8 Luglio 2025

Morte dell’unico difensore: interruzione automatica del processo anche se la parte colpita dall’evento sia essa stessa un avvocato

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 12 giugno 2025, n. 15666, Pres. Di Virgilio Est. Cavallino

[1] Processo di cognizione – Interruzione del processo – Morte o impedimento del procuratore

Massima: “La morte dell’unico difensore della parte costituita, che intervenga nel corso del giudizio, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata.”

CASO

[1] Un avvocato, assistito da un difensore di fiducia, proponeva nei confronti di una società calcistica domanda di pagamento delle competenze professionali spettanti per l’attività difensiva svolta nel corso di un processo penale relativo alla falsificazione di documenti occorrenti per il conseguimento della cittadinanza italiana da parte di un calciatore.

L’adito Tribunale di Roma rigettava la domanda, con decisione che veniva però riformata, all’esito del giudizio di seconde cure, dalla Corte d’Appello romana, che conseguentemente pronunciava condanna a carico della società.

La convenuta soccombente proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto relativamente ad uno dei suoi motivi, con conseguente annullamento della decisione d’appello e rinvio della causa al giudice di secondo grado, il quale statuiva in conformità ai principi pronunciati dalla Suprema Corte. Si segnala, per quanto di interesse ai fini del presente commento, che nel corso del giudizio di rinvio era venuto a mancare l’unico difensore di parte attrice, e che successivamente a tale momento la società calcistica aveva depositato istanza di anticipazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, la quale veniva effettivamente anticipata nelle forme della trattazione scritta e della relativa comunicazione l’originario attore nulla aveva saputo: conseguentemente, per l’udienza di precisazione delle conclusioni solo la società aveva depositato le note di trattazione scritta e, di seguito, la comparsa conclusionale.

La decisione emessa all’esito del giudizio di rinvio veniva allora fatta oggetto, da parte dell’avvocato, di un nuovo ricorso per cassazione mediante il quale, in particolare, denunciava, con riferimento all’art. 360, n. 4), c.p.c., violazione dell’art. 301 c.p.c. in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e all’art. 6 CEDU. Nel dettaglio, parte ricorrente (con censura cui ha aderito la società calcistica) ha richiamato il principio secondo il quale la morte dell’unico difensore determina automaticamente l’interruzione del processo e la conseguente nullità della sentenza, evidenziando come anche in concreto sia stato precluso l’esercizio del diritto di difesa, in quanto la sommaria motivazione della sentenza appare determinata dalla convinzione di una desistenza del professionista, che invece non vi era stata.

SOLUZIONE

[1] La Cassazione ritiene fondato il motivo di ricorso proposto.

La Suprema Corte ritiene, infatti, documentalmente dimostrato il momento del decesso dell’unico difensore di parte attrice, che ciò non sia emerso in causa, che nessun nuovo difensore si sia costituito, che non siano state precisate le conclusioni per l’attore e non siano stati per lui neppure depositati comparsa conclusionale o memoria di replica. Nel dettaglio, la causa interruttiva è stata dedotta e provata dal ricorrente (parte colpita dall’evento interruttivo), in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., producendo il relativo certificato di morte; allo stesso modo, la continuazione del processo fino al deposito della sentenza senza la costituzione di altro difensore o comunque lo svolgimento di attività difensiva risulta dai verbali di causa.

Ne risulta violato il principio (che verrà meglio illustrato di seguito) secondo cui la morte dell’unico difensore della parte costituita, che intervenga nel corso del giudizio, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata.

Neppure le peculiarità proprie del caso di specie – ossia, il fatto che il soggetto colpito dall’evento interruttivo avesse la qualità necessaria per difendersi in proprio – consentono di giungere a diversa conclusione: ciò, infatti, non incide sul fatto che egli nel processo non avesse esercitato tale facoltà di difesa personale ex art. 86 c.p.c. e sia rimasto privo dell’unico difensore a mezzo del quale si era costituito; quindi, anche in tale caso, l’effetto dell’interruzione avrebbe trovato un limite soltanto nella previsione dell’art. 299 c.p.c., relativa all’ipotesi in cui coloro ai quali spetta proseguire il processo si costituiscano volontariamente, e cioè per il caso in cui l’avvocato, a seguito della morte del suo difensore, si fosse costituito personalmente o si fosse costituito a mezzo di altro difensore.

All’accoglimento del motivo di ricorso proposto consegue la dichiarazione di nullità della sentenza impugnata, in quanto emessa allorché il processo era interrotto, e un nuovo rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alle conseguenze prodotte, nel corso del giudizio, dalla sopravvenuta morte dell’(unico) difensore della parte.

La norma di riferimento, come noto, è rappresentata dall’art. 301 c.p.c., espressamente dedicato ai casi di «Morte o impedimento del procuratore», dove è prescritto che «Se la parte è costituita a mezzo di procuratore, il processo è interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore stesso».

È costante, in giurisprudenza, l’affermazione del principio (già richiamato) secondo cui la morte dell’unico difensore della parte costituita, che intervenga nel corso del giudizio, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata (Cass., 4 novembre 2024, n. 28257; Cass., 26 agosto 2021, n. 23486; Cass., 24 gennaio 2020, n. 1574; Cass., 14 dicembre 2010, n. 25234).

La peculiarità caratterizzante il caso di specie si rinviene peraltro in ciò, che la parte colpita dall’evento interruttivo, essendo essa stessa un avvocato, aveva la qualità per difendersi in proprio. Appare tuttavia corretta la decisione assunta dalla Cassazione in commento, che ha negato a tale circostanza ogni possibile rilevanza: tale parte, infatti, ha mancato di esercitare la facoltà di stare in giudizio senza il ministero di altro difensore accordatale dall’art. 86 c.p.c., facendo venir meno qualsivoglia motivo per derogare all’applicabilità del regime, testé descritto, dettato dall’art. 301 c.p.c.

Tali regole applicative, tuttavia, non sono destinate a valere anche nell’ipotesi in cui la parte sia rappresentata in giudizio da più di un difensore, con facoltà di difesa anche disgiunta: in tal caso, l’evento che colpisca uno dei difensori resterà privo di conseguenze, essendo il diritto di difesa della parte adeguatamente garantito dalla presenza degli altri difensori (Cass., 20 febbraio 2003, n. 2577; Cass., 18 marzo 2003, n. 3982).

Per quanto riguarda le modalità per dedurre in giudizio l’evento in discorso, si segnala l’arresto di Cass., 24 gennaio 2020, n. 1574, la quale ha chiarito che ove il processo (nonostante il verificarsi della morte dell’unico difensore) sia irritualmente proseguito, la causa interruttiva può essere dedotta e provata in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mediante la produzione dei documenti necessari, ma solo dalla parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l’interruzione, non potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza.

Si ricorda, ancora, che i fatti interruttivi qui considerati sono destinati a perdere di rilevanza allorché la causa sia ormai transitata in fase decisoria: per l’esattezza, laddove avveratisi dopo la chiusura della discussione (ovvero, dopo la scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica) sono destinati a produrre l’estinzione del processo solo nel caso di riapertura dell’istruzione.

Come precisato dal medesimo art. 301 c.p.c., inoltre, non sono cause di interruzione del processo la revoca della procura al difensore o la rinuncia alla stessa da parte di quest’ultimo, trattandosi di fatti volontari inidonei a produrre effetti processuali fino a quando la parte non nomini un nuovo difensore.

Viceversa, la cancellazione dall’albo, secondo l’orientamento che appare maggioritario, costituisce causa di interruzione del processo, sia se avvenuta in via volontaria (Cass., sez. un., 13 febbraio 2017, n. 3702), sia se disposta d’ufficio (Cass., 31 gennaio 2012, n. 1355).

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