3 Marzo 2020

Patrimonio esaurito in vita mediante donazioni: rimedi per i legittimari pretermessi

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. II, Ordinanza, 7 febbraio 2020, n. 2914 Presidente – MANNA, Relatore SAN GIORGIO

Legittimari – Donazioni in conto di legittima – Collazione – Azione di riduzione

(C.c., artt. 536 ss., 769 ss.)

[1] In caso di assenza di relictum, non è necessaria la qualifica di erede ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione. Invero, qualora il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio mediante atti di donazione, sacrificando totalmente un erede necessario, il legittimario che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti, giacché, non sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da dividere, solo dopo l’esperimento vittorioso di tale azione egli è legittimato a promuovere od a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante dell’asse ereditario. Il legittimario totalmente pretermesso, proprio perché pretermesso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell’apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del de cuius, né la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario.

CASO

A.F., M.F. e R.F. sono figlie della signora G.P., la quale ha disposto del suo patrimonio in vita mediante una donazione in favore del figlio L.F.

Il figlio L.F. premorì alla madre G.P. lasciando a succedergli il coniuge e due figli I.F. e J.F..

Le signore A.F., M.F. e R. F. convengono in giudizio gli eredi di L.F., chiedendo la divisione della massa ereditaria da calcolare a seguito della collazione dei beni donati al fratello, e in subordine la riduzione della donazione.

Il Tribunale e la Corte d’Appello rigettano le domande delle attrici, in quanto costoro non avevano provato che i nipoti I.F. e J.F. avessero accettato l’eredità della nonna G.P., diventando eredi; in assenza di una qualifica di eredi in capo agli stessi, mancano i presupposti per la richiesta di divisione e collazione.

Le corti di merito avevano rigettato altresì la richiesta di riduzione, poiché le attrici non avevano previamente accettato l’eredità con beneficio di inventario.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione conferma la prima parte delle decisioni assunte dalle corti di merito: la collazione è un’obbligazione che grava solo sugli eredi, in proprio o per rappresentazione; i soggetti che sono chiamati per rappresentazione, in mancanza del padre premorto, non sono tenuti alla collazione di quanto ricevuto dal padre ex art. 740 c.c. sino a che non divengono eredi (i.e. accettano, espressamente o tacitamente, l’eredità della de cuius).

Viene accolta invece la seconda doglianza: respinta la richiesta di divisione, dev’essere dato spazio all’azione di riduzione.

La Suprema Corte parte col dire che è ormai acclarato che l’accettazione di eredità con beneficio di inventario (condizione di procedibilità dell’azione di riduzione) non sia necessaria nel caso la lesione della legittima sia determinata da disposizioni in favore di coeredi. Ciò in quanto la ratio dell’art. 564 comma 1 risiederebbe nell’esigenza di evitare che gli eredi possano sottrarre o occultare beni ereditari e poi invocare, di fronte ad estranei, l’insufficienza dei beni esistenti per soddisfare la loro legittima (in tal senso Cass. 5768 del 2013).

Nella specie, non vi erano beni da sottoporre ad inventario, perché l’asse era costituito dai beni ormai donati al figlio L.F. (la cui consistenza era evidentemente nota ai di lui figli ed eredi).

La corte chiarisce quindi che in caso di assenza di relictum non è necessaria la qualifica di erede ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione. Il legittimario (pretermesso) che intenda conseguire la quota di eredità a lui riservata dalla legge, in questo caso non ha altra via che quella di agire per la riduzione delle donazioni lesive dei suoi diritti: non sorgendo alcuna comunione ereditaria se non vi sia nulla da dividere, non può essere richiesta la collazione. Solo dopo l’esperimento vittorioso della riduzione egli è legittimato a promuovere od a partecipare alle azioni nei confronti degli altri eredi per ottenere la porzione in natura a lui spettante dell’asse ereditario.
Si precisa ulteriormente che il legittimario totalmente pretermesso non acquista per il solo fatto dell’apertura della successione né la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario.

QUESTIONI

Un primo tema concerne la divisione e il discusso requisito della necessaria esistenza di un relictum da dividere per poter procedere con la collazione.

La giurisprudenza prevalente e alcune voci in dottrina affermano che, come sopra detto, la collazione possa operare solo se vi è relictum da dividere; ciò in quanto la divisione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria che debba essere sciolta.

Qualora il defunto abbia esaurito l’asse ereditario con donazioni o con legati o con entrambi assieme, in modo tale che risulti mancante un relictum, non si potrebbe dar luogo a divisione e pertanto neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione  (Cass. 28 giugno 1976, n. 2453. In dottrina sul punto Azzariti “La collazione”, in Trattato di diritto privato, Vol. VI, Torino, 1982).

Tale impostazione è stata criticata da autorevole dottrina, in quanto apparentemente priva di un supporto normativo (Forchielli, “La collazione”, Padova, 1958; G. Capozzi “Successione e donazioni”, II, Milano, 2002, 732). Secondo tale diversa opinione, l’obbligo della collazione sorge automaticamente all’apertura della successione e vincola i donatari-coeredi dal momento dell’accettazione dell’eredità. Presupposto per l’operare della collazione non è la presenza di relictum, ma l’esistenza della delazione ereditaria e l’accettazione del chiamato.

E’ stato anche rilevato, da una non recente giurisprudenza, che l’obbligo di collazione sussiste a prescindere dall’entità dell’asse ereditario e anche nel caso estremo in cui non vi siano beni relitti da dividere  (Cass. 9 luglio 1975 n. 2704; Cass. 4 agosto 1982 n. 4381).

Secondo questa opinione non rileverebbe l’assenza di un relictum ereditario da dividere, ben potendo una comunione derivare soltanto dalla collazione delle donazioni.

Sul punto la sentenza in commento aderisce alla tesi prevalente, che nega l’esperibilità della divisione e quindi impedisce la collazione in assenza di un relictum ereditario.

Ferme le differenze tra collazione e riduzione sotto il profilo soggettivo che procedimentale, restano alcuni punti dogmatici da approfondire nel caso di specie:

  • se anche la collazione sia uno strumento di tutela del legittimario;
  • se le due azioni possano coesistere o se, al contrario, la proposizione dell’una (la collazione in sede di azione di divisione) escluda l’interesse ad agire per l’altra (la riduzione).

La recente Cassazione, 29 ottobre 2015, n. 22097,  ha affermato che il legittimario può esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario anche in sede di divisione ereditaria, atteso che gli effetti della divisione – nonostante il meccanismo della collazione – non assorbono gli effetti della riduzione.

Pare dunque di poter riassumere che, secondo la giurisprudenza:

  • la domanda di divisione è diretta allo scioglimento della comunione ereditaria; nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva; il petitum consiste nel conseguimento della quota ereditaria, la causa petendi è data dalla qualità di coerede legittimo o testamentario;
  • l’azione di riduzione si deve proporre nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni fatte siano eccedenti la quota disponibile; lo scopo dell’azione è quello di determinare l’ammontare della quota di eredità spettante al legittimario; il petitum consiste nel conseguimento della quota di riserva, previa determinazione del suo ammontare; la causa petendi è data, oltre che dalla qualità di erede legittimario, anche dalla asserita lesione della quota di riserva.

Ne deriva che, “pur potendo la collazione di fatto comportare l’eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, la contestuale proposizione della domanda di riduzione non può ritenersi priva di ogni utilità: solo l’accoglimento di tale domanda, infatti, può valere ad assicurare al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore”. Così Cassazione, sentenza 20 marzo 2015 n. 5659

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