21 Marzo 2023

Cessione della quota sociale e impugnazione di delibere assembleari: quali diritti restano in capo al socio fuoriuscito?

di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Milano, sentenza del 15 aprile 2019.

Parole chiave: recesso del socio – delibere assembleari – impugnazione.

Massima: “Il socio receduto può avere ancora diritto ad impugnare delibere assembleari solo se l’esercizio di tali diritti partecipativi è strumentale alla salvaguardia del patrimonio sociale in vista della liquidazione della propria quota; in tale caso, infatti, il socio receduto potrebbe ancora impugnare le delibere assembleari che potrebbero incidere sulla liquidazione della quota stessa.”

Disposizioni applicate: art. 2377 c.c.

Nella sentenza che si analizza, il Tribunale di Milano ha specificato quali diritti può conservare il socio receduto fintanto che è in attesa di ricevere la liquidazione della quota di spettanza da parte della società.

Nello specifico, Caia, socia di Alfa S.p.A., ha agito per l’annullabilità di alcune delibere adottate nel corso di un’assemblea dei soci nella quale ha lamentato di essere stata illegittimamente esclusa. A sostegno della propria domanda, l’attrice ha sostenuto che, nonostante il recesso, la stessa avesse comunque conservato l’interesse ad agire proprio perché al momento dell’azione non era ancora stata eseguita la liquidazione della quota da parte della società. Dall’altra parte, la società convenuta ha eccepito la sopravvenuta carenza di legittimazione ad impugnare di Caia in dipendenza dell’intervenuto recesso, nonché, in ogni caso, in ragione del carattere meramente interlocutorio delle determinazioni assembleari impugnate.

Con riferimento alla questione circa l’interesse ad agire nell’impugnazione di delibere assembleari da parte del socio receduto (Caia), il Tribunale meneghino ha ritenuto nello specifico che la domanda di Caia non potesse essere accolta, proprio per la sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare. Infatti, il Tribunale ha ritenuto condivisibile l’orientamento di legittimità secondo il quale l’azione di annullamento delle delibere di una società per azioni, disciplinata dall’art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta (d’altra parte, qualora l’azione di annullamento della deliberazione sia diretta proprio al ripristino della qualità di socio dell’attore, sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, c. 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti; così, Cass. n. 26842/2008).

Il Tribunale è giunto a tale conclusione nonostante gli orientamenti giurisprudenziali citati dalla stessa Caia (cfr. Cassazione n.5548/2004 nonché Tribunale Milano 4.5.2017 e Corte d’appello Milano 21.4.2007; citati in sentenza e in Le Società, 2008, n. 9, p. 1121). Tuttavia, le sentenze evidenziate dall’attrice a sostegno delle proprie ragioni non hanno convinto il Tribunale in quanto principalmente orientate ad affermare che il recesso del socio è un negozio unilaterale recettizio, destinato a perfezionarsi e a produrre i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime sia pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria. Ma, soprattutto, il Tribunale ha rilevato come la difesa dell’attrice fosse concentrata nell’individuazione del momento in cui la qualità di socio sarebbe cessata in capo al receduto con conseguente sicura perdita della legittimazione ad impugnare: tale momento, a detta dell’attrice, sarebbe appunto stato individuabile solo al compimento del procedimento di liquidazione della quota.

Il Tribunale ha tuttavia ritenuto corretto dare rilievo agli orientamenti che prendono atto del mutamento della posizione del socio rispetto all’organizzazione della compagine conseguentemente all’esercizio del diritto di recesso, sottolineando che dopo il recesso il socio è titolare del solo diritto alla liquidazione della quota e quindi di un “diritto di partecipazione affievolito” (cfr. Tribunale Roma 11.5.2005 in Le Società, 2006, n.1, 54). Perciò, al socio receduto può essere riconosciuto solo “l’esercizio di quei diritti strettamente connessi al diritto alla liquidazione della quota e strumentali alla salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale, come l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori” (così specificatamente, in motivazione, Tribunale di Milano 4.5.2017, sentenza n.4949/2017 nel proc. n. 33384/2012, edita sul sito www.giurisprudenzadelleimprese.it ), o nello stesso senso precisandosi che “nel tempo intercorrente tra il valido esercizio del diritto di recesso e la liquidazione della quota, il socio di s.r.l. recedente resta titolare dei diritti sociali non incompatibili con la dichiarazione di recesso e per l’esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l’effettivo rimborso della quota oggetto di recesso” (così, Trib. Pavia 5 agosto 2008, in Giur. Comm., 2009, II, p. 1218).

Il Tribunale ha concordato così con gli orientamenti che attribuiscono al socio receduto solo i diritti partecipativi funzionali alla valorizzazione della sua quota di partecipazione, in quanto gli altri diritti legati alla partecipazione sociale vengono meno. Tuttavia, precisa sempre il Tribunale, se l’esercizio dei diritti partecipativi è strumentale alla salvaguardia del patrimonio sociale in vista della liquidazione della quota, il socio receduto può ancora impugnare le delibere assembleari che potrebbero incidere sulla liquidazione della quota stessa.

Il Tribunale, in conclusione, ha ritenuto che Caia non avesse alcun interesse a impugnare le delibere oggetto di contenzioso perché nello specifico non avevano alcun effetto sulla valorizzazione della sua quota e, quindi, avesse perso la legittimazione ad impugnarle.

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