16 Aprile 2024

Pregiudizio del decoro architettonico del condominio

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte Suprema di Cassazione, seconda sezione civile, Sentenza n. 25790/2020 del 23.09.2020, Presidente dott. Pasquale d’Ascola

Massima: “La domanda, quale quella in esame, azionata da un condomino per accertare la legittimità dell’uso di una parte comune, quale, nella specie, la facciata dell’edificio, in base al disposto di cui all’art. 1102 c.c., ha natura reale, in quanto si fonda sulla verifica dei limiti del diritto di comproprietà su un bene. Al fine di conclamare la legittimità dell’uso particolare del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., spetta al giudice di verificare altresì se l’opera arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale, trattandosi di limite legale compreso nel principio generale dettato da tale norma e che perciò deve guidare l’indagine giudiziale sulla verifica delle condizioni di liceità del mutamento di uso”

CASO

Il caso riguarda un ricorso ex art. 702 bis c.c. proposto dalla società Tizio innanzi al Tribunale di Pordenone, relativo alla realizzazione di una condotta di aspirazione da realizzarsi su prescrizione dell’autorità sanitaria, a servizio dell’unità immobiliare ove era esercitata attività commerciale di ristorazione nell’immobile di proprietà della società Tizio. La realizzazione del manufatto era da effettuarsi sul retro dell’immobile. Il Tribunale valutò che tale manufatto deturpasse l’architettura dell’edificio e pertanto respinse il ricorso. La decisione era impugnata dalla società Tizio innanzi alla Corte di Appello di Trieste, sul presupposto che il manufatto non fosse lesivo del decoro dell’edificio, insistendo sulla facciata posteriore dello stesso, peraltro già occupato da altri manufatti. La Corte di Appello, basandosi sulla documentazione fotografica prodotta in giudizio, confermava la valutazione di prima istanza reputando la canna fumaria lesiva dell’impianto architettonico dell’edificio, considerando altresì che tale installazione avrebbe avuto altre conseguenze impattanti sull’involucro dell’immobile. Era infine presentato ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione con nove motivi di gravame.

SOLUZIONE

La Corte Suprema di Cassazione, seconda sezione civile, respingeva i primi otto motivi, accogliendo il nono motivo e rinviando la causa alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, per decisione, anche in ordine alle spese.

QUESTIONI

Come enunciato sopra, il ricorso in Cassazione proposto dalla società Tizio comprendeva diversi motivi di gravame vertenti su vari aspetti della vicenda.

Con il primo motivo si deduceva la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione relativa alla parte contenuta nella sentenza impugnata, circa emissioni di odori e la costituzione di un precedente che avrebbe costituito una ratio decidendi, essendosi discusso in giudizio della sola lesione al decoro architettonico. Tale motivo era respinto in quanto superfluo e considerato inammissibile dagli ermellini.

Il secondo motivo denunciava la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102, comma 1, c.c., con la quale la società ricorrente lamentava che, essendo la fattispecie fuori dall’ambito di operatività dell’art. 1122 c.c., come modificato dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, e dovendo trova applicazione soltanto l’art. 1102 c.c., quest’ultima norma poneva quale limite all’uso della cosa comune l’alterazione della destinazione, e non anche il “semplice mutamento dell’aspetto architettonico”, ovvero il “pregiudizio al decoro architettonico”.  La Suprema Corte valutava tale motivo congiuntamente al terzo, con il quale la società ricorrente lamentava la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., avanzando la società ricorrente premessa che la nozione di “decoro architettonico”, in quanto clausola generale, consentisse un sindacato anche in sede di legittimità, evidenziando come il pregiudizio al medesimo decoro non potesse ravvisarsi in un semplice mutamento dell’aspetto del fabbricato, occorrendo, piuttosto, una lesione dell’insieme della sua armonica fisionomia. Entrambi questi motivi erano considerati infondati dagli ermellini, a seguito di valutazione CTU e riproduzione fotografica, poiché la disposizione di un manufatto come quello esaminato, avrebbe arrecato nel suo complesso pregiudizio alla linearità dell’edificio e quindi in violazione dell’art. 1102 c.c.. Ricorda la Suprema Corte: “La domanda, quale quella in esame, azionata da un condomino per accertare la legittimità dell’uso di una parte comune, quale, nella specie, la facciata dell’edificio, in base al disposto di cui all’art. 1102 c.c., ha natura reale, in quanto si fonda sulla verifica dei limiti del diritto di comproprietà su un bene. Al fine di conclamare la legittimità dell’uso particolare del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., spetta al giudice di verificare altresì se l’opera arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale, trattandosi di limite legale compreso nel principio generale dettato da tale norma e che perciò deve guidare l’indagine giudiziale sulla verifica delle condizioni di liceità del mutamento di uso”. Pertanto, i Giudici considerarono nel caso di specie che l’apposizione della canna fumaria, benché posta sul retro dell’edificio, impattasse negativamente sull’insieme armonico dello stesso[1]. Inoltre, il collegio ricordò che tale valutazione spettasse al giudice di merito, rimanendo insindacabile tale giudizio in sede di legittimità, salvo i limiti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Il quarto motivo di ricorso era incentrato sull’omesso esame circa un fatto decisivo relativo alla constatazione che la Corte d’Appello avesse acquisito la CTU senza valutazione critica. Il quinto deduceva l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non risultando dalla C.T.U. che l’apposizione della canna fumaria comportasse un’alterazione significativa della unitarietà di linee e di stile dell’edificio. Il sesto motivo di ricorso considerava anch’esso l’omesso esame circa un fatto decisivo, consistente nel fatto che la lesione del decoro architettonico supponesse l’accertamento di un’alterazione che potesse procurare un pregiudizio estetico suscettibile di una apprezzabile valutazione economica, dato eluso dalla C.T.U.. Il settimo motivo di ricorso denunciava sempre l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non avendo la sentenza impugnata comparato il criterio estetico con quello utilitario, quanto al carattere di essenzialità della canna fumaria per l’utilizzazione dell’immobile. Tutti questi motivi furono dichiarati infondati dalla Suprema Corte, che valutò anche diversi profili di inammissibilità[2]. Per quanto attiene, in particolare, a tutte le valutazioni addotte dalla Corte di Appello di Trieste circa la C.T.U. e contrastate in ricorso, la Suprema Corte rimandava alla valutazione del giudice di merito, non essendo tali considerazioni da esaminare in sede di legittimità.

Con l’ottavo motivo la società ricorrente deduceva la violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., o in subordine, l’omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., relativamente al richiamo contenuto nella sentenza impugnata circa la contestazione che la canna fumaria che si intendeva installare, essendo di diametro modesto, non potesse costituire una lesione del decoro architettonico: “l’installazione causerebbe … aspetti pregiudizievoli nei confronti dell’edificio per quanto attiene il superamento della linda, che non risulta fattibile se non con interventi ulteriormente impattivi dal punto di vista del decoro architettonico“.  La parte ricorrente lamentava comunque l’omessa motivazione sul punto. Tuttavia, anche questo motivo veniva dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte, sulla base del fatto che le caratteristiche del manufatto, nel caso di specie una canna fumaria, seppur di modesta ampiezza di diametro, non possono trascendere da una valutazione complessiva delle caratteristiche e dell’impatto sull’edificio. Anche la carenza di motivazione veniva rigettata non trattandosi di un fatto decisivo.

Il nono motivo di ricorso, i quale sollevava il vizio per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. o di omesso esame di fatto decisivo, relativamente alla proposta alternativa di realizzazione della tubazione invocata già nell’atto di appello, era considerato fondato dalla Suprema Corte e degno di accoglimento. Il motivo investiva la richiesta, non valutata in sede di appello, di perizia avanzata tra le istanze istruttorie contenute nell’atto di gravame ed alla soluzione migliorativa prospettata dal consulente tecnico di parte, che ipotizzava di portare la condotta al livello del marciapiede. La Suprema Corte dichiarava sul punto: “La Corte d’appello di Trieste avrebbe perciò dovuto verificare se accogliere la domanda di accertamento del diritto della ricorrente di servirsi della cosa comune, nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., operando le modificazioni di consistenza e struttura ulteriormente specificate in sede di gravame. Né si comprende perché i giudici di secondo grado abbiano sostenuto che le soluzioni alternative, proposte nel corso del giudizio di appello, andavano eventualmente “offerte dall’appellante al Condominio“, non risultando accertata, e neppure dedotta, l’esistenza, nella specie, di una apposita previsione di natura convenzionale che imponga il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per le opere modificative delle parti comuni dell’edificio”.

In base a quanto sopra enunciato, La Corte Suprema di Cassazione, seconda sezione civile, respingeva i primi otto motivi, accogliendo il nono, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, per decisione, anche in ordine alle spese.

[1] Il collegio chiariva a chiusura dell’esame del secondo e terzo motivo di gravame: “Non di meno, e in ciò sta l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, anche alle modificazioni apportate dal singolo condomino, ex art. 1102 c.c., si applica, per identità di “ratio”, il divieto di alterare il decoro architettonico del fabbricato previsto in materia di innovazioni dall’art. 1120 dello stesso codice (Cass. Sez. 2, 29/01/2020, n. 2002; Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712; Cass. Sez. 2, 31/07/2013, n. 18350; Cass. Sez. 2, 22/08/2012, n. 14607; Cass. Sez. 2, 22/08/2003, n. 12343; Cass. Sez. 2, 29/03/1994, n. 3084; Cass. Sez. 2, 14/01/1977, n. 179)”.

[2] La Corte di legittimità esaminò insieme i motivi dal quattro al sette dichiarando: “L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Il ricorrente, quindi, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Non integrano, pertanto, il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le considerazioni svolte nei motivi quarto, quinto, sesto e settimo del ricorso, che si limitano a contrapporre una diversa opinione circa l’insussistenza del pregiudizio al decoro architettonico, con riguardo agli accertamenti inerenti alla “bellezza” dell’edificio, alla “non trascurabile entità della unitarietà di linee e di stile”, al “deprezzamento” del fabbricato o alla “essenzialità” della canna fumaria. E’ evidente come tali doglianze non indicano “fatti” in senso storico e normativo, ossia fatti principali, ex art. 2697 c.c., o fatti secondari (cioè fatti dedotti ed affermati in funzione di prova di un fatto principale), precisi accadimenti ovvero circostanze in senso storico-naturalistico, o dati materiali, episodi fenomenici”.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Sorte dei contratti di vendita e locazione per effetto delle sopravvenienze: la rinegoziazione