12 Febbraio 2019

Contratto di deposito: perdita incolpevole del bene e responsabilità del depositario per omessa immediata denuncia della perdita della detenzione

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, 19 gennaio 2018, n. 1246, ord. – Pres. Chiarini – Rel. Armano

Contratto di deposito – Prestazione d’opera – Accessorietà dell’obbligo di custodia – Perdita incolpevole della detenzione del bene – Obblighi del depositario – Immediata denuncia al depositante – Violazione – Conseguenze – Risarcimento del danno

(artt. 1223, 1256, 1780 c.c.)

[1] Nell’ipotesi in cui l’obbligo di custodia sia accessorio e strumentale all’adempimento di una prestazione relativa ad un altro contratto, nella specie, di prestazione d’opera, l’omessa immediata denuncia da parte del depositario della perdita della detenzione della cosa, ancorché per fatto a lui non imputabile, espone quest’ultimo, secondo il paradigma indicato dall’art. 1780 primo comma c.c., all’obbligo del risarcimento dei danno, da individuarsi, anche in questa peculiare ipotesi, nei danni che siano conseguenza immediata e diretta della perdita del bene, i quali possono consistere nel suo valore, avuto riguardo a tutte le circostanze, ciò anche in considerazione del diritto di surroga stabilito nell’art. 1780, secondo comma, c.c.

CASO

[1] L’attore citava in giudizio una gioielleria, a cui aveva consegnato un orologio da polso, al fine di eseguirvi una riparazione, onde ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti, in conseguenza della mancata restituzione dello stesso, sottratto da ignoti nel corso di una rapina subìta dalla gioielleria.

Il Giudice di Pace di Napoli, in accoglimento della domanda del depositante, condannava la gioielleria al pagamento di € 1000,00, a titolo di risarcimento del danno dal medesimo patito.

Il tribunale di Napoli, ribaltando la decisione di primo grado, rigettava la domanda dell’attore, non essendo la perdita della detenzione del prezioso imputabile al depositario. Il Giudice dell’impugnazione, pur dando atto che la gioielleria non aveva assolto all’obbligo di denunciare tempestivamente al depositante la perdita della detenzione ex art. 1780 c.c., tuttavia aveva escluso che tale inadempimento determinasse per ciò stesso l’automatico risarcimento del danno.

L’attore proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 1780 c.c., ex art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendo che erroneamente il Giudice di seconde cure aveva limitato la responsabilità del depositario ai soli casi in cui il depositante riuscisse a provare che, se immediatamente informato del fatto, sarebbe riuscito a recuperare il bene.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte con l’ordinanza in commento ha affermato il principio di diritto secondo cui “anche nel contratto di prestazione di opera in cui l’obbligo di custodia è accessorio e strumentale all’adempimento della prestazione, il mancato adempimento dell’obbligo del depositario di denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione – art. 1780, seconda parte primo comma cod. civ. – anche qualora non interferisse con l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore della prestazione, ma fosse fonte di un autonomo obbligo risarcitorio in sostituzione dell’originario di restituzione del bene, obbliga il depositario a risarcire al depositante i danni che siano conseguenza immediata e diretta della perdita del bene e che perciò possono anche consistere nel valore dello stesso, avuto riguardo a tutte le circostanze dedotte nel caso concreto ed all’art. 1780 c.c. comma 3, che prevede che il depositante ha diritto di ricevere ciò che in conseguenza del fatto stesso il depositario abbia conseguito e subentra nei diritti spettanti a quest’ultimo”.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza in commento, ripercorrendo l’evoluzione dei contrasti dottrinali e giurisprudenziali sull’interpretazione dell’art. 1780, co. 1°, c.c., secondo cui in caso di sottrazione della cosa depositata, il depositario, per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenuto a fornire la prova che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, ma deve denunciare immediatamente il fatto, pena il risarcimento del danno, consente di approfondire tre rilevanti questioni:

a) l’applicabilità dell’art. 1780 c.c. ai contratti in cui, come nel caso di specie, l’obbligo di custodia non costituisce obbligazione principale, ma accessoria;

b) il concetto di non imputabilità del fatto ex art. 1780 c.c.;

c) la risarcibilità dei danni derivanti dall’omessa denunzia, da parte del depositario, della perdita della detenzione del bene ex art. 1780 c.c.

Quanto al primo aspetto, la Suprema Corte muove dalla considerazione che nel caso di specie è stato posto in essere tra le parti un contratto di prestazione d’opera, rectius un contratto di riparazione di un orologio da polso, nel quale la dazione del bene non avviene al fine della custodia ma della riparazione dello stesso. Poiché quindi la prestazione che qualifica tale contratto è la riparazione del bene, per tale ragione esso non è riconducibile al contratto di deposito di cui all’art. 1766 c.c., inteso quale contratto “col quale una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura”, in cui cioè l’attività di custodia del bene (e della successiva restituzione) costituisce la ragione essenziale del contratto stesso.

Al riguardo, tuttavia, i Giudici di legittimità in recenti pronunce hanno statuito che l’obbligazione di custodire non è propria soltanto del deposito, ma può essere compresa anche nel contenuto di un contratto diverso dal deposito (come nel contratto d’opera) o formare parte di un contratto misto, nel quale confluiscano le cause del deposito e di altro contratto (Cass. civ., 25.11.2013, n. 26353; Cass. civ., 06.07.2006, n. 15364; Cass.  civ., 01.07.2005, n. 14092).

La differenza è nella funzione dell’obbligazione di custodia: principale nel contratto di deposito; strumentale alla principale ed accessoria in altri contratti, quali quelli di riparazione di autovetture, di gioielli, orologi etc.

Ciò posto, si pone tuttavia il problema relativo all’applicabilità oppure no dell’art.1780 c.c. alle ipotesi da ultimo menzionate.

L’orientamento più risalente, ed oramai superato, escludeva l’applicabilità dell’art. 1780 c.c. nei contratti in cui la consegna del bene non è finalizzata alla custodia ma costituisce elemento imprescindibile per l’esecuzione del contratto, vale a dire nei casi in cui la consegna costituisca una prestazione accessoria (Cass. civ., 23.01.1986, n. 430; Cass. civ., 27.10.1981, n. 5618), finalizzata all’adempimento dell’obbligazione principale. In tali fattispecie – secondo l’orientamento in esame – l’obbligo di custodia deve essere adempiuto, in applicazione della disposizione di cui all’art. 1177 c.c., secondo le regole stabilite per l’adempimento delle obbligazioni in generale, ed in applicazione dell’art. 1176 c.c., che esige la diligenza del buon padre di famiglia nell’adempimento delle obbligazioni di consegna.

Secondo l’orientamento più recente, che ora deve considerarsi certamente prevalente, l’art. 1780 c.c. trova applicazione anche nei casi in cui l’obbligazione di custodia sia accessoria rispetto a quella dedotta in obbligazione (Cass. civ., 06.05.2010, n. 10956; Cass. civ., 18.09.2008, n. 23845; Cass. civ., 01.07.2005, n. 10492).

L’ordinanza in commento aderisce a quest’ultimo orientamento, richiamando la sentenza della Suprema Corte n. 10956/2010, con la conseguenza che, nel contratto di riparazione dell’orologio, la gioielleria, al fine di andare esente da responsabilità e, quindi, di liberarsi dall’obbligo di risarcimento del danno, è gravata dall’onere di provare che la perdita della detenzione del bene è stata dovuta ad un fatto alla stessa non imputabile, cioè ad un evento imprevedibile e/o inevitabile o comunque estraneo al comportamento dalla stessa tenuto.

Posto che, per quanto siamo venuti dicendo, l’art. 1780 c.c. è applicabile al contratto di riparazione dell’orologio, occorre esaminare la seconda questione che emerge dall’ordinanza in commento: la nozione di “non imputabilità” del fatto al depositario ex art. 1780 c.c..

Non è sufficiente che il depositario provi di aver usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia, ma occorre che provi la causa dell’inadempimento ed ancor prima che tale causa non gli sia imputabile (sul punto cfr. Cass. civ., 13.08.2015, n. 16783; Cass. civ., 28.10.2014, n. 22807).

Rientrano, come è noto, nell’ambito del “fatto non imputabile” il caso fortuito e la forza maggiore (cioè eventi imprevedibili ed inevitabili), nonché quei fatti che, sia pure riconducibili al depositario, per le modalità in cui si sono verificati erano assolutamente inevitabili.

Al fine di stabilire se un dato fatto sia oppure no “non imputabile”, la giurisprudenza fa riferimento alle cautele adottate dal depositario: se il depositario prova di avere adottato tutte le opportune misure di sicurezza e cautele esigibili, alla luce dei principi di inevitabilità e adeguatezza, la sua responsabilità deve essere esclusa. In particolare, la giurisprudenza ha affermato che l’adozione di cautele preventive raffinate e costose non possono pretendersi dal depositario, laddove il modesto giro di affari dello stesso non lo giustifichi (Cass. civ., 12.04.2006, n. 8629).

Ora, al di là delle cautele adottate nella custodia, la giurisprudenza è concorde nell’includere, tra le ipotesi di forza maggiore liberatoria per il depositario, la rapina commessa con violenza o con minaccia alle persone (Cass. civ., 19.07.2004, n. 13359, secondo cui “è ravvisabile fatto non imputabile idoneo a liberare il depositario della responsabilità per mancata restituzione della cosa depositata quando la cosa stessa gli venga sottratta nel luogo in cui è custodita mediante la commissione di rapina a mano armata senza che rilevi se egli abbia adoperato particolari accorgimenti o cautele nella custodia, essendo i medesimi resi inutili dal diretto impiego della violenza sulla sua persona”).

Nel caso di specie, l’orologio è stato sottratto nel corso di una rapina, avvenuta durante l’orario di apertura della gioielleria, allorquando terzi ignoti, armati di pistole, si sono introdotti con effrazione all’interno dell’esercizio, minacciando i clienti presenti.

Le modalità con cui è avvenuta la rapina – con minacce alle personehanno indotto il Giudice di secondo grado a ritenere il fatto non imputabile al depositario; tale circostanza, peraltro, non è stata oggetto di censura da parte della Suprema Corte.

E veniamo al terzo degli aspetti sopra menzionati – l’unico sul quale, peraltro, i Giudici di legittimità si soffermano con l’ordinanza in commento: l’obbligo in capo al depositario di dare tempestiva notizia al depositante della perdita della detenzione del bene, pena il risarcimento del danno ex art. 1780 c.c.

Nel caso di specie, il gioielliere non ha dato immediata comunicazione al depositante, giacché l’evento criminoso è stato appreso da quest’ultimo due mesi dopo la rapina, allorquando il figlio di questi si era recato in gioielleria per chiedere informazioni sullo stato della riparazione.

L’ordinanza in commento si dilunga sugli orientamenti giurisprudenziali, susseguitisi nel tempo, in relazione al contenuto del risarcimento del danno derivante dalla violazione dell’obbligo di denunzia.

Secondo l’orientamento più risalente, la violazione del dovere di tempestiva comunicazione della perdita non imputabile della detenzione della cosa da parte del depositario dà luogo ad una pretesa risarcitoria commisurata all’intero valore del bene non restituito, come se il depositario avesse perduto per sua colpa la detenzione della cosa. Per tale corrente, l’obbligo di denuncia costituisce condizione oggettiva di liberazione del debitore. Secondo le argomentazioni del predetto orientamento, la norma dell’art. 1780 c.c., sarebbe unica ed inscindibile, nel senso che la liberazione dall’obbligo della restituzione è subordinata, oltre al fatto non imputabile, anche alla tempestiva denuncia della sottrazione da parte del depositario. (Cass. civ., 20.07.1974, n. 2193 in Rep. Giur. it., 1974, voce Deposito, nn. 3, 4; Cass. civ., 07.03.1966, n. 656, in Giur. it., 1966, I, 1501; Cass. civ., 21.05.1948, n. 775, in Foro it., 1949, I, 367. In dottrina, tra gli altri, M. Costanza, In tema di responsabilità per omessa denuncia della perdita della cosa custodita in Giust. civ., 1978, I, 666 ss.).

Tale orientamento non è andato esente da critiche: infatti, si è rilevato che esso configurerebbe un caso eccezionale di responsabilità incompatibile con la regola sull’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. e che, facendo derivare dall’obbligo di immediata denuncia una responsabilità per danni comprensiva del tantundem, eliderebbe il nesso di causalità tra fatto colposo (mancata denuncia) ed evento dannoso.

Un cambiamento di prospettiva si rinviene nella sentenza della Suprema Corte del 17.01.1978, n. 203, secondo cui l’art. 1780 c.c. va interpretato in armonia con il principio del nesso di causalità di cui all’art. 1223 c.c., nel senso che i danni di cui il depositante può pretendere il risarcimento sono soltanto quelli che siano immediatamente e direttamente raccordabili all’omessa denuncia (in senso conforme anche Cass. civ., 03.08.1991, n. 8541; Cass. civ., 11.11.2003, n. 16950).

Ne consegue che il danno coincide con il valore del bene depositato solo laddove il depositante provi che la perdita definitiva di esso sia dipesa dall’inosservanza dell’obbligo di denuncia, restando escluso laddove manchi la prova del danno patito.

Quest’orientamento, che è stato fatto proprio anche dalla dottrina, è certamente preferibile, pur non essendo facile accertare cosa sarebbe scaturito, nel caso concreto, dalla conoscenza della perdita della detenzione.

L’ordinanza in commento, pur propendendo per l’orientamento più recente, afferma che: ritiene non rilevante nella specie optare per l’uno o per l’altro orientamento, in quanto il motivo del ricorso merita accoglimento.

D’altro canto, però, l’ordinanza afferma che la responsabilità risarcitoria rapportata al valore del bene depositato – sostenuta dall’orientamento più risalente – si ricollega non solo alla prova che il depositante, se fosse stato notiziato, avrebbe potuto recuperare il bene, ma anche alla prova che il depositante, ove informato, avrebbe potuto accertare che l’orologio fosse inserito all’interno della denuncia di rapina, coadiuvare le autorità inquirenti prima dell’archiviazione del procedimento penale, opporsi all’archiviazione, ovvero surrogarsi nei diritti del depositario ex art. 1780, co. 2, c.c.

In conclusione, quindi, la decisione in commento, pur manifestando di aderire all’orientamento interpretativo più recente, tuttavia manifesta un’apertura ad agevolare l’onere della prova del nesso causale tra omessa denuncia e mancato recupero del bene, al fine di consentire al depositante di ottenere un risarcimento rapportato al valore del bene depositato.