10 Ottobre 2023

Il custode di azioni date in pegno risponde della perdita di valore se non si attiva tempestivamente per la loro liquidazione

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 6 marzo 2023, n. 6549 – Pres. Valitutti – Rel. Fidanzia

Parole chiave: Pegno – Creditore pignoratizio e custode di beni oggetto di pegno – Conoscenza di informazioni in ordine al possibile deterioramento del valore economico del bene in garanzia – Dovere di buona fede – Obbligo di tempestiva ed efficiente liquidazione del bene – Sussistenza

[1] Massima: “In tema di pegno di azioni, il creditore pignoratizio che sia a conoscenza di informazioni sul rischio di un sensibile deterioramento del valore economico del bene in garanzia è obbligato a fornirle immediatamente al debitore e a procedere alla tempestiva ed efficiente liquidazione dei beni oggetto della garanzia; ove le parti si siano avvalse della facoltà prevista dall’art. 2786, comma 2, c.c., analogo obbligo di custodia delle cose date in pegno, improntato al superiore principio di buona fede, sorge in capo al terzo, potendo la sua responsabilità concorrere in solido con quella del creditore pignoratizio”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1175, 1176, 2786, 2790, 2795

CASO

Per garantire una linea di credito concessagli, il proprietario di 500.000 azioni le costituiva in pegno presso l’istituto di credito finanziatore.

Dopo alcuni anni, la società le cui azioni avevano formato oggetto di pegno veniva dichiarata fallita; il proprietario dei titoli, sull’assunto che ciò ne aveva determinato l’integrale perdita di valore, conveniva in giudizio il creditore pignoratizio e il terzo che era stato designato custode delle azioni per ottenere il risarcimento del danno, assumendo che entrambi, benché pienamente a conoscenza dello stato di insolvenza della società, avevano violato lo specifico obbligo di conservazione dei beni conferiti in pegno sancito dall’art. 2790 c.c. (che, nel caso specifico, avrebbe imposto di alienare i titoli azionari prima che perdessero completamente valore o, quantomeno, di fornire informazioni al loro titolare circa l’imminente rischio di insolvenza della società, onde consentirne la tempestiva vendita) e non avevano eseguito il contratto di pegno secondo buona fede, non preservando le ragioni del debitore.

Sia in primo che in secondo grado, la domanda attorea veniva respinta, sul presupposto che, trattandosi di pegno regolare di titoli, il creditore pignoratizio non fosse tenuto alla vendita degli stessi, salvo che nel caso di pericolo di perdita materiale del bene, mentre il custode nominato non avrebbe mai potuto compiere, di sua iniziativa, operazioni aventi per oggetto le azioni; con riferimento, invece, alla sussistenza di un obbligo informativo in ordine alla grave situazione di dissesto finanziario della società emittente, esso, secondo i giudici di merito, non trovava fondamento né nell’art. 2790 c.c., né nelle altre disposizioni disciplinanti il pegno, né nei contratti stipulati inter partes.

La sentenza della Corte d’Appello di Perugia, che aveva confermato il rigetto della domanda risarcitoria, veniva impugnata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, ha cassato con rinvio la pronuncia gravata, affermando che dall’art. 2790 c.c. discende l’obbligo per il creditore pignoratizio e per l’eventuale custode nominato di mantenere il bene oggetto di pegno nel medesimo stato in cui si trovava al momento della costituzione della garanzia reale e, conseguentemente, di adottare tutte le misure idonee, in relazione alle circostanze del caso concreto, a evitarne la perdita di valore, essendo altrimenti entrambi responsabili in solido nei confronti del titolare del bene.

QUESTIONI

[1] Con l’ordinanza che si annota, i giudici di legittimità hanno esaminato la problematica inerente alla sussistenza di una responsabilità risarcitoria del creditore pignoratizio e del custode di beni costituiti in pegno in caso di perdita di valore degli stessi.

La risposta è stata positiva, sulla scia di un orientamento della Corte di cassazione che è stato convintamente ribadito.

Il punto di partenza del ragionamento che ha condotto alla decisione assunta è rappresentato dall’individuazione, in capo al creditore garantito, di una funzione di custodia del bene oggetto di pegno che gli impone un obbligo di conservazione, a termini dell’art. 2790 c.c., che viene in rilievo per il semplice fatto che si verifichi, in misura sensibilmente e oggettivamente apprezzabile, un rischio di perdita o di deterioramento della cosa ricevuta in pegno.

Dalla norma, dunque, discende l’obbligo di mantenere la cosa nel medesimo stato e modo di essere in cui si trovava al momento costitutivo della garanzia e, conseguentemente, di adottare tutte le misure idonee, in relazione alle circostanze concrete, a evitare la perdita o il deterioramento del bene.

Sul creditore garantito, in altre parole, grava, sulla base di quanto prescritto dall’art. 2790 c.c., un vero e proprio obbligo di protezione della posizione del datore del pegno, funzionale al sostanziale mantenimento di un valore economico dell’oggetto della garanzia corrispondente a quello originario, cui è intimamente collegato un ruolo attivo e propositivo di cooperazione, diretto a consentire una tempestiva ed efficiente liquidazione del bene allorquando mostri un sensibile rischio di deterioramento.

Analogo obbligo, evidentemente, vale anche per il soggetto – diverso dal creditore pignoratizio – che abbia assunto l’obbligo di custodia del bene costituito in pegno ai sensi dell’art. 2786, comma 2, c.c.

Di conseguenza, con specifico riguardo al pegno di azioni (e, più in generale, di partecipazioni societarie o di strumenti finanziari), il canone generale della buona fede oggettiva impone al creditore garantito di prendere in considerazione la loro vendita anticipata, quando vi sia un concreto rischio di una perdita di valore, a salvaguardia dell’interesse del datore della garanzia (ravvisabile, da un lato, nella preservazione del valore economico dei titoli, onde evitare di dovere impegnare altri beni e, dall’altro lato, nella possibilità di utilizzare liberamente, al termine del rapporto di garanzia, il valore economico della cosa concessa in garanzia), ovviamente nella misura in cui ciò non pregiudichi il proprio.

Con precipuo riguardo alle iniziative attivabili dal creditore pignoratizio o dal custode del bene consegnato in garanzia, viene in rilievo l’art. 2795 c.c., che disciplina la vendita della cosa data in pegno come strumento di conservazione del suo valore economico (a differenza dell’art. 2796 c.c., che, invece, tratta della vendita in funzione satisfattiva del diritto garantito), prendendo in considerazione non la posizione del debitore come tale, ma quella del datore del bene oggetto di pegno.

Secondo quanto previsto dalla norma, peraltro, il creditore garantito non può procedere in via autonoma all’alienazione del bene in via di deterioramento, essendo invece il proprietario dello stesso (ossia il datore del pegno) ad averne titolo; questi, tuttavia, non avendo il possesso del bene, non è in grado di consegnarlo all’acquirente per dare pieno corso esecutivo alla vendita, il che si traduce – soprattutto nell’ipotesi di beni rappresentati da titoli negoziabili in un mercato regolamentato – nell’impossibilità pratica di porre in essere l’alienazione. Ciò rende evidente come, per procedere alla vendita anticipata in funzione conservativa del valore economico del bene, sia necessaria la cooperazione del datore del pegno e del creditore, al punto che, qualora essa manchi o vi sia conflitto ovvero divergenza di opinioni tra gli interessati, è previsto il ricorso al giudice per ottenere l’autorizzazione alla vendita.

In ogni caso, come evidenziato nell’ordinanza che si annota, all’obbligo di custodia che grava sul creditore che detiene il bene costituito in pegno (ovvero sul terzo investito della sua custodia ai sensi dell’art. 2786, comma 2, c.c.) è strettamente collegato, per effetto del canone generale della buona fede ex art. 1375 c.c., un obbligo di attivazione giuridica, che, a fronte di un rischio oggettivo e sensibile di deterioramento della cosa data in garanzia, impone di attivarsi per procedere tempestivamente alla sua liquidazione.

Correlativamente, qualora l’iniziativa venga assunta dal datore del pegno, che solleciti il creditore pignoratizio a vendere anticipatamente il bene allegando il rischio di una sua perdita di valore, il canone generale della buona fede oggettiva impone che il creditore fornisca un’adeguata e tempestiva risposta.

L’art. 2795 c.c., d’altra parte, non attribuisce al custode la prerogativa di procedere all’eventuale liquidazione anticipata del bene, essendo tale strumento riservato in via esclusiva al creditore.

Da ciò, secondo la Corte di cassazione, deriva che, quando il custode e il creditore pignoratizio siano a conoscenza di informazioni suscettibili di determinare la perdita di valore economico del bene in garanzia o addirittura la sua completa erosione (com’è a dirsi nel caso di notizie sull’imminente dissesto finanziario della società emittente le azioni oppegnorate), sono obbligati a fornirle immediatamente al debitore, al fine di procedere alla tempestiva ed efficiente liquidazione del bene.

Qualora tale obbligo sia disatteso, entrambi i soggetti rispondono in solido dei danni sofferti dal debitore: il custode per non avere mantenuto l’originario valore economico del bene, il creditore pignoratizio per non avere attivato lo strumento conservativo della vendita anticipata ex art. 2795 c.c. Tale responsabilità solidale trova fondamento nell’art. 2055 c.c., avendo la giurisprudenza chiaramente affermato che, per ravvisarla, è sufficiente che il fatto dannoso sia imputabile a più soggetti e che sia accertato il nesso di causalità tra l’evento di danno e le condotte lesive, ancorché queste siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità – contrattuale ed extracontrattuale – che vengono in rilievo, dal momento che la norma, essendo diretta ad assicurare una maggiore tutela al danneggiato, considera l’unicità del fatto dannoso dal suo punto di vista, senza intenderla come necessaria identità delle norme giuridiche violate.

Pertanto, nel caso di specie, si è imposta la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, dovendosi accertare se il creditore e il terzo custode fossero effettivamente a conoscenza dell’imminente dissesto finanziario della società emittente le azioni date in pegno e, quindi, se fossero in possesso di importanti informazioni – non comunicate al datore del pegno – che, se conosciute, avrebbero potuto indurre alla vendita anticipata dei titoli, evitandone così la denunciata perdita di valore.

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