26 Ottobre 2021

Ricorso per cassazione ed errore del giudice nell’individuazione del nesso causale tra fatto illecito e danno

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. VI, 28 settembre 2021, n. 26231 Pres. Scoditti, Rel. Fiecconi

Procedimento civile – Ricorso per cassazione – Motivi – Ammissibilità – Violazione o falsa applicazione di legge – Responsabilità civile – Accertamento del nesso di causa – Prova (C.p.c. artt. 115, 116, 132, 360; C.p.c. disp. att., art. 118; C.c. artt. 2043, 2050, 2051, 2054, 2697 c.c.; C.p. art. 40)

In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la doglianza avente ad oggetto l’eventuale errore del giudice nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituendo tale operazione il risultato di una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata; al contrario, è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 l’ipotetico errore commesso, in un momento logicamente precedente, nell’individuazione della regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza o meno del nesso causale tra fatto illecito ed evento dannoso.

CASO

In primo grado gli attori convengono in giudizio l’ente autostradale e in via diretta l’assicurazione (sulla base della particolare disciplina della responsabilità civile in materia di risarcimento del danno da circolazione automobilistica), per vederli dichiarare al risarcimento dei danni, anche iure hereditatis, patiti a seguito del decesso di un congiunto.

Secondo la ricostruzione di parte, infatti, il sinistro stradale sarebbe avvenuto a causa della “incauta segnalazione (con sole persone e senza alcuna transenna o segnale)” di un restringimento stradale e della successiva collisione dell’autovettura con un autocarro di proprietà ANAS, “che sostava, in una posizione non corretta”, ossia “di traverso” al senso di marcia.

Il Tribunale, con decisione confermata in appello, rigettava la domanda, qualificando l’azione ex art. 2043 c.c., e disattendendo dunque l’inquadramento (difensivamente più utile, per gli attori) ex artt. 2050 o 2051 c.c., come prospettato dagli attori; e ravvisando al contrario una responsabilità esclusiva del guidatore nella causazione dell’evento.

In particolare, secondo i giudici del merito, l’automobilista avrebbe potuto, con diligenza ordinaria, avvistare per tempo il veicolo ed evitarlo qualora si fosse attenuto al limite di velocità (80 km/h) invece superato, secondo gli accertamenti peritali, in una misura compresa tra i 2 e i 15 km/h:, con esclusione dunque del nesso di causa tra la condotta del personale dell’ente e il sinistro.

SOLUZIONE

La sentenza di secondo grado è oggetto di ricorso per cassazione, con cui i parenti della vittima denunciano, con cinque distinti motivi, errori riconducibili a violazioni della legge sostanziale e a carenze di motivazione.

L’impugnazione è dichiarata inammissibile in quanto tesa a rimettere “in questione il giudizio fattuale in ordine al nesso di causale, che è riservato al giudice di merito”.

La conclusione, in vero non sorprendente, è arricchita in motivazione da interessanti considerazioni della Cassazione sui limiti del sindacato operabile dalla Corte sul tipo di censura attivato dai ricorrenti, ossia l’errore nell’individuazione o meno, in tema di responsabilità civile, del nesso eziologico tra la condotta del preteso danneggiante e il pregiudizio lamentato.

QUESTIONI

La prima precisazione attiene alla possibilità – permanente anche sotto l’attuale art. 360, n. 5 c.p.c. che, come è noto, pure non comprende più il vizio di motivazione tra le doglianze sottoponibili all’attenzione della Cassazione – di denunciare i casi in cui l’illustrazione in sentenza dell’iter logico- giuridico sotteso alla decisione non rispetti il “minimo costituzionale” individuato dalle Sezioni unite n. 8053 del 2014 nell’esistenza di una motivazione non meramente apparente.

L’arresto in esame ribadisce che – ferma l’inammissibilità dei ricorsi che pretendano invece di interrogare la Corte sulla sufficienza della motivazione – residua tutt’ora in capo al soccombente il diritto a vedere esaminata nel merito la doglianza con cui egli censuri il fatto che la motivazione, pur graficamente presente, non esiste giuridicamente in quanto, ad esempio, evidentemente perplessa.

La circostanza non è in ogni caso ravvisata nel caso di specie, nel quale, a giudizio della Cassazione, il giudice di secondo grado aveva adeguatamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a ravvisare la causa esclusiva del sinistro in una “improvvisa e inspiegabile manovra del danneggiato di frenatura e deviazione a destra, con impatto sul muro, cui restava aderente fino a terminare la sua corsa contro il camion con grande energia cinetica”: il ché, logicamente, escludeva rilevo causale alla (in ipotesi anche imprudente) posizione del mezzo dell’ANAS nella dinamica dell’incidente.

La seconda, in realtà implicita, precisazione che l’operatore del diritto può utilmente ricavare dalla sentenza in commento concerne la piena sindacabilità, nella materia de qua, dell’errore invece riguardante l’individuazione della parte onerata della prova del nesso causale.

Per pacifica giurisprudenza infatti tale onere incombe sull’attore, e ciò, come ricordato in motivazione, “a prescindere da ogni fattispecie giuridica che preveda una presunzione di colpa” e dunque anche nelle ipotesi in cui i fatti siano giuridicamente inquadrabili (come suggerito dagli attori sin dal primo grado, e sempre escluso dai giudici del merito) sotto discipline, come quelle regolamentate dagli artt. 2050, 2051 e 2054 c.c., che presuppongono la sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità in capo ad una delle parti.

In tal senso si è espressa più volte la Cassazione: limitando l’esame agli ultimi anni, è stato così ribadito che “la prova del nesso causale, nel sistema della responsabilità civile, è sempre a carico del soggetto danneggiato, sia che operi la Generalklausel”, ossia la regola generale della responsabilità per colpa ex art. 2043 c.c., sia che operi invece “la previsione di cui all’art. 2051 c.c., comma 1, norma anch’essa ritenuta applicabile, al pari di quella di cui al medesimo articolo, comma 2, ‘a tutti i soggetti’ che dalla circolazione di veicoli comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati” (Cass., 13 gennaio 2021, n. 414); e che la responsabilità da cose in custodia, prevista dall’art.2051 c.c., prescinde da qualunque connotato di colpa del custode e opera invece sul piano oggettivo, presupponendo “solo l’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso” e, dunque, la prova, da parte del danneggiato, che il pregiudizio lamentato è eziologicamente dipeso dall’inadeguata custodia del bene (Cass., 1° febbraio 2018, n. 2477).

E ancora in materia di responsabilità medica è stato riaffermato, dopo alcuni tentennamenti giurisprudenziali, che incombe sempre sul paziente l’onere di dimostrare positivamente il nesso di causa tra la pretesa malpractice e il danno (Cass., 26 novembre 2020, n. 26907; Cass., 4 novembre 2020, n. 24471), sia pure attraverso il ricorso a presunzioni nei casi in cui la dimostrazione attenga a stati soggettivi, come in materia di prova dell’ipotetica volontà abortiva laddove la gestante fosse stata debitamente informata, nel termine concesso dall’art. 6 della L. n. 184 del 1978,  delle malformazioni del feto poi riscontrate soltanto al momento del parto (Cass., 15 gennaio 2021, n. 653).

Da ciò deriva che l’opposta attribuzione, al preteso danneggiante, dell’onere di dimostrare l’assenza del nesso di causa costituisce errore in diritto, come tale denunciabile alla Corte veicolando il motivo nella violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e, in particolare, dell’art. 2697 c.c., come ancora recentemente affermato da Cass., 25 giugno 2020, n. 12634; Cass., 2 luglio 2019, n. 17685; e Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769, secondo cui tale violazione si verifica nell’ipotesi in cui il giudice del merito “abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni”.

Diverso è il caso, esemplificato dalla stessa ultima decisione citata, in cui il ricorrente lamenti invece che, “nel valutare le prove proposte dalle parti”, il giudice “abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’ art. 116 c.p.c.”, ed essendo la relativa doglianza inammissibile perché – questa sì – evidentemente vòlta a ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei risultati istruttori e una nuova ricostruzione della quaestio facti, differente, negli auspici del ricorrente, da quella sulla cui base è stata emanata la decisione impugnata.

Risulta infine interessante, ancorché espresso in via di semplice obiter dictum (come già lo era stato nella recente Cass., 6 novembre 2020, n. 24956), il principio per cui l’ “errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ (mentre l'”errore nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata”).

La precisazione sembra tuttavia contraddetta dalla sentenza in epigrafe nella parte in cui ha letto un’inammissibile istanza di rivalutazione del fatto nella doglianza, contenuta nel primo motivo di ricorso, avente ad oggetto l’errore compiuto dal giudice di secondo grado nel non aver valutato l’efficienza causale della “attività pericolosa espletata dal personale Anas al fine di impedire l’evento, secondo i parametri di cui all’art. 2050 c.c. (o artt. 2051 e 2043 c.c.)”, che secondo la parte impugnante, se esaminata, avrebbe potuto condurre a ravvisare almeno un concorso, a livello di contributo causale, con l’eccesso di velocità del guidatore.

Anche in quel caso infatti i ricorrenti avevano lamentato un errore nell’individuazione della regola giuridica in base alla quale era stata negata, in sentenza, la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento, eppure la Cassazione ha escluso di poter valutare la censura nel merito evidenziando invece che l’impugnante, con tale rilievo, aveva frainteso il ruolo della Corte, la quale non è un giudice di terza istanza.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Delegato nelle vendite immobiliari