La posizione delle Sezioni Unite in tema di abusivo frazionamento del credito
di Franco Stefanelli, Avvocato Scarica in PDFCass., Sez. Un., Sent., ud. 10 dicembre 2024, 19 marzo 2025, n. 7299, Pres. D’Ascola – Est. Rubino.
[1] Frazionamento del credito – Abuso del diritto – Abuso del processo – Improponibilità della domanda – Impossibilità di riproposizione di domanda unitaria – Decisione sulla domanda frazionata – Moltiplicazione delle azioni esecutive e pre-esecutive – Esecuzione forzata – Dovere di lealtà e probità – Regolazione delle spese. (cod. civ., art. 2909; cod. proc. civ., artt. 88, 92, 95, 96, 100, 480 e 492)
Massima: “In tema di abusivo frazionamento del credito, i diritti di credito che, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato oppure fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi il cui accertamento separato si traduca in un inutile e ingiustificato dispendio dell’attività processuale, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che non si accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata, in mancanza del quale la domanda abusivamente frazionata deve essere dichiarata improponibile, impregiudicato il diritto alla sua riproposizione unitaria; tuttavia, qualora non sia possibile l’introduzione di un giudizio unitario sulla pretesa arbitrariamente frazionata, per l’intervenuta formazione del giudicato sulla frazione di domanda separatamente proposta, il giudice è tenuto a decidere nel merito sulla domanda, anche se arbitrariamente frazionata, tenendo conto del comportamento del creditore in sede di liquidazione delle spese di lite e potendo, a tal fine, escludere la condanna in suo favore o anche stabilire in tutto o in parte a suo carico le spese di lite, ex artt. 88 e 92, comma 1 c.p.c., in quanto l’abusivo frazionamento della domanda giudiziale integra un comportamento contrario ai doveri di lealtà e probità processuale.
Correlativamente, in sede esecutiva, la moltiplicazione di azioni esecutive o di attività pre-esecutive in relazione allo stesso credito – realizzata dal creditore senza alcun apprezzabile interesse e, anzi, allo scopo di lucrare spese – costituisce un abuso dello strumento processuale (non già un abusivo frazionamento della pretesa creditoria, in quanto l’accertamento del credito è già stato compiuto) e trova la sua sanzione proprio sul piano delle spese: conseguentemente, il giudice deve liquidare soltanto i compensi professionali e gli esborsi corrispondenti a quelli strettamente necessari ad un’unica azione, senza alcun automatismo connesso al numero delle iniziative adottate.”
CASO
Una struttura sanitaria privata, provvisoriamente accreditata con il Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione di prestazioni di riabilitazione, richiedeva contestualmente l’emissione di due decreti ingiuntivi nei confronti di una ASL, il primo per il pagamento delle prestazioni riabilitative rese in riferimento al mese di novembre 2008, l’altro per il pagamento delle prestazioni relative ad ottobre 2008.
Il decreto relativo al mese di ottobre 2008 non era opposto.
La ASL opponeva invece il decreto relativo a novembre 2008 ed il Tribunale accoglieva l’opposizione dichiarando improponibile la domanda perché avente ad oggetto una frazione di un unico credito.
La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, ritenendo che la proposizione separata di più ricorsi per ingiunzione, relativi ad importi concernenti mensilità già esigibili – nel caso di specie, la mensilità di novembre 2008, oggetto di causa, e di ottobre 2008, ingiunta con autonoma richiesta monitoria presentata nella stessa data dal creditore, alla quale era seguita l’emissione di un decreto ingiuntivo non opposto (in precedenza erano stati chiesti ed ottenuti altri due decreti ingiuntivi per le mensilità di luglio, agosto e settembre) – costituisse, in assenza di ragioni giustificative della proposizione di plurime domande giudiziali o di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, un frazionamento del credito ingiustificato con conseguente improponibilità delle domande giudiziali, secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite con sent. n. 23726/2007, per contrarietà ai principi di correttezza e buona fede ed al principio costituzionale del giusto processo. La sentenza impugnata richiamava anche le successive pronunce di legittimità, n. 4702/2015 e n. 18810/2016, traenti origine anch’esse da fattispecie in cui una pluralità di crediti derivavano da un unico contratto e Cass. S.U. n. 4091/2017, che detta, ai fini della distinta proponibilità di autonome domande creditorie relative a diritti distinti ma afferenti al medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, il discrimine che l’attore sia portatore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.
Tutto ciò premesso, la Corte d’appello escludeva che in relazione ai due importi, entrambi esigibili, esistessero specifiche ragioni che giustificassero la proposizione di plurime domande giudiziali (dedicando a questo cruciale accertamento esclusivamente la frase “in assenza di specifiche ragioni che giustificassero la plurima proposizione di domande giudiziali”) e, sulla scorta delle sentenze citate, confermava la sentenza di primo grado ritenendo che la conseguenza dell’illegittimo frazionamento sia da individuare nella improponibilità della domanda.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello, la struttura sanitaria privata proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale resisteva l’ASL con controricorso.
La causa era dapprima rimessa all’udienza pubblica della Prima Sezione civile, in occasione della quale il Procuratore generale concludeva per l’accoglimento del primo motivo o in subordine per la richiesta di rimessione della questione all’esame delle Sezioni Unite, quindi trasmessa con ordinanza interlocutoria alla Prima Presidente, affinché valutasse l’opportunità di sottoporla alle Sezioni Unite, infine rimessa alle Sezioni Unite dalla Prima Presidente per la trattazione in pubblica udienza.
L’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione civile, n. 3643/2024, premessa una articolata ricostruzione dei diversi orientamenti esistenti, all’interno della Corte, sul tema del frazionamento del credito, segnalava all’attenzione delle Sezioni Unite l’opportunità di chiarire se l’acclarato abuso del processo correlato all’indebito frazionamento di pretese creditorie afferenti ad un medesimo rapporto per il quale il creditore non abbia fornito elementi idonei a giustificare la tutela frazionata debba produrre la rigorosa conseguenza della improponibilità della pretesa, determinante la perdita del diritto sostanziale quando non sia più validamente azionabile – come nel caso in cui è impossibile agire senza frazionamento per essersi formato il giudicato sulla parte residua della pretesa creditoria (come nel caso di specie). Segnalava che ciò finirebbe per modificare gli effetti stessi della decisione di improponibilità fino al punto da trasformarla in vera e propria decisione di merito e sul merito, vulnerando in via definitiva il diritto creditorio. Segnalava altresì che il “cambio di passo” tra la sentenza a S.U. n. 23726/2007 e le due sentenze gemelle del 2017 (al riguardo, si rinvia a Lorenzo Di Giovanna, Frazionamento del credito e abuso del processo. Il punto dopo Cass. Sez. Un. 4090/2017, in EC Legal del 4 aprile 2017), è stato interpretato in modo non univoco dalla successiva giurisprudenza di legittimità e che il contrasto segnalato involge una pluralità di pronunce di tutte le sezioni civili della Cassazione.
Tutto ciò premesso, sollecitava una nuova riflessione delle Sezioni Unite sul tema, per ulteriormente ponderare:
a) se l’effetto processuale appena ipotizzato possa ritenersi congruo, proporzionato e ragionevole, anche alla luce della giurisprudenza convenzionale (in particolare, della sentenza Corte EDU, sez. I, 15.09.2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07), considerando anche il potenziale arricchimento ingiustificato del convenuto attinto da domanda frazionata e ritenuta improponibile, laddove si applichi la sanzione della perdita de facto del diritto sostanziale per la parte non corrispondente alle spese e ai danni derivanti dall’azione abusiva avversaria;
b) se la sanzione delle spese processuali possa invece considerarsi, come è stato in passato ventilato da autorevole dottrina, misura idonea a sanzionare la condotta di abuso del processo senza tuttavia incidere sul diritto sostanziale del creditore in modo irreparabile e definitivo e sulle prerogative, di rango costituzionale, all’accesso alla tutela giurisdizionale;
c) se il bilanciamento raggiunto sulla base del regime di improponibilità della domanda creditoria indebitamente parcellizzata possa ritenersi adeguato e proporzionato in relazione agli effetti “plurali” prodotti dall’indebita duplicazione delle domande sia nei confronti del debitore che sull’efficienza e funzionalità dell’amministrazione della giustizia;
d) se i meccanismi correttivi in punto di spese processuali, alla base dell’indirizzo espresso, da ultimo, da Cass. n. 8184/2023, pur idonei a soddisfare pienamente l’interesse del debitore – esonerato dal moltiplicarsi dei costi di causa – risultino pienamente efficaci nel contrastare in modo adeguato l’abuso della risorsa giustizia, che trascende l’interesse di parte – per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata;
e) se l’eventuale utilizzo dello strumento del novellato art. 96, c. 4 c.p.c. o di altre sanzioni –patrimoniali e non – già previste dal Codice di procedura civile (artt. 88 e 96 nella versione precedente alla novella dell’art. 96 c.p.c. realizzata con l’aggiunta del comma 4) possa ulteriormente rappresentare un ragionevole punto di bilanciamento ove dovesse prediligersi la soluzione che esclude l’improponibilità della domanda.
In prossimità della udienza pubblica di discussione, il Procuratore generale depositva le sue conclusioni scritte in cui (mutando avviso rispetto alle conclusioni in precedenza formulate in vista dell’udienza all’origine fissata dinanzi alla Prima Sezione) richiedeva il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositavano memorie in vista della discussione dinanzi alla Prima sezione civile, mentre, preliminarmente alla discussione dinanzi alle Sezioni Unite, la sola parte ricorrente dimetteva una nuova memoria; all’esito della discussione in pubblica udienza il Collegio ha riservato il deposito della sentenza.
SOLUZIONE
[1] A fronte di una fattispecie che renda ipotizzabile un abusivo frazionamento del credito, la questione è sollevabile dalle parti o anche d’ufficio dal giudice; qualora la rilevi d’ufficio, il giudice la deve comunque sottoporre all’attenzione delle parti in contraddittorio, anche allo scopo di consentire l’eventuale modifica o integrazione della domanda. Se, analizzata la questione in contraddittorio, il giudice ritenga di trovarsi di fronte ad un abusivo frazionamento della pretesa creditoria, deve innanzitutto verificare se sia possibile l’impiego degli strumenti messi a disposizione dal codice di rito per convogliare la decisione sull’intera pretesa dinanzi a sé, quali la riunione ex art. 274 c.p.c. se pendono dinanzi ad uno stesso ufficio giudiziario. A tal proposito, la riunione va disposta anche in sede di legittimità (come già affermato dalla Corte di cassazione con sent. n. 9488/2014), ove solo in questa sede emerga un ingiustificato frazionamento soggettivo delle azioni in giudizio.
Il Giudice, quindi, deve procedere a verificare se la parte abbia agito mossa da interesse oggettivo all’accertamento separato, laddove l’interesse oggettivo deve intendersi come un interesse non di mero fatto, ma ritenuto meritevole di tutela dall’ordinamento. A questo proposito, deve ritenersi che l’aver a disposizione la prova privilegiata che consente l’accesso ad una tutela più veloce o a contraddittorio differito solo per una parte del credito possa integrare di per sé un interesse meritevole di tutela, non potendosi arrivare all’eccesso di affermare che gli strumenti alternativi di più rapida soddisfazione dei crediti predisposti dall’ordinamento siano in ogni caso preclusi quando i crediti si iscrivano in un unico rapporto nel senso anzidetto (v. Cass. n. 19048/2021).
Il giudice deve in ogni caso motivare, sulla sussistenza o l’insussistenza di un interesse che giustifichi il frazionamento della domanda; qualora ritenga abusivo il frazionamento, dovrà di regola pronunciare l’improponibilità della domanda, con la precisazione che si tratta di pronuncia solo in rito, il che non osta alla proponibilità della domanda nella sua interezza; qualora, infine, accerti che non si tratterebbe di una pronuncia solo in rito, perché la domanda non sarebbe più riproponibile unitariamente in un diverso giudizio, il giudice deve pronunciarsi ugualmente sul merito della pretesa, anche se ritenga la domanda abusivamente frazionata, potendo sanzionare in questi casi il comportamento del creditore, non conforme ai doveri di lealtà e probità processuale, mediante la regolamentazione delle spese di lite, fino a porle a carico, con valutazione discrezionale motivata ex artt. 88 e 92 c.p.c., in tutto o in parte a carico del creditore la cui domanda sia stata accolta.
Le Sezioni Unite della Cassazione, conclusivamente, accogliendo il ricorso, hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
a) in tema di abusivo frazionamento del credito, i diritti di credito che, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato oppure fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi il cui accertamento separato si traduca in un inutile e ingiustificato dispendio dell’attività
processuale, non possono essere azionati in separati giudizi, a meno che non si accerti la titolarità, in capo al creditore, di un apprezzabile interesse alla tutela processuale frazionata, in mancanza del quale la domanda abusivamente frazionata deve essere dichiarata improponibile, impregiudicato il diritto alla sua riproposizione unitaria;
b) qualora non sia possibile l’introduzione di un giudizio unitario sulla pretesa arbitrariamente frazionata, per l’intervenuta formazione del giudicato sulla frazione di domanda separatamente proposta, il giudice è tenuto a decidere nel merito sulla domanda anche se arbitrariamente frazionata, e terrà conto del comportamento del creditore in sede di liquidazione delle spese di lite, escludendo la condanna in suo favore o anche ponendo in tutto o in parte a suo carico le spese di lite, ex 88 e 92 primo comma c.p.c., integrando l’abusivo frazionamento della domanda giudiziale un comportamento contrario ai doveri di lealtà e probità processuale.
QUESTIONI
[1] La pronuncia qui annotata rappresenta un vero e proprio trattato sulla giurisprudenza in materia di abusivo frazionamento del credito, ripercorrendo gli arresti giurisprudenziali più significativi.
Le Sezioni Unite ribadiscono che ciò che si ritiene necessario contrastare non è il frazionamento del credito in sé considerato (in relazione al quale parte della dottrina ha segnalato che non esiste alcuna diretta preclusione normativa di fonte primaria, potendosi trarre, al contrario, numerosi indici di segno contrario che presuppongono la possibilità del frazionamento dalle norme del codice di rito), ma il suo abuso, nella veste bifronte del frazionamento ingiustificato della pretesa creditoria e della proliferazione delle azioni volte all’accertamento di uno stesso credito, o di crediti del tutto analoghi che si inseriscono in una relazione di durata tra debitore e creditore, impegnando in tal senso l’organizzazione giudiziaria ed anche la propria controparte senza che ve ne sia un reale interesse meritevole di tutela.
Il contrasto all’abuso ha trovato dal 1999 in poi un sicuro fondamento normativo a livello costituzionale nel principio costituzionalizzato del giusto processo regolato dalla legge, che da allora costituisce il fine a cui deve tendere l’organizzazione giudiziaria in generale e l’attività di ogni singolo giudice, nonché la lente valoriale alla stregua della quale rileggere e attualizzare nella loro interpretazione le norme primarie sul processo, ed in particolare, per quanto in questa sede rileva, i doveri di lealtà e probità delle parti all’interno del processo.
Proprio alla luce della necessità di dare attuazione al principio costituzionalizzato del giusto processo, le Sezioni Unite hanno condiviso in linea generale il meditato percorso ricostruttivo e evolutivo operato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, che, a fronte di una domanda abusivamente frazionata – ossia in relazione alla quale venga giudizialmente accertata l’insussistenza di un interesse meritevole di tutela alla proposizione frazionata – indica come conseguenza l’improponibilità della domanda stessa, che non ne preclude al creditore la riproposizione unitaria.
Tuttavia, la soluzione indicata non è predicabile alla generalità delle ipotesi, ma deve essere ulteriormente articolata e specificata, allo scopo di superare alcune obiettive criticità poste in luce dalla dottrina, recependo e valorizzando al contempo anche il percorso interpretativo alternativo proposto da parte della giurisprudenza di legittimità.
L’affermazione secondo la quale l’improponibilità della domanda non ne impedisce la riproposizione unitaria non è vera fino in fondo, ovvero non si presta ad essere predicata ad ogni situazione.
In particolare, ciò non sarebbe rispondente al vero proprio in casi come quello oggetto della pronuncia qui annotata, che pone di fronte a un bivio ed alla necessità di prendere posizione. Infatti, nel caso di specie, in cui l’attore ha chiesto contestualmente l’emissione di due distinti decreti ingiuntivi, in riferimento ai crediti maturati per prestazioni sanitarie erogate in due mesi diversi, uno dei quali non è stato opposto divenendo definitivo, mentre la domanda giudiziale relativa ai crediti maturati nel mese successivo e dei quali è stata richiesta l’ingiunzione di pagamento col secondo decreto è stata dichiarata improponibile, la domanda stessa non sarebbe ulteriormente riproponibile in maniera unitaria e, ove riproposta, dovrebbe essere dichiarata radicalmente inammissibile.
Bisogna quindi chiedersi cosa fare in questi (limitati) casi, in cui alla declaratoria di improponibilità della domanda frazionata non potrebbe in effetti far seguito l’introduzione di un altro giudizio in cui azionare unitariamente la pretesa: se sia preferibile mantenere una soluzione unitaria, ribadendo l’affermazione in termini di improponibilità della domanda, pur essendo consapevoli che non di semplice improponibilità della domanda si tratti in effetti ma di vera e propria inammissibilità, e che ciò si tradurrebbe nell’ implicita affermazione che la violazione del divieto di abusivo frazionamento del credito è sanzionata, nel caso in cui sull’altra porzione di credito sia formato già il giudicato, con la perdita del diritto stesso.
Il problema della congruità della conseguenza della statuizione di improponibilità della domanda si ripropone in questi casi diversamente, perché accompagnato dalla consapevolezza che qui si realizzerebbe la perdita definitiva di quella parte del diritto di credito o di quel credito. Ciò detto, la soluzione che tenga ferma l’affermazione di improponibilità della domanda anche ai casi in cui essa si tradurrebbe nella perdita del diritto di azione non appare compatibile con una interpretazione dei principi indicati che non violi il principio di proporzionalità ed il necessario bilanciamento tra il diritto all’azione e il diritto al giusto processo. Dall’abuso dello strumento processuale consegue che, nella sua rilevazione e dichiarazione, deve essere applicato, infatti, il principio di strumentalità delle forme – sotteso alla regola del giusto processo, ex art. 111 Cost. ed art. 6 CEDU – a tenore del quale le regole di rito vanno intese ed applicate non come valore assoluto, ma in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli. Come a più riprese evidenziato dalla Corte EDU, infatti, l’imposizione di condizioni, forme e termini processuali deve rispondere ad obiettive esigenze di buona amministrazione della giustizia. Deve trattarsi, peraltro, di regole prevedibili, la cui violazione può essere evitata con l’ordinaria diligenza. Dette formalità processuali, insomma, devono essere sorrette da uno scopo legittimo e deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito, così coordinando il diritto di accesso ad un Tribunale, riconosciuto dall’art. 6 par. 1 della Convenzione, la sicurezza giuridica e la buona, efficiente e celere amministrazione della giustizia. Ne consegue che il diritto di accesso ad un giudice viene, invece, leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall’autorità giudiziaria competente (per tutte si veda la già citata Corte EDU, sez. I, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia, in causa n. 32610/07).
Alla luce di queste considerazioni, le Sezioni Unite affermano che l’interpretazione, secondo cui l’improponibilità delle domande separatamente proposte senza idonea giustificazione, relative a diritti di credito distinti maturati nell’ambito di un medesimo rapporto di durata, debba essere dichiarata anche quanto la domanda stessa non possa essere effettivamente riproposta, non appare conforme al principio del giusto processo perché si traduce nella sanzione, obiettivamente sproporzionata, della “confisca” del diritto di azione.
La proporzionalità delle misure che l’ordinamento appresta per contrastare l’abuso del processo, nel silenzio del legislatore, non pare possa prescindere dalla necessità di pervenire ad un corretto bilanciamento che tenda a realizzare un ragionevole accomodamento fra i diritti in contesa (Cass. S.U. n. 24414/2021), muovendo dal dato, ormai ben assimilato nel diritto vivente, sia dei giudici costituzionali e di quelli comuni, che fra i diritti fondamentali non esiste un diritto tiranno e che non può dunque esistere nemmeno un’idea di “abuso tiranno” capace cioè di comprimere oltre ogni comprensibile limite di ragionevolezza e proporzionalità i diritti delle parti in causa.
Una soluzione in tal senso apparirebbe in primo luogo dunque sproporzionata, ed anche noncurante del potenziale arricchimento, ingiustificato, che ricaverebbe il convenuto attinto da domanda frazionata e ritenuta improponibile.
In questa delimitata serie di casi, la pronuncia afferma che non possa ritenersi che quel giudicato, separatamente formatosi in relazione ad analoghe, ma distinte, prestazioni tra le stesse parti, copra il dedotto e il deducibile nel senso che copra l’accertamento di tutti i crediti fino a quel momento maturati tra le parti e che sia preclusivo di un distinto accertamento del credito residuo.
La Cassazione a Sezioni Unite conclude, dunque, che, a fronte di una domanda non effettivamente riproponibile, il giudice debba comunque, anche qualora accerti l’inesistenza di un interesse oggettivo (ovvero meritevole di tutela) ad agire frazionatamente, pronunciarsi nel merito della domanda, ovvero sull’esistenza e la consistenza del credito, dando atto che la domanda non sarebbe altrimenti riproponibile.
Ma quale deve essere la reazione dell’ordinamento in questi – si ribadisce “limitati” – in cui il giudice non possa dichiarare l’improponibilità della domanda arbitrariamente frazionata, ma debba comunque pronunciarsi nel merito? In questi casi, la sanzione verso l’abuso opera esclusivamente sul piano delle spese giudiziali, afferma la sentenza delle Sezioni Unite.
Peraltro – precisa la Cassazione – lo strumento delle spese processuali per sanzionare l’abuso può essere utilizzato non soltanto nel senso di non concedere alla parte creditrice la cui domanda sia stata accolta nel merito il favore delle spese.
Nei casi di abuso dello strumento processuale la leva delle spese di lite può utilmente essere utilizzata per ridurre o eliminare le spese superflue:
– nel caso in cui, a monte, vi sia stata l’emissione di numerosi decreti ingiuntivi, l’effetto eliminatorio della distorsione introdotta con l’abuso può passare anche attraverso la caducazione delle spese liquidate con i decreti (Cass. n. 16508/2023);
– nel caso in cui il creditore notifichi plurimi atti di precetto in forza di diversi titoli esecutivi nei confronti del medesimo debitore, lo stesso ha diritto alla sola liquidazione delle spese e compensi professionali corrispondenti a quelli strettamente necessari (Cass. n. 13606/2024).
Oltre a queste soluzioni, già adottate della giurisprudenza, le Sezioni Unite segnalano che per sanzionare adeguatamente il ricorso abusivo e ingiustificato al frazionamento del credito, nei casi in cui non si possa precludere l’accesso al giudizio con una pronuncia di improponibilità, lo strumento delle spese può arricchirsi di una ulteriore potenzialità (già evidenziata dalla dottrina fin dai primi commenti alla sentenza n. 23726/2007): sulla base del combinato disposto degli artt. 88 e 92 primo comma c.p.c., previo l’accertamento, a carico di chi agisce per ottenere il riconoscimento di un credito abusivamente frazionato, della violazione del canoni di comportamento processuale secondo lealtà e probità, si può sanzionare l’attore che promuove un abusivo frazionamento del credito, ponendo a suo carico l’onere delle spese processuali sostenute dalla controparte benché sia riconosciuto vincitore, scindendo la condanna alle spese dalla soccombenza. In tal modo, il creditore che abbia ingiustificatamente ed abusivamente frazionato in giudizio un credito che avrebbe potuto essere azionato unitariamente può vedersi esposto alla condanna al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte, benché risulti vincitore del giudizio.
Questo strumento, il cui utilizzo costituisce una facoltà discrezionale prevista dal codice di rito fin dalla sua prima stesura, il cui utilizzo è rimesso alla prudente e motivata valutazione del giudice, rilevano le Sezioni Unite, consente di sanzionare in maniera efficace il comportamento processuale del creditore a fronte di un abuso del processo senza pregiudicare irrimediabilmente le sue pur legittime pretese.
La giurisprudenza ne ha fatto negli anni un uso debitamente circoscritto ad ipotesi di grave violazione dei canoni di lealtà e probità processuale (la pronuncia ricorda che il numero di massime sul tema è esiguo, a testimonianza di un impiego limitato ma distribuito con regolarità negli anni: Cass. n. 1038/1967, Cass. n. 837/1970, Cass. n. 2174/1986, Cass. n. 1743/1996, Cass. n. 13427/2003).
La possibilità di addossare all’attore vincitore le spese di lite, in caso di accertata e motivata violazione dei doveri di probità e lealtà processuale, alla quale è riconducibile la proposizione di una domanda abusivamente frazionata nei casi individuati nei quali il giudice non può sottrarsi all’esame del merito, trae il suo fondamento da una specifica norma di legge che costituisce idoneo presupposto per una sanzione processuale dei comportamenti e ancor più delle prassi scorrette eliminando gli effetti distorsivi che derivano dalla abusiva proposizione frazionata della domanda, da valorizzare utilmente nei casi in cui la domanda, benché abusivamente frazionata, non possa essere dichiarata improponibile per le ragioni espresse nel paragrafo precedente.
In questi casi, cioè, il giudice adito non si potrà spogliare della causa con una pronuncia di improponibilità in rito cui corrisponderebbe il diniego di esame nel merito, ma la domanda dovrà essere esaminata dal giudice di merito che, qualora accerti l’esistenza del credito potrà condannare la controparte al pagamento e al contempo far ricadere l’onere delle spese legali sull’attore, se ritenga che la domanda sia stata abusivamente frazionata.
Infine, la pronuncia osserva che le conclusioni tratte sulle due principali questioni sottopostele appaiono, oltre che coerenti col sistema e col percorso evolutivo della Corte, maggiormente rispettose del principio della stabilità dei precedenti in materia processuale, trasversale a tutte le giurisdizioni superiori, al cui rispetto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 203/2024, ha fatto richiamo. È un principio del resto coessenziale alla funzione di interprete del diritto vivente svolta dalla Corte, e valorizzato di recente già da Cass. S.U. n. 29862/2022 nell’affermare che l’interpretazione di una norma processuale consolidata può essere abbandonata solo in presenza di forti ed apprezzabili ragioni giustificative, indotte dal mutare di fenomeni sociali o del contesto normativo, oppure quando l’interpretazione consolidata risulti manifestamente arbitraria e pretestuosa o dia luogo a risultati disfunzionali, irrazionali o “ingiusti”, atteso che l’affidabilità, prevedibilità e uniformità dell’interpretazione delle norme processuali costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di “giustizia” del processo; con la conseguenza che, ove siano compatibili con la lettera della legge due diverse interpretazioni, è doveroso preferire quella sulla cui base si sia formata una sufficiente stabilità di applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione.
Le conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite con la pronuncia qui annotata si inseriscono, peraltro, in un tessuto in cui sia il corredo normativo di strumenti processuali sia l’interpretazione giurisprudenziale degli stessi nel tempo sono cambiati: al testo originario del codice di procedura civile si sono sovrapposte modifiche a livello costituzionale e riforme processuali che hanno modificato l’impostazione di base, passando da una pluralità di riti attraverso i quali esercitare il diritto di azione a scelta della parte, nella maniera più conforme possibile alla complessità della controversia e alla necessità o meno di una completa istruttoria alla situazione inversa, di tendenziale unicità o comunque di centralità del rito a cognizione ordinaria, all’interno del quale, da un lato, è stata valorizzata una aumentata sensibilità verso il rispetto pieno del diritto al contraddittorio attraverso il richiamo al potere-dovere del giudice di segnalare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio anche al fine di una rinnovata e ampliata (dall’interpretazione della giurisprudenza) possibilità di modificare la domanda anche significativamente per evitare la duplicazione delle attività di accertamento (sulla strada tracciata dalle Sezioni Unite del 2014 e poi del 2015 e, recentemente, da Cass. S.U. n. 26727/2024 che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha ampliato la possibilità per il creditore opposto di proporre domande alternative a quella introdotta in via monitoria).
A questa possibilità accresciuta di ampliare e modificare l’originario oggetto del giudizio si associa l’introduzione di una pluralità di strumenti endoprocessuali finalizzati a garantire l’anticipata soddisfazione dei crediti non contestati o dei crediti facilmente accertabili (vanno ricordati in tal senso i provvedimenti sommari anticipatori di cui agli artt. 186bis, ter e quater c.p.c., introdotti fin dalla riforma del 1990, ed anche le cosiddette ordinanze definitorie, di accoglimento e di rigetto, ex artt. 183ter e quater c.p.c., recentemente introdotte dalla riforma del 2022).
È comunque individuabile – conclude la pronuncia – una linea evolutiva non solo della interpretazione giurisprudenziale, ma anche della disciplina processuale nel senso di consentire e privilegiare il perseguimento dell’obiettivo della ragionevole durata del processo attraverso un accertamento unitario, nell’ambito del quale, a seconda del grado di complessità istruttoria, la parte può trovare in tutto o in parte soddisfazione della propria pretesa in maniera anticipata: le riforme processuali stesse conducono verso l’eliminazione del frazionamento e l’unicità dell’accertamento perché attuative dell’aspirazione al giusto processo, non discosta dall’attenzione alla concretizzazione tempestiva degli interessi del creditore che ha ragione.
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