13 Giugno 2023

Rapporti tra opposizioni sull’an o sul quomodo dell’esecuzione per obblighi di fare o di distruggere e opposizione al decreto ingiuntivo di liquidazione delle spese ex art. 614 c.p.c.

di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, Sez. III, sent. 9 maggio 2023, n. 570, Pres. De Stefano, Est. Saija

Esecuzione degli obblighi di fare e non fare – decreto ingiuntivo – opposizione a decreto ingiuntivo – opposizione all’esecuzione (Cod. Proc. Civ. artt. 612, 614, 615, 645) 

(I) “In tema di esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, con l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 614, comma 2, c.p.c., per il rimborso delle spese anticipate dalla parte istante, l’opponente può in tale sede far valere contestazioni circa la congruità delle spese, o l’avvenuta anticipazione delle stesse, ma non anche contestazioni con cui si neghi la debenza delle somme inerenti ad una o più opere eseguite, in quanto esorbitanti rispetto al titolo esecutivo (e, dunque, concernenti l’effettiva portata del titolo stesso), oppure contestazioni inerenti al quomodo dell’esecuzione, giacché dette questioni devono proporsi, rispettivamente, con l’opposizione all’esecuzione, ex art. 615, comma 2, c.p.c., o con l’opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., e ciò al più tardi entro la chiusura del procedimento esecutivo, contenuta nel verbale delle operazioni dell’ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all’ordinanza del giudice dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c. Pertanto, qualora l’esecutato abbia sollevato le suddette questioni soltanto nell’ambito dell’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 614 c.p.c., senza tempestivamente e previamente proporre l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (a seconda della natura della contestazione), il giudice non può riqualificare la domanda come se proposta ai sensi degli artt. 615 o 617 c.p.c., sia per la diversità degli ambiti operativi di queste ultime, rispetto a quella di cui all’art. 645 c.p.c., sia perché – qualora il decreto sia stato emesso dopo il definitivo completamento delle opere, risultante dal verbale redatto dall’ufficiale giudiziario – non è più possibile proporre rimedi interni al procedimento esecutivo”

(II) “In tema di esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, qualora sia stata dapprima proposta l’opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., e successivamente l’opposizione al decreto ex art. 614 c.p.c. relativo alle spese anticipate dal procedente per i lavori già effettuati, i due giudizi sono legati da pregiudizialità tecnica, giacché il primo ha ad oggetto l’accertamento del diritto di procedere ad esecuzione forzata, che costituisce il presupposto del diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione stessa. Tuttavia, nel caso in cui – non sussistendone i relativi presupposti – non sia stata disposta la riunione dei giudizi per ragioni di connessione, né si sia proceduto alla sospensione necessaria del secondo giudizio ex art. 295 c.p.c. (ovvero, alla sospensione facoltativa ex art. 337, comma 2, c.p.c.), il definitivo accoglimento dell’opposizione all’esecuzione deve essere rilevato anche d’ufficio dal giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo, in forza dell’effetto espansivo “esterno” enunciato dall’art. 336, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che le spese anticipate per l’esecuzione resteranno a carico del procedente

CASO

Un soggetto intraprendeva un’esecuzione forzata, nelle forme degli obblighi di fare ex art. 612 c.p.c., nei confronti di un altro soggetto e otteneva a carico di quest’ultimo anche un decreto ingiuntivo ex art. 614 c.p.c. per le spese sostenute per l’effettuazione delle opere di cui alla stessa esecuzione forzata.

L’esecutato ingiunto proponeva allora opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il detto decreto ingiuntivo, opposizione che veniva rigettata dal Tribunale.

La Corte di appello, investita del gravame, confermava la sentenza del primo giudice rilevando che l’ingiunzione de qua poteva solo riguardare la congruità e l’ammontare delle spese che con la stessa ingiunzione venivano richieste, mentre essa non poteva avere ad oggetto anche l’eventuale esorbitanza delle opere eseguite rispetto al quod exequatur sit, della quale ci si sarebbe potuti dolere solo con il diverso mezzo dell’opposizione ex art. 615 c.p.c.

Il debitore, esecutato e ingiunto, è allora ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, la quale, dichiarando inammissibile il ricorso principale per tardività e assorbito, in conseguenza, il ricorso incidentale condizionato proposto dalla controparte ingiungente, ha tuttavia ritenuto esistenti “i presupposti perché sulle questioni poste dal ricorso principale, per come delibate dalla stessa sentenza impugnata, aventi rilievo nomofilattico in assenza di precedenti specifici, questa Corte si pronunci d’ufficio nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.”.

SOLUZIONE

I temi dei quale la Suprema Corte si ritiene investita attengono ai limiti oggettivi dell’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 614 c.p.c. e alla eventuale coesistenza di una opposizione ex art. 615 c.p.c. e di una ex art. 645 c.p.c. relativi alla medesima vicenda esecutiva.

Quanto al primo aspetto, la Corte, dando per assodato il principio in base al quale con l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo di cui all’art. 614 c.p.c. si può contestare “non solo la congruità delle spese liquidate dal giudice dell’esecuzione, ma anche l’avvenuta anticipazione di esse da parte del procedente”, afferma che, invece, “qualora l’opponente contesti l’eccessività delle spese sostenute dal procedente non in sé, ma in quanto eccedenti il perimetro delle opere da eseguire in base al titolo (come nella specie, in cui appunto si contestava la debenza di somme derivanti dall’esecuzione di lavori ulteriori e diversi rispetto a quanto risultante dalla sentenza azionata, in tesi illegittimamente posti a carico dell’esecutato), egli finisce in realtà per contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata in parte qua, sicché non è dubbio che l’unico strumento processuale all’uopo utilizzabile è l’opposizione all’esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., proponibile fin tanto che il procedimento sia pendente”.

Infatti, prosegue la Corte, “allorquando il g.e. procede all’emissione del decreto ingiuntivo ex art. 614 c.p.c. (che peraltro, è provvisoriamente esecutivo, ai sensi dell’art. 642 c.p.c.), previa presentazione della nota delle spese sostenute dal procedente, vistata dall’ufficiale giudiziario, egli è investito di un autonomo potere di cognizione, sommario ancorché funzionale al (e derivante dal) suo ruolo; il decreto così adottato, però, non è un atto direttamente riferibile al processo esecutivo (quand’anche emesso non già al termine dell’esecuzione, ma nel corso di essa, finalizzato com’è al conseguimento di un separato ed autonomo titolo esecutivo di condanna al pagamento di una somma, quand’anche collegata geneticamente al diverso procedimento di esecuzione in forma specifica) e la sua notificazione determina la pendenza del relativo (e distinto) processo che da esso scaturisce, secondo la regola generale dettata dall’art. 643 c.p.c., in tema di procedimento monitorio, se del caso seguito dalla fase a contraddittorio pieno, con l’opposizione ex art. 645 c.p.c.

Peraltro, aggiungono gli Ermellini, ove l’esecutato voglia lamentare “l’eventuale esondazione dell’azione esecutiva rispetto al titolo azionato (nei termini prima descritti), sia avuto riguardo agli atti preliminari all’esecuzione dei lavori (ad es., progetti, preventivi di spesa, ecc.), sia avuto riguardo alla stessa fase realizzativa”, egli ha l’onere di agire tempestivamente, senza attendere l’emissione dell’ingiunzione ex art. 614 c.p.c. per le spese, essendo egli ben in grado (o dovrebbe esserlo) di percepire immediatamente l’esecuzione di tali opere asseritamente esorbitanti. Da qui la considerazione per la quale “l’opposizione ex art. 645 c.p.c., infatti, ha un perimetro ben delineato, non potendo con essa surrogarsi l’inerzia mostrata dall’esecutato allorché l’azione ha assunto una direzione oggettiva non consentita dal titolo”.

Ne discende “che le contestazioni sull’an exequatur (in tutto o in parte) o sul quomodo dell’azione esecutiva devono necessariamente essere proposte entro il momento finale del procedimento, segnato dall’ultimazione dei lavori occorrenti, come contemplati nell’ordinanza resa dal g.e. ex art. 612 c.p.c., e risultanti dal verbale delle operazioni compiute, redatto dall’ufficiale giudiziario, sempre che questo non sia autonomamente opposto, per vizi propri, ai sensi dell’art. 617 c.p.c.

Quanto, invece, alla coesistenza di un’opposizione ex art. 615 c.p.c. e di una ex art. 645 c.p.c. per la medesima vicenda esecutiva, la Corte chiarisce subito che “l’accertamento giudiziale della insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata (in tutto o in parte) travolge gli atti esecutivi compiuti medio tempore, ma tra questi non può di per sé rientrare l’ingiunzione ex art. 614 c.p.c., che – benché funzionalmente emessa dal g.e. – non è tecnicamente considerabile quale atto della procedura (quand’anche emesso in sua pendenza, come pure consente la citata disposizione), proprio perché soggetta ad uno specifico rimedio, ossia l’opposizione ex art. 645 c.p.c., che, come s’è visto (…), è un processo distinto ed autonomo”.

Tuttavia, chiarisce la Suprema Corte, nonostante le due opposizioni de quibus mantengano fermi i propri diversi ambiti operativi, “qualora esse siano contestualmente pendenti, poiché l’opposizione all’esecuzione è diretta a negare il diritto di procedere ad esecuzione forzata, secondo lo schema proprio di tale rimedio, essa ben può assumere carattere pregiudicante (in senso tecnico, e non solo in senso logico …) rispetto all’opposizione all’ingiunzione di cui all’art. 614 c.p.c., ferma restando la piena percorribilità della loro eventuale riunione per ragioni di connessione, …, ove ne sussistano gli ulteriori presupposti (ossia, che esse pendano nel medesimo grado e dinanzi allo stesso ufficio giudiziario), non occorrendo in tal caso ricorrere alla sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c.”.

Pertanto, si conclude, “è proprio per la descritta pregiudizialità in senso tecnico che, in caso di coesistenza tra i due rimedi e ove non si sia proceduto alla riunione (e sempre che ne sussistessero i presupposti), né tampoco alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. (ovvero, se del caso, a quella facoltativa ex art. 337, comma 2, c.p.c.), l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione, una volta divenuta definitiva la pronuncia (Cass. n. 7660/2015), non può che riverberare i suoi effetti anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ex artt. 614-645 c.p.c., venendo in tal caso a mancare il presupposto affinché le spese anticipate dal procedente vengano riversate sull’esecutato, ossia la legittimità sostanziale dell’esecuzione”.

Da ultimo, la Corte fa chiarezza su un ultimo tema che è stato oggetto di indagine da parte del giudice di merito nel caso di specie: la possibilità di riqualificare siccome svolta ai sensi dell’art. 615 c.p.c. un’opposizione esercitata ex art. 645 c.p.c.

La Suprema Corte esclude una tale possibilità, anche solo in astratto, e ciò sia in ragione “dalla descritta diversità di ambiti operativi tra i due rimedi processuali”, sia perché, almeno nella maggior parte dei casi, l’ingiunzione ex art. 614 c.p.c. viene emessa nel momento in cui il procedimento esecutivo si è concluso, così precludendo la possibilità di esperire rimedi che, per loro natura, presuppongono un procedimento ancora in corso, come necessario per l’opposizione ex art. 615 c.p.c.

QUESTIONI

La Suprema Corte coglie l’occasione per enunciare alcuni principi su temi che, come si afferma nello stesso provvedimento, vedono intervenuta “rara giurisprudenza di legittimità”, tanto è vero che, come pure riferisce la pronuncia in commento, il giudice dell’appello si è basato su un precedente degli anni settanta.

Viene confermato che oggetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 614 c.p.c. – opposizione che deve seguire le forme e il rito di cui agli artt. 645 ss. c.p.c. – non può essere la contestazione dell’estensione delle opere realizzate rispetto a quelle alle quali il titolo avrebbe dato diritto.

Oggetto di questa opposizione possono essere solo l’ammontare delle spese delle quali il creditore procedente chiede la rifusione e la loro congruità rispetto alle opere realizzate.

Sul punto, peraltro, si ricorda brevemente che l’ingiunzione di cui all’art. 614 c.p.c. di norma si basa su importi di spesa dei quali il creditore deve presentare al giudice dell’esecuzione documenti giustificativi formali e “vistati” dall’Ufficiale Giudiziario che attesta l’esecuzione delle relative opere. Ciò, tuttavia, non impedisce al debitore esecutato e poi ingiunto di protestare la congruità di queste spese con, appunto, l’opposizione a decreto ingiuntivo, opposizione nella quale può essere interessante ricordare che il creditore/ingiungente/opposto può chiamare anche l’esecutore materiale delle opere (che, si chiarisce, non è litisconsorte necessario) per essere “garantito e rivalso”, come si legge in Cass. 25394/2009, nel caso di vittoria del debitore opponente.

Inoltre, si ricorda come la giurisprudenza ammetta la possibilità di ottenere l’ingiunzione ex art. 614 c.p.c. anche per spese diverse da quelle “vistate” e liquidate dal giudice dell’esecuzione, come ad esempio quelle sostenute dal creditore per la propria rappresentanza tecnica (ad esempio per il difensore e il consulente tecnico di parte). In questo caso, tuttavia, per tali spese “difet[terà] la prova scritta privilegiata”, sicché “il decreto ingiuntivo non potrà essere munito della provvisoria esecuzione ai sensi dell’art. 614, secondo comma, cod. proc. civ., ma solo ricorrendone i presupposti generali” (così Cass. 269/2021).

Che, infine, l’esito vittorioso di una opposizione all’esecuzione non possa non produrre effetti espansivi anche sul decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 614 c.p.c. è già stato chiarito dalla giurisprudenza, secondo la quale “deve potersi rilevare d’ufficio il venir meno del titolo esecutivo presupposto e, pertanto, … della sussistenza di una legittima ragione creditoria, producendosi, in altri termini, l’effetto espansivo enunciato dall’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ.” (così la già citata Cass. 269/2021). Ciò, tuttavia, presuppone la perdurante pendenza di un giudizio di opposizione avverso detto decreto ingiuntivo o che il relativo termine non sia ancora decorso, non potendosi, altrimenti, travolgere il giudicato ormai formatosi sul decreto ingiuntivo.

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