16 Aprile 2019

L’adempimento indiretto dell’obbligazione naturale

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Abstract

Con la locuzione adempimento indiretto dell’obbligazione naturale si intende quel meccanismo che consente l’assunzione di un’obbligazione giuridica su fondamento di una naturale tale per cui, adempiendo direttamente l’obbligazione giuridica, indirettamente si adempierà l’obbligazione naturale.

Sebbene la questione sia ancora dibattuta, attualmente l’orientamento maggioritario della giurisprudenza e della dottrina non ammette l’adempimento indiretto dell’obbligazione naturale basandosi sulla lettera dell’art 2034 c.c. che esclude espressamente che dalle obbligazioni naturali possano scaturire altri effetti se non quello della soluti retentio.

***

Gli obblighi morali e sociali assumono rilevanza per il diritto solo quando siano giuridicizzati, ossia quando, a prescindere dalla loro natura, vengano ad essere considerati veri e propri obblighi giuridici. Tuttavia, in alcuni casi e in via eccezionale, il dovere morale o sociale, pur rimanendo tale, può acquistare rilevanza per il diritto: è ciò che accade per le c.d. obbligazioni naturali tanto che si afferma che «l’obbligazione naturale rappresenta il punto d’incontro tra diritto e morale, tra mondo giuridico e mondo extra-giuridico» (così FRATINI, Le obbligazioni. Il sistema del diritto civile, vol. I, Roma, 2018, p. 22).

Nel nostro ordinamento le obbligazioni naturali sono disciplinate dall’art. 2034 c.c. il quale stabilisce che: «non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato non producono altri effetti

Per obbligazione naturale si intende, quindi, un obbligo – morale o sociale – non vincolante, che, derogando alla regola generale per la quale il soggetto che abbia effettuato un pagamento senza che vi fosse un debito può richiedere la restituzione, non ammette la ripetizione della prestazione.

Secondo un’opinione pacificamente condivisa dalla dottrina (v. VISINTINI, Obbligazioni naturali, in Riv. dir. civ., 1962, II, p. 45 ss.; PERLINGIERI, Le vicende dell’obbligazione naturale, in Riv. dir. civ., 1969, I, p. 362 ss.; BARNINI, voce Obbligazione naturale, in Enc. giur. Treccani, XXI, p. 1 ss) e dalla giurisprudenza (v. ex multis Cass., 5 maggio 1982, n. 888 e Cass., 12 febbraio 1980, n. 1007) l’art. 2034 c.c. distingue le obbligazioni naturali in due categorie: le obbligazioni naturali tipiche e quelle atipiche.

Il secondo comma della disposizione menzionata prevede, infatti, fattispecie tipiche di obbligazioni naturali, ossia casi di atti socialmente e moralmente leciti esplicitamente contemplati dalla legge, che non assurgono, tuttavia, a vincoli giuridici e sono, quindi, sprovvisti di azione.

Si tratta della disposizione fiduciaria testamentaria (art. 627 c.c.), dei casi classici di pagamento del debito prescritto (art. 2940 c.c.) e del pagamento del debito di gioco (art. 1933 c.c).

La norma del primo comma, invece, è molto più ampia bastando, per la stessa, che vi sia un dovere morale o di coscienza e l’esecuzione spontanea di esso.

Si tratta di una disposizione di carattere generico che non richiama fattispecie tipiche e nominate e in base alla quale, dunque, qualsiasi dovere che sia tale secondo la coscienza individuale e sociale o secondo la morale corrente, può costituire obbligazione naturale (sempre che rimanga nell’alveo della patrimonialità).

Da ciò consegue che il fatto che un determinato caso non rientri in una delle fattispecie tipiche da cui scaturisce obbligazione naturale, non significa che lo stesso non possa integrare uno dei doveri morali cui si riferisce genericamente il primo comma dell’art. 2034 c.c.

Si ha, in questo modo, una coesistenza tra fattispecie tipiche e fattispecie atipiche di obbligazione naturale.

Ed è proprio il carattere dell’atipicità che consente alle obbligazioni naturali di fungere da vera e propria «valvola di sicurezza dell’ordinamento giuridico» o come è stato detto da autorevole dottrina da «organo respiratore dell’intero ordinamento». Esse, infatti, «garantiscono il trapasso nel mondo del diritto di valori, sempre mutevoli, della collettività espressi da doveri non giuridici» (così FRATINI, Le obbligazioni. Il sistema del diritto civile, vol. I, Roma, 2018, p. 22).

L’obbligazione naturale, sia essa tipica o atipica, sebbene non sia una valida causa obligandi – in quanto non è un’obbligazione giuridica –  è una valida causa solvendi. La legge, infatti, considera i doveri morali o sociali come valori meritevoli a tal punto da giustificare un trasferimento patrimoniale.

Il trasferimento attuato in esecuzione di un dovere morale e sociale è, quindi, assistito da un valido riferimento causale per cui la prestazione risulta giustificata da una causa riconosciuta idonea dall’ordinamento giuridico nel rispetto dell’art. 2033 c.c.

Si può affermare, quindi, che seppure non sia ammessa la ripetizione di quanto eseguito in forza di un’obbligazione naturale ciò non significa che non ci sia una giustificazione causale per lo spostamento patrimoniale sotteso alla stessa.

Come già accennato, il codice civile prevede all’art. 2034 c.c., che le obbligazioni naturali non possano produrre effetti diversi dalla soluti retentio. Tale disposizione, in altre parole, rende inapplicabili all’obbligazione naturale le norme deputate alla tutela del credito (artt. 2740-2910 c.c.) e alla tutela dell’inadempimento (art. 1218 c.c.).

Nelle obbligazioni naturali, infatti, la causa solvendi – secondo quanto stabilito espressamente dall’art. 2043 co. 2 c.c. – sussiste ai soli fini della soluti rententio.

Ed è per questa ragione per cui, secondo l’orientamento prevalente (in giurisprudenza cfr. Cass., 29 novembre 1986, n. 7064; Cass., 8 maggio 1984, n. 2800; Cass., 7 aprile 1978, n. 1607; Cass., 25 ottobre 1974, n. 3120; e in dottrina cfr. in generale NICOLÒ, Esecuzione indiretta di obbligazioni naturali, in Foro it., 1939, I, c. 39 ss.; MONTEL, Obbligazione naturale come causa di obbligazione civile, in Riv. dir. comm., 1941, II, p. 332; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, p. 573 ss, ROCCHIO, Le obbligazioni naturali, in Contr. e impr., 2/2011) non è possibile adempiere indirettamente l’obbligazione naturale attraverso un’obbligazione giuridica.

L’adempimento indiretto dell’obbligazione naturale si configura quando il contenuto della stessa diventa oggetto di un’obbligazione giuridica. Infatti se si assume giuridicamente lo stesso debito che si era già assunto naturalmente adempiendo l’obbligazione giuridica in senso diretto e tecnico, indirettamente, si adempie l’obbligazione naturale.

La giurisprudenza, in più occasioni, ha affermato che «poiché il 2° comma dell’art. 2034 c. c. sancisce che i doveri del tipo considerato non producono altri effetti all’infuori dell’irrepetibilità prevista nel comma precedente, l’autonomia negoziale non può estrinsecarsi con una promessa di pagamento produttiva di un nuovo e diverso vincolo giuridico, né può trasformare la natura di quel dovere mediante novazione.» (cfr. ex multis Cass., 29 novembre 1986, n. 7064).

Secondo questo orientamento la promessa unilaterale di pagamento, la ricognizione di debito ex art. 1988 c.c. o la novazione ex art. 1230 c.c, seppur espressione dell’autonomia negoziale delle parti, non possono essere utilizzati quali strumenti per adempiere indirettamente l’obbligazione naturale.

Tali negozi, in realtà, o confermano un rapporto preesistente o lo estinguono. Si tratta, in altre parole, di negozi ricognitivi di un debito giuridicamente esistente o di negozi novativi che presuppongono la validità del titolo costitutivo dell’originaria obbligazione.

La loro struttura non consente di adempiere indirettamente un’obbligazione naturale in quanto gli stessi presuppongono un’obbligazione giuridica e, come già detto, l’obbligazione naturale non è un’obbligazione giuridica.

Nello specifico la promessa unilaterale di pagamento, e lo stesso discorso vale per la ricognizione di debito, è un negozio giuridico unilaterale attraverso il quale si realizza un’astrazione processuale.

Infatti, come afferma la Corte, la norma «non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell’ art. 1988 cod. civ., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, comportante una semplice “relevatio ab onere probandi” per la quale il destinatario della promessa è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria, a meno che egli non rinunci, anche implicitamente, al vantaggio dell’inversione dell’onere della prova.» (cfr. ex pluribus Cass., 31 marzo 2010, n. 7787; Cass. 15 maggio 2009, n. 11332; Cass. 8 agosto 2007, n. 17423; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1101)

Tale astrazione processuale implica che la promessa unilaterale – così come la ricognizione di debito – dipende indissolubilmente dal rapporto sottostante in modo tale che se quest’ultimo non è valido, efficace ed esistente, non lo sarà neanche la promessa di pagamento.

Di conseguenza, sebbene in astratto tale negozio potrebbe rappresentare uno strumento valido per assumere giuridicamente il debito già assunto naturalmente, tuttavia, in concreto, questa soluzione non può essere adottata in quanto la promessa di pagamento fa sorgere un’obbligazione giuridica che non astrae dal rapporto sottostante. Tale rapporto viene, infatti, postulato e presunto fino a prova contraria in modo tale che se non sussiste quest’ultimo non esisterà neanche la promessa.

Se, infatti, si promettesse il pagamento di un debito che forma oggetto di un’obbligazione naturale si avrebbe una promessa inammissibile a livello ontologico in quanto postulerebbe un rapporto non giuridico sottostante.

Lo stesso discorso può essere fatto per la novazione ex art. 1230 c.c. La novazione è un negozio giuridico bilaterale attraverso il quale si estingue un’obbligazione attraverso la sua sostituzione con una nuova obbligazione che abbia un oggetto o un titolo diverso.

Il presupposto necessario per aversi novazione è la sussistenza di un’obbligazione da estinguere. Si tratta, infatti, di un negozio a doppio effetto che, da un lato, determina l’estinzione di un’obbligazione e, dall’altro, la nascita di una nuova.

La novazione si configura, infatti, come un «un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’”animus novandi”, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’”aliquid novi”, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto».

Se, quindi, si assumesse un’obbligazione naturale (che per definizione non è un’obbligazione giuridica) alla base della novazione mancherebbe l’obbligazione da estinguere e, quindi, il negozio novativo non sarebbe ammissibile.

Sulla base di queste argomentazioni dottrina e giurisprudenza maggioritaria non ritengono ammissibile l’adempimento indiretto dell’obbligazione naturale.

L’adempimento dell’obbligazione naturale può configurarsi, infatti, solo come un atto a titolo gratuito e, precisamente un negozio unilaterale, con il quale un soggetto attribuisce ad un altro un beneficio patrimoniale moralmente o socialmente doveroso.

L’adempimento per determinare l’unico effetto possibile – ossia quello della soluti retentio così come previsto espressamente dall’art. 2034 c.c. – deve essere eseguito spontaneamente da un soggetto capace (intendendosi per capacità quella di intendere e di volere) e deve presentare i requisiti della proporzionalità non potendo avvenire attraverso l’assunzione di un’obbligazione giuridica.