22 Febbraio 2022

La revoca della disposizione testamentaria a favore del legittimario quando il de cuius conferisce al bene un’altra destinazione

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. II, Ord., 8 ottobre 2021, n. 27377–DI VIRGILIOPresidenteTEDESCORelatore

Testamento olografo- Legato- Revoca legato

(C.c. art. 667,686 e 733 c.c.)

Massima: “Opera la presunzione di revoca quando sia accertata l’integrazione dei requisiti oggettivi posti dall’art. 686 c.c. in relazione all’alienazione e trasformazione della cosa legata. La trasformazione può verificarsi anche in relazione a una disposizione impartita dal testatore ai sensi dell’art. 733 c.c.”

CASO

La causa riguarda la successione testamentaria di Pi.Fr. proposta dinanzi al Tribunale di Palermo dal coniuge del de cuius C.P. nei confronti dei figli del medesimo P.F., V.M. e N.. Il de cuius, con il testamento pubblico, aveva istituito eredi in parti uguali i figli F. e V.M., lasciando al coniuge e al figlio N. la quota di legittima. Il testamento prevedeva che la quota di legittima di N. avrebbe dovuto formarsi mediante distacco di una porzione dalla maggiore superficie di un fondo. In aggiunta alla quota di legittima il testatore aveva disposto in favore del coniuge dell’usufrutto di un terreno e dell’usufrutto sui mobili che arredavano la casa di abitazione del testatore stesso. La Corte d’appello, adita con appello principale da P.F. e con appello incidentale da V.M.: i) riconosceva l’inefficacia della rinuncia all’eredità fatta dalla C. in quanto la rinuncia era intervenuta quando la chiamata aveva già tenuto una pluralità di comportamenti che integravano tacita accettazione di eredità. Si aggiungeva che, ad ogni modo, spettava a coloro che negavano la qualità di erede della C. dimostrare che gli stessi atti, implicanti in ipotesi accettazione, fossero intervenuti dopo la rinuncia; ii) affermava che non si dovevano includere nel relictum il terreno; iii) confermava la determinazione del primo giudice in ordine alle quote spettanti ai due eredi istituiti P.F. e P.V.M. in base al testamento. A costoro, era stato riconosciuto in parti uguali l’asse relitto al netto dei legati e delle quote di legittima lasciate al coniuge e al figlio N.. La differenza del valore complessivo era dovuta solamente al diverso valore delle donazioni ricevute dai due eredi; iv) confermava la decisione di primo grado pure nella parte relativa alla formazione della quota di legittima di P.N.. Al riguardo essa poneva in luce che il tribunale aveva dato seguito all’indicazione contenuta nel testamento, in assenza di disposizione di revoca o modifica proveniente dal testatore. Per la cassazione della sentenza P.F. ha proposto ricorso.

SOLUZIONE

Il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 667,686 e 733 c.c.. La disposizione testamentaria, riguardante la formazione della porzione del legittimario N., doveva intendersi revocata per effetto di successivi comportamenti del testatore. Il ricorrente sottolinea che non “è privo di significato il raffronto con la disciplina dettata in materia di legato dall’art. 686 c.c., che deve intendersi revocato anche quando la cosa oggetto del legato sia stata trasformata dal testatore”. Nel caso di specie esistevano una pluralità di atti di disposizione, posti in essere dal de cuius, nell’ampio lasso di tempo intercorso fra la formazione della scheda e l’apertura della successione, da cui risultava che il de cuius aveva dato al fondo una destinazione incompatibile con la volontà espressa nel testamento. Secondo la Corte di Cassazione il motivo è fondato. Infatti, ricordano i giudici di legittimità che l’art. 686 c.c., prevede la presunzione di revoca non solo nel caso di alienazione, ma anche nel caso della trasformazione della cosa legata. Ai sensi art. 686 , comma 2, c.c. si ha trasformazione quando la cosa abbia perduto la precedente forma e la primitiva denominazione. Quando sia accertata l’integrazione dei requisiti oggettivi posti dall’art. 686 c.c., in relazione all’alienazione e trasformazione della cosa legata, opera la presunzione di revoca. Ciò posto, secondo la S.C. non sembrano esserci ragioni per dubitare che l’ipotesi della trasformazione, possa verificarsi anche in relazione a una disposizione impartita dal testatore ai sensi dell’art. 733 c.c.. Sotto questo profilo, pertanto, il rilievo, che non c’era stata “una contraria espressa disposizione“, non è decisivo, essendo ammissibile la revoca tacita. La sentenza viene cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

QUESTIONI

L’ordinanza in commento permette di analizzare l’art. 686 c.c. che prevede la revoca del legato qualora il testatore alieni la cosa legata o parte di essa. Lo stesso avviene se il testatore ha trasformato la cosa legata in un’altra, in guisa che quella abbia perduto la precedente forma e la primitiva denominazione. La disposizione, quindi, regola un’ipotesi di revocazione tacita, operante con riguardo alle sole disposizioni a titolo particolare, revocazione riconnessa alla alienazione o trasformazione. Il fondamento dell’istituto sembra essere la volontà presunta del testatore in quanto normalmente chi aliena o trasforma la cosa legata intende revocare la disposizione che aveva ad oggetto quella cosa. Infatti, le disposizioni a titolo universale, secondo Cass. n. 8780/1987, non sono assoggettabili a revoca con il mezzo offerto dall’art. 686 c.c..  Quindi, “in tema di successione testamentaria, l’institutio ex re certa ha ad oggetto un bene determinato e solo di riflesso la quota, sicché l’alienazione successiva del bene attribuito implica la revoca della istituzione di erede o l’attribuzione di una quota maggiore rispetto a quella assegnata a favore di altro coerede, senza che possa trovare applicazione l’art. 686 c.c. in materia di legato in quanto l’art. 588, comma 2, consente di determinare la quota spettante all’erede sulla base del valore dei beni assegnati ed in rapporto al valore del restante patrimonio eventualmente assegnato ad altri coeredi” (Cass.,17 marzo 2017, n. 6972). In ordine all’alienazione il legislatore ha ricompreso tutte le ipotesi in cui venga compiuto dal testatore un qualsiasi negozio giuridico di trasferimento della titolarità della cosa quali vendita, donazione o permuta. Tuttavia, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la presunzione di revoca del legato di cui all’art. 686 in caso di alienazione della cosa legata, riguarda esclusivamente l’ipotesi di trasferimento della proprietà della cosa: pertanto deve escludersi la revoca in caso di preliminare di vendita al quale si riconnettono effetti meramente obbligatori e non traslativi (Trib. Firenze 18 settembre 1999, in “Nuova giur. civ. comm.”, 2000, I, p. 142, con nota Niccoli, Contratto preliminare di vendita e revoca del legato). Inoltre, si tende ad escludere che sia sufficiente per aversi revoca la sola proposta di alienazione o un’alienazione sospensivamente condizionata in quanto la norma richiederebbe una vendita che sia efficace (Allara, La revocazione delle disposizioni testamentarie,1951, Torino, p.279). Ad ogni modo, l’alienazione comporta comunque la revoca del legato anche quando il bene ritorni in proprietà del testatore (Cass. 9 ottobre 2006, n. 21685). La norma non può trovare applicazione con riguardo ai legati di somme di denaro o di quantità o di cose indicate solo nel genere, in quanto non sarebbe possibile supporre che vi sia identità fra le cose legate e quelle alienate (Cass. 29 gennaio n. 1768). Qualora l’atto di alienazione sia annullabile bisognerà distinguere: se l’atto è annullabile per vizio del consenso esso non comporta la revoca della precedente disposizione. A contrario, l’annullabilità per cause diverse dal corretto modo di formazione della volontà del disponente comporta comunque la revoca della disposizione testamentaria (Cass. 16 marzo 1990, n. 2212). In ordine alla trasformazione parte della dottrina (Capozzi G., Successioni e donazioni, Giuffrè, 2015, p.994; Talamanca, in Comm. S. B., 1978, p. 193) ritiene che la trasformazione debba essere volontaria e non consistere in una semplice modificazione non sostanziale della cosa legata: occorre che la cosa legata abbia perso “la sua individualità, anche nel senso del mutamento della sua funzione economico-sociale”. In dottrina (Talamanca, Successioni testamentarie, Art. 679-512, in Comm. Cod, civ. a cura di Scajola e branca, Bologna-Roma, 1976, p. 149 ss.) viene proposto l’esempio dell’edificazione di un’area fabbricabile o la trasformazione di un fondo rustico. È chiaro che la funzione economico-sociale deve essere valutata anche in relazione all’intento del testatore. Qualora il fondo rustico sia stato legato in quanto tale, il mutamento della cultura non importerà revoca del legato. A contrario se invece è stato legato il vigneto, il mutamento della cultura importerà presunzione di revoca. Inoltre, se è stata legata una somma depositata su un conto corrente bancario, l’estinzione del conto da parte del testatore, dopo la formazione della scheda testamentaria, integrerà trasformazione ai sensi dell’art. 686 c.c. e, quindi, la presunzione di revoca della disposizione testamentaria (Cass. 4 giugno 1991, n. 6317). La trasformazione deve essere riconducibile alla volontà del testatore, non a cause naturali o ad opera di persona diversa dal testatore. Tuttavia, si ritiene che l’alienazione della cosa legata può essere effettuata anche a mezzo del rappresentante qualora il testatore gli abbia conferito l’espressa procura ad alienare la cosa oggetto del legato (Capozzi G., Successioni e donazioni, Giuffrè, 2015, p.994). Ad ogni modo, in giurisprudenza è stato affermato che l’art. 686 c.c. pone soltanto una presunzione iuris tantum che, come tale, può essere vinta dalla prova contraria. Chiaramente l’onere di provare una tale volontà viene ad incombere su chi voglia beneficiare del legato. Nell’ordinanza in commento i giudici di legittimità, dopo aver illustrato i requisiti richiesti dall’art. 686 c.c. in ordine alla trasformazione, rilevano come non vi siano ragioni per dubitare che l’ipotesi della trasformazione possa verificarsi anche in relazione a una disposizione impartita dal testatore ai sensi dell’art. 733 c.c.. Sul punto la cassazione ricorda che tuttavia devono essere integrati tutti i requisiti previsti dall’art. 686 c.c. e quindi, nel caso di specie, che la trasformazione sia riconducibile alla volontà del testatore. Seguendo tale ragionamento, la disposizione testamentaria, riguardante la formazione della porzione del legittimario, doveva intendersi revocata per effetto dei successivi comportamenti del de cuius.

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