21 Novembre 2023

Il comportamento colposo del danneggiato nella responsabilità da cose in custodia

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III (Ord.), 2 novembre 2023, n. 30394, Sent., G.U. Dott. F. De Stefano

Responsabilità da cose in custodia – Prova contraria – Concorso colposo del danneggiato –(art. 2051 c.c.)

Massima: “Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso”.

CASO

Tizio citava in giudizio il Comune di Alfa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni dal medesimo patiti a seguito di una caduta avvenuta la sera, alle ore 19 circa, nell’abitato cittadino del Comune medesimo, causata a suo dire dal dissesto del marciapiede per mancanza di mattonelle, non visibile né segnalato, in punto ove peraltro risultavano posizionati due tombini, tanto da renderlo insidioso per qualunque utente.

Si costituiva in giudizio il Comune contestando la domanda attorea e osservando che una condotta prudente dell’attore avrebbe consentito di evitare la caduta; escludeva che le condizioni dei luoghi configurassero un’insidia e deduceva l’insussistenza del nesso causale tra la res e le lesioni, richiamando comunque la previsione di cui all’art. 1227 c.c., comma 1.

Il Tribunale rigettava la domanda di Tizio, il quale  proponeva appello deducendo, tra l’altro, l’erronea valutazione della prova da cui poteva arguirsi, anche ex art. 2729 c.c., la dinamica dell’evento come da lui descritta in citazione e il nesso causale tra res, evento e danno.

Si costituiva il Comune, contestando i motivi d’appello. Secondo il Comune, l’esclusione della responsabilità in capo all’ente era conseguenza della condotta imprudente di Tizio, che avrebbe potuto prevedere e superare la situazione di pericolo attraverso l’adozione delle normali cautele in base al generale principio di autoresponsabilità nell’uso della cosa.

La Corte d’Appello respingeva l’impugnazione e confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado.

Tizio proponeva quindi ricorso in Cassazione avverso la sentenza della corte territoriale.

SOLUZIONE

La Suprema Corte rigetta il ricorso.

QUESTIONI

Superata da tempo l’opposta concezione, oggi si ammette che anche la P.A., al pari di qualunque altro soggetto privato, possa soggiacere alla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., nel caso in cui un bene sottoposto al suo controllo finisca con l’arrecare danno a terzi. Anche la P.A., infatti, nell’esercizio del suo potere discrezionale in ordine alla esecuzione e manutenzione di opere pubbliche, nonché nella vigilanza e controllo in genere dei beni demaniali, incontra i limiti derivanti, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.: per cui non vi sono problemi nell’affermare che la P.A. risponde, ex art. 2051 c.c., per il danno cagionato al privato da un bene demaniale o facente parte del patrimonio dello Stato, che, per essere nella custodia dell’amministrazione, è sottoposto al suo potere di vigilanza e controllo.

A norma dell’art. 2051 c.c., ciascuno è dunque responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

Data la natura – ormai pacifica – oggettiva della responsabilità, il caso fortuito è rinvenibile solo in una causa di esclusione del nesso causale e cioè in un fattore esterno in grado di cagionare autonomamente il danno, a nulla servendo al custode provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il prodursi di quest’ultimo.

Occorrerebbe poi distinguere tra “fortuito incidentale” e “fortuito concorrente”. Solo nel primo caso, dove il danno è dovuto esclusivamente all’intervento del caso fortuito – si fa l’esempio del fulmine che colpendo un albero ne provochi la caduta, con conseguente morte dello sfortunato passante –, il custode potrebbe andare esente da responsabilità. La cosa, infatti, in tale evenienza, pur facendo parte della catena causale – nell’esempio fatto, il fulmine non ha colpito il passante, ma l’albero, che è poi caduto sul passante; l’albero, però, non sarebbe mai caduto sul passante se non fosse stato colpito dal fulmine – non era di per sé causa sufficiente a produrre l’evento. Nel secondo caso – fortuito concorrente –, invece, dove la cosa custodita concorre con il fortuito alla causazione dell’evento, fortuito che non è da solo idoneo ad interrompere il nesso causale tra cosa ed evento – continuando con l’esempio testé riportato, potrebbe farsi il caso del passante colpito da un albero caduto in seguito ad una forte folata di vento, qualora si accerti che l’albero era oramai secco, e avrebbe dovuto essere abbattuto: in questo caso, non si può infatti escludere che l’albero sarebbe comunque caduto, pur in assenza di vento –, il custode invano cercherebbe di superare la presunzione di responsabilità posta a suo carico.

Stabilire se, in concreto, ricorra oppure no un caso fortuito è poi valutazione che va poi compiuta caso per caso, tenendo conto del fatto che la nozione di fortuito è molto elastica e ampia, tanto che viene generalmente ritenuta comprensiva anche del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, oltre che della forza maggiore. La giurisprudenza ha comunque puntualizzato le caratteristiche che il fortuito deve possedere: si tratta dell’imprevedibilità e della assoluta eccezionalità, nonché dell’autonomia e della estraneità rispetto all’operato del custode. Questi caratteri dovrebbero essere presenti pure nel comportamento del danneggiato, nel caso in cui si voglia addurre tale giustificazione quale prova contraria ai sensi dell’art. 2051 c.c.: dovendo il custode prevenire anche il fatto del danneggiato, per quanto possibile evitandolo, si dovrebbe trattare di comportamenti sui quali il custode non abbia avuto alcuna signoria di controllo, e il cui verificarsi apparisse poco probabile, altrimenti il custode è  pienamente responsabile verso la vittima.

Nello specifico, il concetto di prevedibilità deve intendersi come concreta possibilità per il danneggiato di percepire o prevedere la situazione di pericolo (v. Cass., n. 21/1456 e Cass., 12/22898). Ed è appunto sulla prevedibilità/imprevedibilità dell’evento che si è concentrata l’attenzione del giudicante, nel caso di specie.

Il giudice del merito, prima, e la S.C., poi, hanno precisato che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, perché è necessaria una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando si connoti per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Ha osservato la Corte che di tale principio ha fatto corretta applicazione la corte territoriale là dove – dopo aver riesaminato le risultanze processuali (in particolare le dichiarazioni rese dai testi e le fotografie prodotte, raffiguranti il dissesto) – ha ritenuto provato il nesso di causalità tra la caduta ed il dissesto, ma ha ritenuto che detto nesso era stato interrotto dalla condotta colposa del danneggiato.

Invero, la corte di merito ha rilevato che (nonostante l’ora serale e la pioggia) era risultato provato che l’incidente era avvenuto in pieno centro cittadino, in luogo dove era presente illuminazione pubblica che garantiva la visibilità dei luoghi e che l’assenza di mattonelle fosse di estensione tale da essere agevolmente visibile a chiunque e, da chiunque, facilmente apprezzabile. L’evidenza dell’anomalia, percepibile ad occhio nudo (tanto era vero che era stata notata sia dal testimone presente al fatto che dalle due testimoni successivamente intervenute), non poteva essere trascurata da alcuno e quindi neppure da Tizio, non essendo risultato che il dislivello, non segnalato, fosse occultato dalla presenza di ingombri o ostacoli specifici.

In definitiva, quindi, la presenza di illuminazione nel tratto di strada oggetto del sinistro, la intrinseca staticità dell’anomalia e le condizioni della stessa, tali da renderla agevolmente percepibile in quanto ampia e non occultata da ostacoli, erano elementi che obiettivamente imponevano al danneggiato un dovere di ragionevole cautela, per cui può ritenersi che la caduta sia occorsa a causa della imprudenza e distrazione di Tizio e sia unicamente da ascrivere alla sua condotta idonea a interrompere il nesso causale riducendo la res a mera occasione dell’evento, con conseguente esenzione dell’ente da ogni responsabilità sia ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia, per le stesse ragioni, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

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