I poteri impeditivi e la responsabilità per colpa o dolo degli amministratori
di Davide Giuseppe Giugno, Avvocato Scarica in PDFIl mancato impedimento dell’evento quale fonte di responsabilità civile o penale
Abbiamo già offerto un inquadramento sistematico alla figura dell’Amministratore ed alle responsabilità derivanti dalla posizione di garanzia dallo stesso ricoperta nell’organizzazione societaria. La posizione di garanzia, si ripete, è tale per l’affidato che i terzi fanno sul garante circa la protezione del bene protetto.
Im questa terza pubblicazione, inquadreremo normativamente la fonte di detta responsabilità sotto il profilo penalistico.
A mente dell’art. 40 c.p. “… nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Ancora una volta, evidenziamo che l’azione o l’omissione hanno rilevanza penale solo se etiologicamente connesse, sotto il profilo della causalità, alla realizzazione dell’evento antigiuridico.
Ma le problematiche maggiori si riscontrano nella fase dell’accertamento giudiziario della responsabilità.
Infatti, se da un lato si impone l’individuazione dei poteri impeditivi che, seppur nella disponibilità del garante, non sarebbero stati attivati, dall’altro dovrà essere verificata l’effettiva incidenza dell’azione omessa sull’evento naturalistico verificatosi. Come se ciò non bastasse, dovremo, ancora, distinguere tra reato omissivo proprio e improprio. Il primo individuabile nel mancato compimento di un’azione imposta dalla legge penale, mentre il secondo nella violazione dell’obbligo di impedire un evento tipico[1]. Ed ecco che la responsabilità di chi ricopre una posizione di garanzia presenta le maggiori criticità nella più complessa declinazione del reato omissivo improprio. Sul garante, infatti, graverebbe l’obbligo giuridico di impedire l’evento proprio in funzione della posizione di garanzia da questi assunta.
Ma la genericità del precetto penale (art. 40 c.p.) non consente di individuare in modo certo quando sussista l’obbligo, a carico del garante, di intervenire a tutela del bene giuridico protetto.
Dottrina e Giurisprudenza si sono profuse in molteplici interventi volti a rendere meno nebulosi sia i confini della responsabilità penale da reato omissivo improprio, che i criteri da adottare per il suo accertamento giudiziario.
Gli aspetti su cui concentrarsi possono essere individuati in quelli caratterizzanti la connessione causalistica tra evento ed omissione, nonché nella caratterizzazione dell’elemento soggettivo, distinguendo, infine, tra colpa e dolo.
I reati omissivi impropri sono anche definiti commissivi mediante omissione. Pertanto, a differenza dei reati omissivi propri, uno degli elementi costitutivi è rappresentato dall’evento dannoso a carico del bene giuridico tutelato dall’ordinamento ed affidato alla protezione di un garante.
L’art. 40 cpv c.p. non trova applicazione, all’evidenza, in relazione ai reati di mera condotta ed in quelli omissivi propri. Questi ultimi non determinano particolari criticità nell’accertamento della responsabilità penale, colposa o dolosa. In questi casi, infatti, la responsabilità del soggetto discende dalla sua qualifica che lo grava dell’obbligo di impedire l’evento dannoso (posizione di garanzia). La posizione di garanzia, tra l’altro, può anche derivare da un’assunzione di fatto delle funzioni tipiche del garante.
Tornando al più scivoloso terreno dell’accertamento della responsabilità penale da reato omissivo improprio, è d’uopo individuare le coordinate utili ad intercettarne i presupposti imprescindibili:
- situazione tipica da cui scaturisce l’esposizione a pericolo di un bene tutelato dall’ordinamento;
- obbligo di attivarsi per proteggere il bene;
- mancata realizzazione dell’azione imposta dall’ordinamento a chi ricopre una c.d. posizione di garanzia;
- verificarsi dell’evento;
- sussistenza del nesso etiologico tra omissione ed evento.
Orbene, la riconducibilità della responsabilità del garante alla fonte normativa, ma anche al contratto, pone non pochi contrasti con i principi di legalità e tassatività.
Riteniamo, a tal proposito, che la recente novella dell’art. 2086 c.c., relativamente al dovere di adottare adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, abbia di fatto ampliato le responsabilità degli Amministratori delle Società in ragione degli ulteriori obblighi. Non basta osservare che la modifica sia volta alla prevenzione dello stato di crisi al fine di scongiurare l’insolvenza e la liquidazione giudiziale dell’impresa. Infatti, dalla mancata adozione di adeguati assetti societari, possono discendere responsabilità penali proprio in relazione a tutte quelle fattispecie di reato che adempiendo al precetto normativo si sarebbero potute impedire. E’ certo che l’omissione colposa non potrebbe mai costituire il presupposto della responsabilità concorsuale da reato omissivo improprio caratterizzato dal dolo, ma restano, pur tuttavia, contestabili tutte le fattispecie a natura colposa.
In tal senso, è imprescindibile rilevare che il Giudice delle Leggi con la sentenza n. 364/88 ha stigmatizzato la presunzione di conoscenza della posizione di garanzia da parte del garante che non potrà mai invocare un errore di diritto, salvo il caso della sua inevitabilità.
Pertanto, appurata la sussistenza della posizione di garanzia ricoperta dall’Amministratore, la sua responsabilità penale potrà essere impegnata a titolo di colpa o dolo, sia diretto che eventuale.
I problemi maggiori si palesano nella fase deputata all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato.
Quando potrà ritenersi che l’Amministratore abbia agito con dolo?
La Giurisprudenza[2] non è conforme, nonostante gli ultimi arresti, nel ritenere sussistente il dolo nella sola ipotesi dell’atteggiamento volitivo orientato alla produzione dell’evento lesivo. A tal proposito basterebbe pensare a tutte quelle fattispecie di reato che il garante, pur non partecipando all’azione diretta alla produzione dell’evento, avrebbe potuto scongiurare se solo avesse attivato i propri poteri impeditivi. Sicché, la verifica della sua responsabilità penale si sposta sulla mera conoscibilità o conoscenza certa del fatto illecito da impedire nel suo verificarsi. Ed è proprio l’ipotesi del dolo eventuale e della responsabilità concorsuale, la cui differenziazione con la colpa cosciente (art. 43 co. 3 c.p.) non è sempre semplice.
Abbiamo dianzi fatto cenno alla “intenzionalità” quale elemento caratterizzante il dolo; diversamente, la colpa si manifesta nel non volere l’evento.
Ed è proprio in questa prospettiva che rileva la posizione di garanzia ricoperta dall’Amministratore, poiché la violazione delle regole cautelari, sociali o giuridiche, preposte a scongiurare il verificarsi del rischio, costituisce il rapporto di causalità con l’evento stesso.
Sia Giurisprudenza che Dottrina sono concordi nel ritenere che nel dolo eventuale il soggetto agente si rappresenta la verificazione dell’evento collaterale in termini di minore certezza probabilistica e ciò nonostante il proprio approccio all’omissione è di indifferenza. In questi casi il rischio è probabile e l’agente lo accetta.
Pertanto, sotto il profilo dell’accertamento processuale della responsabilità penale da dolo eventuale, distinguendolo dalla colpa cosciente, sarà indispensabile che il Giudice verifichi, con severità probatoria, l’iter e l’esito del processo sotteso alla decisione adottata dall’imputato, adottando alcuni indicatori cognitivi:
a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa;
b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente;
c) la durata e la ripetizione dell’azione;
d) il comportamento successivo al fatto;
e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali;
f) la probabilità di verificazione dell’evento;
g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione;
h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione, nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank – Cassazione penale Sez. Un., 24 aprile 2014, n.38343).
Ancora una volta, la valutazione, in concreto, della sussistenza del potere impeditivo risulta dirimente per poter definire il fatto tipico omissivo improprio ed individuare attraverso quali strumenti il garante avrebbe potuto contrastare la verificazione dell’evento lesivo. Se chi ricopre una posizione di garanzia non disponesse di reali poteri impeditivi, si finirebbe per trovarsi di fronte a contestazioni penali contrarie al principio della responsabilità personale sancito dall’art. 27 comma 1 della Costituzione. Non pochi dubbi sono sorti circa l’effettiva capacità impeditiva dei poteri nella disponibilità degli Amministratori, ex art. 2392 c.c., ed esercitabile attraverso svariati strumenti quali la denunzia e l’impugnazione delle delibere assembleari. Invero, potrà definirsi tipica ex art. 40, comma 2, c.p. soltanto la condotta, derivante da un dovere connesso alla funzione, che, se posta in essere, avrebbe impedito, in concreto, l’evento. Sicché, la Giurisprudenza evidenzia la necessità di accertare, perché possa parlarsi di responsabilità da reato omissivo improprio, che il garante disponesse di poteri idonei ad impedire la lesione del bene tutelato, o che potesse raggiungere detto risultato impeditivo mediante la sollecitazione delle necessarie azioni.
[1] F. SGUBBI, Responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, Padova, 1975; FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979; G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999. Frequenti, inoltre, i riferimenti in letteratura ai saggi di F. GIUNTA, La posizione di garanzia, in Dir. pen. proc., 1999, 5, p. 620 s., e F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 984; ID, L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce del principio di legalità, di solidarietà, di libertà e di responsabilità personale, Riv. it. dir. proc. pen, 2001, 337.
[2] Cass. 9.12.2008 n. 45513, in Dejure e Cass. 16.4.2006 n. 36595, ivi, le quali presumono la conoscenza da parte dell’amministratore senza delega degli indici d’allarme «salvo prova contraria»; Cass. 18.2.2010 n. 17690, ivi, la quale afferma che è sufficiente che la prova della conoscenza in capo agli esponenti societari si ancori a canoni dimostrativi compatibili con il «senso comune» di chi è chiamato a scelte di gestione, controllo e vigilanza; Cass. 19.10.2010 n. 41136, ivi, secondo cui «basta la conoscenza potenziale dell’indice di rischio da parte dell’amministratore non operativo»; Cass. 27.1.2011 n. 7088, ivi, secondo cui si ha dolo eventuale «se gli indici sono talmente forti ed evidenti da doversi necessariamente imporre anche all’attenzione del più noncurante e distratto degli amministratori»; Cass. 7.3.2014 n. 32352, in FI 2014, 7 ss. (su cui v. F. Balato, Sentenze Parmalat vs Corvetta: il dilemma della struttura della bancarotta fraudolenta, in www.penalecontemporaneo.it, 16.2.2015) che considera «segnali precipui e peculiari tutti quelli che, secondo massime di esperienza, costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti dell’effettiva conoscenza da parte dell’amministratore privo di deleghe del compimento del fatto illecito su cui incombe un devoir d’alerte che viene misurato sulle specifiche competenze ed esperienze professionali e si fonda sulla distinzione tra segnali possibili di evento-reato e segnali probabili di evento-reato». Si attua, nella sentenza in esame, una inversione dell’onere della prova: è l’imputato amministratore non operativo che dovrà dare una spiegazione alternativa alla logica presuntiva delle massime d’esperienza sull’inerzia e questa dovrà essere «convincente» e «legittima»; Cass. 3.3.2015 n. 9266, in Dejure, per la quale gli indici di allarme fanno presumere la conoscenza, specie nel caso di una S.I.M., ove gli obblighi di controllo spettano agli amministratori sull’attività posta in essere dai promotori finanziari che operino come mandatari; Cass. 7.3.2014 n. 32352, ivi, e Cass. 10.2.2009 n. 9736, ivi, secondo le quali la presenza dei c.d. segnali d’allarme costituirebbe la rappresentazione dell’evento e il non attivarsi, qualora siano perspicui e peculiari, equivarrebbe a scegliere per una volontaria omissione di impedire l’evento secondo il tradizionale criterio dell’accettazione del rischio; Cass. 9.3.2018 n. 14783, in CP 2018, 3876, che precisa come «allorché si tratti di un soggetto che accetti il ruolo di amministratore allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato o l’accettazione del rischio che questi si verifichino possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale». Giurisprudenza e commento alle note estratto da Approfondimenti F. Bellagamba La legislazione penale ISSN: 2421-552X 1 11.5.2020 La responsabilità penale degli amministratori nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza
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