9 Gennaio 2018

La validità della notifica di più atti con una sola raccomanda

di Luigi Ferrajoli Scarica in PDF

Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, ai sensi dell’articolo 2697, comma 1, cod. civ..

Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui l’Ente Impositore abbia notificato al contribuente più avvisi con un’unica raccomandata e il resistente abbia eccepito la mancata notificazione di una parte degli avvisi: l’onere della prova spetta necessariamente al mittente.

Ciò è stato confermato dall’ordinanza n. 25598 depositata in data 27 ottobre 2017 dalla Quinta Sezione della Corte di Cassazione.

In particolare, nel caso in esame, la contribuente aveva proposto ricorso avanti la CTP avverso la cartella di pagamento emessa in relazione agli anni d’imposta 2001, 2002, 2003, 2004 ai fini ICI, rilevando la mancata notifica dei primi tre anni e la sola ricezione dell’avviso relativo al quarto anno contestato, che, tra l’altro, veniva ritualmente impugnato.

La CTP accoglieva il ricorso e, a seguito di impugnazione proposta dall’Ente, la CTR confermava la sentenza emessa dal giudice di primo grado, motivando che il Comune non avrebbe provato la notifica di tutti e quattro gli avvisi di accertamento.

La pubblica Amministrazione decideva di procedere ulteriormente avanti la Suprema Corte, proponendo come motivi di impugnazione: a) la violazione dell’articolo 2697 cod. civ., nonché degli articoli 156 e 160 c.p.c., in quanto la CTR avrebbe errato nell’attribuire all’Ente l’onere di provare l’avvenuta notifica dei quattro avvisi di accertamento per i quali era stata emessa la successiva cartella di pagamento; b) la mancanza dell’esame di un punto decisivo della notifica degli avvisi di accertamento.

La contribuente resisteva in giudizio, depositando controricorso e proponendo ricorso incidentale, in relazione alla compensazione delle spese di lite.

La Corte di Cassazione, con la richiamata ordinanza n. 25598/2017, ritenendo che i due motivi di impugnazione riguardassero la medesima questione giuridica, decideva di esaminarli congiuntamente.

In particolare, il Giudice di legittimità, riprendendo i principi già enunciati in proprie precedenti pronunce (Cass. n. 20786/2014), ha rilevato la fondatezza delle eccezioni proposte dalla resistente.

Nello specifico, la Corte ha precisato che: “in caso di notifica di cartella di pagamento a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, ove l’involucro contenga plurime cartelle e il destinatario ne riconosca solo una, è necessario, perché operi la presunzione di conoscenza posta dall’articolo 1335 cod. civ., che l’autore della comunicazione fornisca la prova che l’involucro le conteneva, atteso che, secondo l’ “id quod plerunque accidit”, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione. A tal fine, l’indicazione dei numeri delle cartelle sull’avviso di ricevimento, in quanto sottoscritto dal destinatario ex articolo 12 del D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655, pur non assumendo fede privilegiata, visto che vi provvede non l’agente postale ma lo stesso mittente, ha valore sul piano presuntivo ed ai fini del giudizio sul riparto dell’onere della prova”.

Ne consegue che l’onere della prova in relazione al contenuto dell’atto notificato ricade esclusivamente sul mittente e, quindi, nel caso di specie, il Comune avrebbe dovuto preoccuparsi di verificare tale circostanza.

Non solo. La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata anche l’argomentazione sollevata dal ricorrente in merito alla prova presuntiva fornita dallo stesso in ordine alla pluralità di avvisi di accertamento unitariamente notificati. La pubblica Amministrazione, infatti, si lamentava che la CTR, nella sua decisione, non avesse considerato che effettivamente sulla copia della ricevuta di ritorno fosse riportata la numerazione inerente i quattro avvisi di accertamento.

A tale proposito la Corte, riprendendo dei principi già enunciati in precedenti pronunce di legittimità, ha ritenuto il ricorso carente sotto il profilo dell’autosufficienza, dal momento che gli atti summenzionati venivano semplicemente richiamati, senza nessuno altro tipo di riferimento o di riproduzione documentale.

Nello specifico, la Suprema Corte ha infatti precisato che: “il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per essere assolto, postula che nel ricorso sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato dal ricorso stesso, risulta prodotto, in quanto indicare un documento significa, necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove è rintracciabile nel processo” (Cass. Civ. n. 20674/2014).

Alla luce di ciò, pare pacifico affermare che l’inammissibilità prevista da tale norma non possa essere superata con la produzione documentale effettuata con la memoria prima dell’adunanza in camera di consiglio, in quanto la causa di inammissibilità è direttamente collegata al contenuto del ricorso.

Per tali ragioni, la Corte ha rigettato il ricorso principale ed ha accolto quello incidentale, annullando la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.

Articolo tratto da “Euroconferencenews“