17 Gennaio 2023

Rapporti tra clausola compromissoria, titolo esecutivo stragiudiziale ed esecuzione forzata

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. III, 13 ottobre 2022, n. 29932 Pres. De Stefano e Rel. Guizzi

Arbitrato – compromesso – clausola compromissoria in genere

(artt. 474, co. 1, n. 3, 615 e 808  c.p.c.)

Massima: “Affinchè l’inserimento di una clausola arbitrale in un rogito notarile abbia l’effetto, non solo di devolvere agli arbitri ogni controversia – ivi compresa quella sull’opposizione all’esecuzione – relativa al suo contenuto, ma anche di privare il rogito della sua idoneità a fungere da titolo esecutivo, ex art. 474, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., occorre che la subordinazione pattizia dell’esercizio dell’azione esecutiva alla formazione del giudicato risulti chiaramente delineata in una pattuizione contrattuale, non potendo ritenersi insita nel solo fatto che le parti – nel dare vita ad un atto che è idoneo a porsi come titolo esecutivo extragiudiziale – abbiano previsto la devoluzione ad arbitri di ogni controversia relativa a detta pattuizione”.

CASO

A.A.. vendeva a B.H. la propria partecipazione azionaria nella predetta società, la quale, tuttavia, non pagava il prezzo di acquisto.

Il creditore iniziava, quindi, una procedura esecutiva nei confronti della società, in forza del rogito notarile, contratto che andava qualificato titolo extragiudiziale, ex art. 474, comma 1, n. 3), c.p.c. perché contemplava espressamente l’ammontare del prezzo ed i termini di pagamento.

B.H. proponeva opposizione a precetto, che veniva respinta dal Tribunale di Milano, con una decisione poi riformata in appello.

Secondo il giudice di secondo grado, infatti, il creditore non poteva procedere all’esecuzione forzata, perché il rogito conteneva una clausola compromissoria concernente tutte le controversie derivanti dal contratto. Ciò implicitamente comportava la volontà delle parti di ricollegare al lodo arbitrale, “unico titolo esecutivo possibile”, anche l’esecuzione forzata. In altre parole, la scelta operata dalle parti non poteva essere “sacrificata” da un’applicazione incondizionata dell’art. 474, comma 1, n. 3), c.p.c..

Avverso tale pronuncia  A.A. ricorreva in cassazione sulla base di due motivi.

SOLUZIONE

La Suprema Corte accoglie il secondo motivo di gravame (violazione e falsa applicazione degli artt. 474, 615 e 808 c.p.c.), mentre respinge il primo motivo, che non verrà esaminato nella presente nota, perché riguarda il tema della mutatio libelli e dell’onere, o meno, della parte pienamente vittoriosa di proporre appello incidentale, a fronte di questioni non affrontate dal giudice di primo grado.

QUESTIONI

La Corte risponde al seguente quesito: se la presenza di una clausola arbitrale in un rogito notarile (la cui portata, nella fattispecie, riguarda “tutte le controversie derivanti dal contratto o in relazione allo stesso”) non solo devolva agli arbitri ogni controversia – ivi compresa quella sull’opposizione all’esecuzione – ma privi anche il rogito della sua idoneità a fungere da titolo esecutivo.

Sul punto, la sentenza in esame ricorda che tale efficacia è diretta conseguenza “della pubblica fede che il notaio vi attribuisce” (cfr. Cass. 19 luglio 2005, n. 15219 e Cass. 19 settembre 2014, n. 19738).

Perché la clausola arbitrale raggiunga questo specifico effetto, essa deve espressamente contenere una rinuncia alla possibilità di procedere all’esecuzione in forza del rogito, o meglio, un “pactum de non exequendo ad tempus“.

La previsione ha lo scopo di impedire il ricorso alle “forme del processo esecutivo per la realizzazione del credito, sino a quando la sentenza di condanna al pagamento …non sia passata in giudicato”. Viene, in tal modo, valorizzato l’intento delle parti di “non dover provvedere, a seconda delle vicende del processo di cognizione, ad una altalena di” pagamenti “o di incombenti l’uno di segno opposto al precedente” (Cass. 12 agosto 1991, n. 8774).

Se, il “pactum de non exequendo ad tempus” ha la funzione di subordinare l’esercizio dell’azione esecutiva alla formazione del giudicato (Cass. 12 agosto 1991, n. 8774 cit.), occorre che esso sia formulato in termini chiari e inequivocabili.

In altre parole, la semplice devoluzione ad arbitri “di ogni controversia” non può implicitamente contenere il limite in esame, tanto meno quando il contratto nasce come titolo esecutivo extragiudiziale.

Ben potrà, quindi, il creditore, pur in presenza del patto compromissorio, azionare la scrittura privata autenticata, oppure l’atto pubblico, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro ivi consacrate, notificando alla controparte il titolo munito di formula esecutiva e l’atto di precetto.

Nella parte narrativa, la sentenza rende noto che l’opposizione pre-esecutiva si è svolta avanti il giudice ordinario, mentre quella all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. è stata radicata avanti il collegio arbitrale.

La scelta operata dell’opponente pare corretta, con la precisazione che, nella prima fase, il debitore, sino a quando l’esecuzione non è iniziata, può chiedere la sospensiva dell’efficacia esecutiva del titolo, per poi vedere la controversia decisa nel merito dall’arbitro.

Poiché la fase di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ha natura cautelare, il giudice dell’opposizione a precetto prima adotterà il provvedimento con cui sospende o non sospende l’efficacia esecutiva del titolo e, successivamente, assegnerà alle parti un termine per introduzione del giudizio di merito, avanti l’arbitro competente (in tema si veda Cass. 20.3.2018, n. 7891, ed anche Giorgi, La derogabilità all’arbitro della funzione giurisdizionale del giudice ordinario nell’opposizione all’esecuzione, in ilprocessocivile.it). Va precisato, inoltre, che se l’opposizione preventiva è ex art. 617 c.p.c. (e, quindi, ha per oggetto il quomodo dell’esecuzione), allora riguarda norme inderogabili sottratte alla competenza arbitrale e, come tale, la causa deve essere radicata e rimanere presso il tribunale ordinario.

Non dissimile è il caso dell’opposizione post esecutiva che, anche in questo caso, è bifasica. Per tale ragione il giudice dell’esecuzione è l’unico soggetto legittimato a valutare se il processo esecutivo possa proseguire o debba invece sospendersi, ma, una volta conclusa questa fase, deve necessariamente assegnare il termine alla parte interessata per l’introduzione del giudizio di merito davanti al giudice competente e, quindi,  davanti all’arbitro.

Analoghe considerazioni, rispetto a quelle sopra svolte, riguardano il caso di opposizione agli atti esecutivi. Controvertendosi del quomodo dell’azione esecutiva, le contestazioni riguardano disposizioni inderogabili per legge e, comunque, diritti indisponibili, con la conseguenza che la competenza resta radicata comunque davanti all’autorità giudiziaria ordinaria.

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