29 Gennaio 2019

Spunti critici circa il diritto del consulente tecnico incompatibile al compenso per l’attività espletata

di Franco Stefanelli, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. II, Ord., ud. 8 marzo 2018, 5 novembre 2018, n. 28103, Pres. Manna – Rel. Besso Marcheis

[1] Consulenza tecnica – Astensione – Ricusazione – Acquisizione della consulenza – Sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione – Compenso del consulente (cod. proc. civ., artt. 51, 63, 192 e 196)

L’art. 192 comma 2 cod. proc. civ., nel prevedere che l’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio debba essere presentata con apposito ricorso depositato in cancelleria almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione, preclude la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità in via definitiva, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo. A tale principio non è consentita deroga per l’ipotesi in cui la parte venga a conoscenza soltanto in seguito della situazione di incompatibilità, poiché, in questo caso, è possibile esclusivamente prospettare le ragioni che giustificano un provvedimento di sostituzione, affinché il giudice, se lo ritenga, si avvalga dei poteri conferiti dall’art. 196 cod. proc. civ., spettando, comunque, all’ausiliario il compenso per l’attività svolta.

CASO

[1] Aulo Agerio proponeva ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. avverso il decreto che aveva liquidato il compenso in favore del consulente tecnico Numerio Negidio, nei confronti del quale Aulo Agerio aveva presentato istanza di ricusazione (poi accolta) successivamente al deposito della relazione di quest’ultimo. Il Tribunale di Siracusa, in accoglimento parziale della opposizione, riduceva il compenso in precedenza liquidato; avverso l’ordinanza emessa a conclusione del procedimento di opposizione, Aulo Agerio ricorreva per cassazione, articolando quattro motivi, di cui, con il primo, denunciava ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la «violazione / falsa applicazione dei principi enucleabili dalle norme in materia di consulenza tecnica d’ufficio e del suo diritto al compenso, di ricusazione, di nullità/inefficacia/improduttività di effetti e inesistenza giuridica ex tunc degli atti compiuti dal consulente tecnico d’ufficio ricusato, di mancanza di causa del diritto al compenso nei contratti di prestazione professionale laddove tale prestazione sia inutilizzabile, peraltro per colpa dello stesso professionista che ha violato l’obbligo di astensione». Il ricorrente denunciava che il giudice della opposizione al decreto di liquidazione giudice aveva errato, avendo rigettato la tesi, propugnata dall’opponente, della sopravvenuta cessazione della materia del contendere dell’opposizione, per effetto dell’accoglimento dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio. Nel giudizio di legittimità, Numerio Negidio non proponeva difese; di contro, Aulo Agerio depositava una memoria in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ha respinto il ricorso, rilevando dapprima come l’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio fosse stata depositata successivamente al deposito della relazione del consulente. A tal riguardo – ha rilevato la Corte – l’art. 192 comma 2 cod. proc. civ., prevedendo che l’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio debba essere presentata con apposito ricorso depositato in cancelleria almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione, preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo (in tal senso, in precedenza, Cass. Civ., Sez. I, 8 aprile 1998, n. 3657 e pure Cass. Civ., Sez. II, 6 giungo 2002, n. 8184); nell’ipotesi in cui la parte venga a conoscenza della situazione di incompatibilità del consulente soltanto successivamente alla scadenza del predetto termine, è possibile prospettare le ragioni che giustificano un provvedimento di sostituzione, affinché il giudice, se lo ritiene, si avvalga dei poteri che gli conferisce in tal senso l’art. 196 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 3657/1998 cit.). Nel caso in esame, pertanto, l’accoglimento dell’istanza di ricusazione non poteva più essere avanzata ed è da intendersi quale provvedimento di sostituzione del consulente tecnico ai sensi dell’art. 196 cod. proc. civ.; al consulente tecnico sostituito spetta, dunque, come aveva stabilito il Tribunale di Siracusa, il compenso per l’attività compiuta.

QUESTIONI

[1] La pronuncia qui annotata riafferma un consolidato principio in punto di tempestività dell’istanza di ricusazione, la quale, ai sensi dell’art. 192 comma 2 cod. proc. civ., deve essere proposta, depositando nella cancelleria ricorso al giudice (istruttore), almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione del consulente; il decorso del termine impedisce di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la fondamentale conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo (in tal senso, oltre alla giurisprudenza citata dalla stessa pronuncia annotata, Cass. n. 3657/1998 e pure Cass. n. 8184/2002, si segnala più recentemente Cass. Civ., Sez. II, 5 ottobre 2017, n. 23257; nella giurisprudenza di merito, Corte App. Palermo, Sez. III, 10 maggio 2010). Se l’orientamento dei Giudici (quantomeno di legittimità) è unanime nel ritenere il termine perentorio e preclusivo, quindi, di un’istanza formulata oltre lo stesso, di contrario avviso è la dottrina maggioritaria, che, fondatamente argomentando ex art. 152 comma 2 cod. proc. civ., rileva l’assenza di una espressa qualificazione normativa di perentorietà (PROTETTÌ-PROTETTÌ, La consulenza tecnica nel processo civile, Milano, 1999, pag. 45; VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Digesto civ., III, Torino, 1995, pag. 530), individuando tuttavia il termine finale nella prestazione del giuramento (GIUDICEANDREA, Consulente tecnico (dir. proc. civ.), in Enc. Diritto, IX, Milano, 1961, pag. 535); si distingue, nel panorama dottrinario, chi qualifica il termine come decadenziale (SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1966, pag. 107).

Secondo la giurisprudenza, pertanto, è irrilevante che il motivo di ricusazione sia sopravvenuto o sia stato ignorato, in quanto ciò che rileva, ai fini della validità della consulenza, è unicamente la tempestività della deduzione. Tutt’al più, l’incompatibilità non tempestivamente dedotta può condurre al provvedimento di sostituzione di cui all’art. 196 cod. proc. civ. (anche ad istanza di parte), il quale resta tuttavia una valutazione rimessa esclusivamente al giudice di merito, insindacabile in Cassazione, quando la motivazione sia immune da vizi logici (Cass. civ., Sez. Lav., 17 febbraio 2004, n. 3105; in senso conforme: Cass. 3657/98 cit.; Cass. Civ., Sez. II, 1 febbraio 1993, n. 1215; Cass. Civ., Sez. Lav., 30 agosto 1988, n. 5005).

Da ciò è fatto discendere, secondo un percorso logico difficilmente attaccabile, il diritto del consulente – il quale, ancorché incompatibile, abbia ugualmente espletato la consulenza per essere stata dedotta tardivamente la incompatibilità – al conseguimento del compenso per l’attività svolta ed acquisita al processo.

Se il cammino argomentativo, come sopra ricostruito, appare esente da vizi logici, forse, però, occorre porre attenzione al punto di partenza, distinguendo le situazioni, che possono condurre ad una tardiva denuncia di ricusazione:

(a) il consulente tecnico è ab origine incompatibile (ovviamente non si astiene) e la parte indugia nella ricusazione oltre il termine di cui all’art. 192 cod. proc. civ. (se colpevolmente o meno, è casistica che, al momento, si tralascia);

(b) il consulente tecnico diviene incompatibile nelle more della consulenza (ovviamente non lo dichiara), quando il termine di cui all’art. 192 cod. proc. civ. è già perento.

In entrambe le situazioni, è facile sostenere che il consulente dell’ufficio (verosimilmente) potrebbe aver violato una norma deontologica, essendo plausibile che la ragione della incompatibilità dedotta con ritardo fosse allo stesso nota.

La giurisprudenza non di rado si è occupata della rilevanza della violazione della norma deontologica ai fini del riconoscimento del compenso al professionista trasgressore; anche di recente, in tema di inosservanza della regola di condotta che impedisce all’avvocato di assumere un mandato professionale in conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale, ha ritenuto retribuibile l’attività utilmente prestata (Cass. Civ., Sez. III, 27 settembre 2018, n. 23186).

Approfondendo le due ipotesi sopra elencate, tuttavia, pare necessario fare alcune distinzioni, principiando dal secondo caso (b), che appare meno problematico, quello cioè della incompatibilità sopravvenuta: in tal caso, facendo applicazione dell’art. 196 cod. proc. civ., la sostituzione del consulente si rivela rimedio idoneo. In linea di principio, non vi doverebbero essere ragioni per invalidare l’attività svolta dal consulente sostituito prima del verificarsi della causa di incompatibilità; il riconoscimento del compenso per tale attività sarebbe, in conclusione, difficilmente contestabile.

Nel primo caso, quello cioè dell’incompatibilità iniziale (a), invece, il consulente tecnico dell’ufficio non avrebbe dovuto accettare l’incarico ed è più arduo, da un punto di vista sostanziale ed emotivo, accettare l’idea che il compenso sia dovuto.

L’art. 196 cod. proc. civ. è stato interpretato dalla dottrina (SATTA, op. cit., pag. 117; PROTETTÌ-PROTETTÌ, op. cit., pag. 98) come disciplinante due provvedimenti, i quali differiscono quanto a presupposti di operatività :

1) la rinnovazione delle indagini peritali, che ne implica la conclusione;

2) la sostituzione del consulente, che postula, all’opposto, che l’indagine peritale sia ancora in corso.

Invero, però, l’art. 196 cod. proc. civ. («Il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico») potrebbe essere interpretato come disciplinante una gradazione di provvedimenti: rinnovazione della consulenza, quale rimedio più blando, e sostituzione del c.t.u. quale rimedio più severo. Da ciò discenderebbe, in maniera pressoché necessitata, sotto un profilo logico, che la sostituzione del consulente imponga la rinnovazione delle indagini. Se questa fosse la prospettiva ermeneutica, allora difficilmente potrebbe continuare a sostenersi l’utilità (e l’acquisibilità agli atti) della consulenza svolta in condizioni, che avrebbero legittimato la ricusazione. Da qui alla negazione del compenso, il passo sarebbe assai breve, proprio in ragione della carenza di utilità della attività svolta, salvo voler approfondire la tematica della rilevanza civilistica, sub specie dell’inadempimento, della violazione della norma deontologica da parte del consulente tecnico dell’ufficio. Ma di ciò, la pronuncia annotata non fa menzione.