13 Giugno 2023

Sentenza pubblicata due volte e decorrenza del termine ex art. 327 c.p.c.

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 13 aprile 2023, n. 9917, Pres. Scoditti – Est. Tatangelo

[1] Decorrenza termine ex art. 327 c.p.c. – Dalla data di pubblicazione – Sussistenza – Data di inserimento della sentenza nel registro cronologico – Irrilevanza – Limiti – Mancata apposizione di altra data di deposito – Sussistenza (art. 327 c.p.c.)

Il termine per l’impugnazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c. decorre dalla data di pubblicazione e non da quella di inserimento della sentenza nel registro cronologico; quest’ultima è irrilevante, a meno che non siano apposte in calce alla sentenza due diverse date e risulti così realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione, la quale impone di accertare il momento in cui la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il suo deposito in cancelleria e l’inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo.

CASO

[1] Un soggetto agiva in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione, da parte dello Stato italiano, della normativa comunitaria che imponeva determinati limiti di presenza di arsenico nell’acqua potabile, per l’anno 2010.

La domanda veniva accolta dal giudice di pace con sentenza impugnata davanti al Tribunale di Roma il quale, in riforma del provvedimento fatto oggetto di gravame, rigettava la menzionata pretesa risarcitoria.

Avverso tale pronuncia ricorreva in cassazione il privato, sulla base di un unico motivo, mediante il quale denunciava «nullità della sentenza o del procedimento: decadenza dall’impugnazione per tardività dell’appello: Art. 327 c.p.c.». In particolare, il ricorrente faceva presente di avere eccepito, nel giudizio di secondo grado, che l’appello era stato proposto oltre il termine perentorio di cui all’art. 327 c.p.c. (nella formulazione vigente ratione temporis), con atto di citazione spedito per la notifica in data 23 settembre 2016, quindi oltre i sei mesi dalla data della pubblicazione della sentenza di primo grado, avvenuta con il suo deposito in cancelleria, in data 4 novembre 2015; erroneamente, a suo avviso, il tribunale avrebbe invece ritenuto coincidente la data di pubblicazione con la data dell’inserimento della sentenza stessa nel registro cronologico e della sua comunicazione (formalità avvenute in data 23 febbraio 2016).

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione giudica il motivo proposto manifestamente fondato.

Rileva la Suprema Corte che, come emergente dalla stessa decisione impugnata, la sentenza di primo grado recava la data di pubblicazione mediante deposito in cancelleria del 4 novembre 2015 (data in relazione alla quale l’appello sarebbe stato tardivo).

Ai fini della valutazione di tempestività dell’appello, il giudice di secondo grado ha però ritenuto decisiva la circostanza per cui la predetta sentenza era stata inserita nel registro cronologico solo il 23 marzo 2016 e le era stato quindi attribuito un numero cronologico riferito all’anno 2016: ha, in altri termini, ritenuto che la pubblicazione dovesse ritenersi intervenuta in coincidenza con l’inserimento della sentenza nel registro cronologico (con conseguente tempestività dell’appello, ai sensi dell’art. 327 c.p.c.).

Per giustificare tale posizione, il giudice d’appello ha richiamato i principi espressi da Corte Cost., 21 gennaio 2015 n. 3, nonché da Cass., sez. un., 22 settembre 2016, n. 18569, senza però considerare, in concreto, l’avvenuta realizzazione della fattispecie in tali arresti considerata, cioè il fatto che ivi si fosse verificata «una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date» (circostanza nel caso di specie non verificatasi, recando la sentenza impugnata un’unica data).

Pertanto, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

[1] La questione decisa dalla Cassazione attiene all’identificazione dell’esatto dies a quo di decorrenza del termine c.d. lungo per impugnare considerato dall’art. 327 c.p.c., e definisce, in particolare, in quali casi sia rilevante – oltre alla data di deposito della sentenza impugnanda in cancelleria – anche il differente momento dell’inserimento della sentenza stessa nel registro cronologico.

Per risolvere tale questione la Suprema Corte dà continuità a un orientamento consolidato, secondo il quale «in tema di impugnazione, nel caso in cui su una sentenza risulti apposta un’unica data relativa alla sua pubblicazione con attestazione del competente cancelliere, non rileva, ai fini dell’individuazione del termine ordinario ex art. 327 c.p.c. (per il quale deve, perciò, farsi riferimento al dato temporale dell’intervenuta pubblicazione), il mero previo inserimento della sentenza nel registro cronologico, qualora manchino l’attestazione di altra data di deposito da parte del cancelliere e, quindi, la scissione temporale tra il momento del deposito e quello della pubblicazione (che devono,

peraltro, essere, di regola, coincidenti), che ricorre nell’eventualità che siano apposte due distinte date di deposito».

In tale ultima ipotesi, di scissione tra il momento del deposito e quello della pubblicazione, tramite apposizione di due distinte date di deposito – eventualità, come detto, non occorsa nel caso di specie – deve peraltro trovare applicazione il principio affermato dalla già richiamata Cass., sez. un., n. 18569/2016 (in www.eclegal.it, 25 ottobre 2016, con nota di F. Cossignani, La sentenza pubblicata due volte: di nuovo le Sezioni Unite), secondo la quale il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza “esiste” a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione; nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestività dell’impugnazione proposta deve accertare – attraverso un’istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione – il momento di decorrenza del termine d’impugnazione, perciò il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo.

Tale arresto, che ha composto un acceso contrasto vigente sulla questione, è stato recentemente ribadito proprio in relazione a una situazione di fatto analoga a quella decisa dal provvedimento in epigrafe, ossia di inserimento della sentenza di primo grado nel registro cronologico in data successiva a quella del suo deposito in Cancelleria, con l’espressa affermazione per cui l’accertamento in ordine al momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo, diviene necessario (solo) “nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date” (in tal senso, le più recenti Cass., 19 febbraio 2020, n. 4206; Cass., 30 giugno 2020, n. 12979).

Nel caso di specie, dunque, non rileva in alcun modo il riferimento in ricorso alla certificazione attestante la data di inserimento della sentenza nel registro cronologico, né la divaricazione verificatasi fra la data di deposito (e pubblicazione) della sentenza e la data in cui la cancelleria ha provveduto al suo inserimento nel registro e alla sua comunicazione alle parti: e ciò in quanto la sentenza impugnata recava in calce un’unica data e non presentava l’anomalia anzidetta, integrata dall’apposizione di due diverse date.

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