutarono che, per il principio processuale della “ragione più liquida”, la controversia non potesse essere decisa sulla base della questione sollevata con il motivo numero due di più agevole soluzione, la cui inammissibilità assorbì ogni altra questione dibattuta fra le parti.

Gli Ermellini ritennero che la censura della ricorrente non potesse essere accolta, poiché, sebbene introdotta attraverso la denuncia di un error in iudicando, la sostanza della domanda chiedeva che fosse effettuata una rivalutazione dei fatti che hanno portato il giudice a quo ad una statuizione “sgradita” alla ricorrente. Venne ulteriormente ribadito che si pone in pieno contrasto con i limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità sollecitare una nuova valutazione dei fatti di causa, posto che l’accoglimento di tale richiesta implicherebbe la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito.

Come evidenziato dal Giudice di gravame, la ricorrente aveva depositato agli atti, preventivi di spesa per interventi molto consistenti da realizzare in previsione della riapertura dell’albergo dopo la sua riconsegna. Tale circostanza aveva comportato che, essendo l’immobile destinato a subire un significativo mutamento strutturale, gli interventi necessari alla riparazione dei danni riscontrati al momento della riconsegna dell’immobile erano divenuti irrilevanti e superflui. Peraltro, “dalla sentenza emerge – cfr. pp. 12-13 – che la CTU aveva notevolmente ridimensionato, rispetto a quelli richiesti, i danni attribuiti al deterioramento dell’albergo non derivanti dal suo normale utilizzo, escludendo, ad esempio, la lucidatura a piombo per molti degli ambienti, riscontrando l’ammaloramento di sole 7 finestre esterne e limitandosi ad ipotizzare che la moquette dovesse essere sostituita, perché’ non era stato possibile effettuare una perizia prima degli interventi posti in essere dalla proprietaria dell’hotel”.

La Corte ligure, richiamando la decisione della cassazione n. 17964 del 14/08/2014, ritenne che la ricorrente non avesse subito un danno effettivo derivante dai lavori necessari a riparare l’albergo, aderendo al principio secondo cui “nell’ambito delle relazioni tra soggetti di diritto privato, l’obbligo di risarcire non ha di regola fini sanzionatori in quanto la funzione primaria dell’obbligo di risarcimento è quella di compensare il pregiudizio arrecato restaurando almeno per equivalente la situazione patrimoniale del danneggiato quale era prima dell’illecito. Il diritto al risarcimento postula quindi, ed indispensabilmente, l’effettività del verificarsi di un danno, che, come tale, sia stato concretamente sofferto, non essendo sufficiente la mera potenzialità configurabile in astratto“.

La prova dei danni derivanti dal deterioramento dell’albergo non fu pertanto sufficiente a far ritenere sussistente il danno materiale subito, essendo necessaria l’allegazione della prova della diminuzione del valore economico della cosa rientrata nel patrimonio del debitore ovvero quella di un incremento dei costi di ristrutturazione derivanti dalla mancata manutenzione ordinaria del bene.

Venne inoltre sottolineato come la stessa pronuncia richiamata dalla ricorrente[2], ha stabilito che non è possibile imputare al conduttore altro se non le spese necessarie al ripristino del bene per riportarlo nelle stesse condizioni in cui era all’inizio della locazione, ad esclusione fatta del deterioramento derivante dall’uso conforme al contratto (articolo 1590 c.c., comma 1), e “non quelle inerenti alle ristrutturazioni ed ai miglioramenti che vadano oltre questi limiti“, che il locatore è libero di eseguire a proprie spese. Inoltre, trattandosi di un accertamento di fatto, sarebbe risultato sufficiente che la ricorrente avesse lamentato che il giudice a quo avesse erroneamente valutato le evidenze istruttorie, occorrendo semmai soddisfare l’onere di precisare quali circostanze e quali fatti se diversamente considerati dal giudice avrebbero potuto portare ad una decisione di segno opposto.

Indi per cui, il motivo di ricorso così come formulato (cioè per avere omesso di precisare quali lavori la ricorrente avesse in concreto eseguito) risultò affetto da genericità e dunque, inammissibile anche ai sensi del principio di diritto consolidato[3].

[1] Ex L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 1.

[2] N. 23271 del 3/07/2008.

[3] Cass. 04/03/2005 n. 4741, ribadito da Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074.

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