16 Aprile 2019

Overruling in senso estensivo dei poteri processuali di parte e inammissibilità della rimessione in termini

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., sent., 12 febbraio 2019, n. 4135 Pres. Mammone – Rel. Lamorgese

Procedimento civile – Interpretazione giurisprudenziale delle norme processuali – Sopravvenuto mutamento (c.d. overruling) in senso estensivo dei poteri di parte – Rimessione in termini – Inammissibilità (C.p.c. artt. 153, 829; d. lgs. 2 febbraio 2016, n. 40, art. 27)

[1] La rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni che si sono succedute nel tempo (artt. 184-bis e 153 c.p.c.9), non è invocabile in caso di errori di diritto nell’interpretazione della legge processuale, pur se determinati da difficoltà interpretative di norme nuove o di complessa decifrazione, in quanto imputabili a scelte difensive rivelatesi sbagliate, come quella di non impugnare il lodo per errori di diritto, in presenza di convenzione arbitrale anteriore alla riforma del d. lgs. n. 40 del 2006.

CASO

[1] Devoluta al giudizio di arbitri rituali la controversia insorta in merito all’asserita nullità della risoluzione consensuale di un contratto di realizzazione e fornitura di macchine distributrici alimentari, parte soccombente, con citazione notificata in data 19 novembre 2008, ha proposto impugnazione di nullità, contro il lodo che ne era scaturito, davanti alla competente Corte d’appello di Bologna, adducendo al riguardo una nutrita serie di violazioni d’ordine processuale. In via incidentale al medesimo giudizio d’impugnazione ma a distanza di oltre cinque anni – e, precisamente, in data 4 febbraio 2014 -, la stessa parte ha depositato istanza di rimessione in termini ai fini dello svolgimento di motivi aggiunti di nullità del lodo, attinenti alla violazione delle norme di diritto sostanziale che presiedevano al merito della controversia: istanza motivata facendo riferimento alla sopravvenuta Cass., 19 aprile 2012, n. 6148, la quale, assumendo l’ammissibilità di quella tipologia di censure nel caso di stipula della clausola compromissoria in data precedente l’entrata in vigore del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – che, in via di riscrittura dell’art. 829 c.p.c., aveva per contro sancito l’immunità del lodo da quelle censure, salva diversa volontà delle parti -, aveva finito, detta Cass. n. 6148/2012, per sconfessare le risultanze letterali della disciplina di diritto transitorio di cui all’art. 27, 4° comma, dello stesso d. lgs. n. 40/2006, in tal modo disattendendo l’affidamento posto dalla parte impugnante su un testo normativo che, ai fini dell’applicazione della sopradetta, novellata, disciplina dei motivi di nullità del lodo arbitrale, attribuiva rilievo, formalmente, alla sola data di proposizione della domanda introduttiva del procedimento arbitrale (nel caso successiva a quella dell’entrata in vigore di detto d. lgs. n. 40/2006).

La Corte di merito ha respinto tanto quell’istanza come, più in generale, l’impugnazione di nullità in cui la stessa figurava inserita. Al che, la parte che vanamente aveva promosso il gravame non ha potuto che rivolgersi alla Corte di cassazione, con ricorso articolato su quattro motivi, il primo dei quali, con ordinanza interlocutoria della Sezione Prima recante data 2 agosto 2018, è stato rimesso all’attenzione delle Sezioni Unite per la soluzione della questione di massima (ritenuta di particolare importanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 374, 2° comma, c.p.c.) se la vicenda ermeneutica che ha avuto ad oggetto gli artt. 829, 3° comma, c.p.c. e 27, 4° comma, d. lgs. n. 40/2006 si presti all’applicazione dell’istituto del prospective overruling nonché se tale istituto sia estensibile anche alla legge sostanziale e, al di là di ciò, se siano ravvisabili gli estremi della rimessione in termini per causa «non imputabile», olim ex art. 184-bis e oggi ex art. 153, 2° comma, c.p.c., anche nel caso in cui la parte, facendo leva su un’interpretazione suffragata dalla lettera della legge e dalla giurisprudenza di merito, abbia rinunciato ad avvalersi, incorrendo nella relativa decadenza, di una facoltà processuale che una successiva giurisprudenza di legittimità avrebbe riconosciuto come ad essa, per contro, spettante.

SOLUZIONE

[1] Il Supremo Consesso ha respinto il motivo di ricorso sottoposto al suo sindacato sotto entrambi i profili considerati.

Il primo era quello riguardante l’ammissibilità, nelle vicenda concretamente esaminata, della rimessione in termini da overruling, ossia motivata in relazione a un sopravvenuto revirement dell’interpretazione giurisprudenziale di legge che sia idoneo a pregiudicare la parte che abbia conformato il proprio agire all’orientamento ermeneutico precedentemente invalso. Sulla base di un excursus sulla pregressa elaborazione in materia, le Sezioni unite pervengono a identificare le condizioni congiuntamente, a quel fine, richieste: a) in un mutamento della giurisprudenza di legittimità relativo all’interpretazione di norme processuali; b) nella connotazione come obiettivamente imprevedibile di quella svolta; c) negli effetti preclusivi dell’intercorso overruling, quale, cioè, causa diretta di una situazione di inammissibilità, improcedibilità o decadenza connessa alla diversità delle forme o dei termini che avrebbero dovuto osservarsi sulla base dell’orientamento sopravvenuto.

Di tali condizioni, però, soltanto la prima poteva dirsi integrata, stante l’indiscutibile natura, se non solo, certo anche processuale della disposizione di cui all’art. 829, 3° comma, c.p.c. Non, al contrario, la seconda, visto che, alla data della cit. Cass. n. 6148/2012, la Suprema Corte mai si era pronunciata sulla disciplina di diritto intertemporale di cui all’art. 27 d. lgs. n. 40/2006 e, dunque, mancava un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità che potesse alimentare un ragionevole affidamento della parte. E non, soprattutto, la terza, visto che l’innovativo orientamento inaugurato da detta Cass. n. 6048/2012 (e poi definitivamente consacrato da Cass., Sez. un., 9 maggio 2016, n. 9284, 9285 e 9341) aveva portata ampliativa, e non restrittiva, dei poteri processuali spettanti alla parte, sì che la decadenza in cui la medesima era incorsa non era certo ad esso addebitabile, bensì all’interpretazione di legge dianzi recepita: ciò che esclude, nella fattispecie, l’ammissibilità della rimessione in termini da overruling anche a voler ammettere – ma la Corte, in ogni caso, lo nega – che un affidamento meritevole di tutela della parte potrebbe essere generato, in mancanza di un dictum del giudice di legittimità, da una compatta e incontrastata interpretazione della giurisprudenza di merito.

[2] Il secondo profilo del motivo rimesso all’esame delle Sezioni unite atteneva all’applicabilità, nella specie, di una rimessione in termini “ordinaria”, ovverosia svincolata dai presupposti messi a punto dalla giurisprudenza per poter invocare il prospective overruling: ma neppure su questo versante esse hanno lasciato aperto un qualche margine alla discussione.

A prescindere da quella che sarebbe stata, nell’occasione, la vistosa intempestività dell’iniziativa spiegata dalla parte al fine di vedersi restituita nei poteri processuali rimasti preclusi, essendosi la stessa attivata a distanza di quasi due anni dal momento in cui, con la pronuncia della S.C. n. 6148/2012, si sarebbe palesata l’astratta possibilità di recuperare quei poteri medesimi: ciò che alle Sezioni unite preme porre in risalto è che, se a concretare la nozione di «causa non imputabile» di cui al predetto art. 153, 2° comma, c.p.c. (ed al previgente art. 184-bis c.p.c.), dev’essere un fatto impeditivo che presenti il carattere dell’assolutezza, nel senso di porsi del tutto al di fuori della sfera di controllo della parte, questo, evidentemente, non può dirsi dell’errore di diritto che quella abbia commesso nell’uniformarsi a una lettura del testo di legge che la Cassazione sia poi venuta a smentire. Né, prosegue il supremo giudice, può opporsi alla presente considerazione il fatto che quella di cui, nella circostanza, si discuteva fosse norma di significato assolutamente univoco, sì da non potersi imputare a colpa della parte la scelta di conformare la propria condotta processuale a quel significato medesimo. L’interpretazione di un testo normativo, infatti, non è mai un dato acquisito a priori, bensì il precipitato di molteplici fattori e varianti, che sovente trascendono il mero elemento della littera legis, tanto da doversi imputare a responsabilità della parte, ovvero, il che è lo stesso, del suo difensore, la scelta di confidare esclusivamente in quest’ultimo, trascurando ogni altra, anche soltanto astratta, possibilità alternativa: come, peraltro, dimostra la vicenda quivi in rassegna, dove la Cassazione si è discostata dalla lettera dell’art. 27, 4° comma, d. lgs. n. 40/2006 in nome di un’interpretazione costituzionalmente orientata che ha poi ricevuto l’avallo dello stesso giudice delle leggi (Corte cost., 30 gennaio 2018, n. 13, Foro it., 2018, I, 707).

QUESTIONI

[1] La presente decisione si inserisce nel solco del filone giurisprudenziale inaugurato dalle ordinanze-gemelle della Cassazione, 17 giugno 2010, n. 14627, e 2 luglio 2010, n. 15811, Corr. giur., 2010, 1473, con nota di E. D’Alessandro, che alle decadenze in cui la parte sia incolpevolmente incorsa per aver confidato su una consolidata giurisprudenza di legittimità successivamente travolta da un mutamento di indirizzo interpretativo, hanno ritenuto si possa apportare rimedio per il tramite dello strumento della rimessione in termini, in grado così di assolvere, nel nostro ordinamento, alle medesime funzioni cui tipicamente è preposto, nel sistema nordamericano, l’istituto del prospective ovverruling (scettico sull’applicabilità, nella specie, della rimessione in termini e per la necessità di inquadrare il mutamento giurisprudenziale come ius superveniens a efficacia non retroattiva, cfr. R. Caponi, Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, Foro it., 2011, I, 3344 ss.).

A quelle pronunce molte altre ne sono seguite, che hanno compiutamente definito condizioni e limiti dell’utilizzazione di siffatto prospective ovverruling “all’italiana” (ex plurimis, Cass., Sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144; Cass., 27 novembre 2011, n. 28967; Cass., 11 marzo 2013, n. 5962; Cass. 28 ottobre 2015, n. 22008, Giur. it., 2016, 663, con nota di E. Dalmotto; Cass., 14 marzo 2018, n. 6159). E a completare, o arricchire ulteriormente, il quadro così delineatosi, è giunta la decisione in commento, svolgendo ad consequentias il principio per cui gli effetti preclusivi di cui la parte si duole devono trovare la loro causa diretta nell’ovverruling sopravvenuto: il che è palesemente da escludere allorché, come è stato nella fattispecie decisa, tali effetti siano il prodotto della scelta di parte di astenersi dall’esercizio di poteri che, a mente della nuova interpretazione di legge patrocinata dalla giurisprudenza, ben sarebbero stati dalla stessa attivabili (in tal senso v. già Cass., 16 giugno 2014, n. 13676, in motiv.; nonché, in dottrina, G. Costantino, Il principio di affidamento tra fluidità delle regole e certezza del diritto, Riv. dir. proc., 2011, 1089 s.; ma contra F. Cavalla, C. Consolo, M. De Cristofaro, Le S.U. aprono (ma non troppo) all’errore scusabile: funzione dichiarativa della giurisprudenza, tutela dell’affidamento, tipi di overruling, Corr. giur., 2011, 1408).

[2] La sentenza in rassegna condivide appieno anche l’impostazione rigorista che tipicamente connota l’approccio giurisprudenziale alla disciplina “ordinaria” della rimessione in termini, come istituto suscettibile d’impiego soltanto in situazioni eccezionali, ove la decadenza in cui sia incappata la parte sia dipesa da fattori del tutto indipendenti dalla sua volontà e sottratti alla sua sfera di controllo (cfr. Cass., 6 luglio 2018, n. 17729; Cass., 27 ottobre 2015, n. 21794; Cass., 16 ottobre 2015, n. 20992). Vero è che, se, al lume di questa impostazione, mai potrebbe beneficiare di quel rimedio una decadenza in cui la parte sia caduta per aver confidato in un’interpretazione di legge che la giurisprudenza abbia successivamente sconfessato, lo stesso dovrebbe, a rigore, valere anche nei casi, dianzi illustrati, in cui, ad un sopravvenuto mutamento giurisprudenziale, si attribuiscono gli effetti restitutòri de quibus. Ma quella da overruling è rimessione in termini, se così può dirsi, “di diritto speciale”: e dove manchino i presupposti, enucleati dalla stessa giurisprudenza, per l’applicazione di quel regime speciale, non può certo sopperire la disciplina di diritto comune dell’istituto.