14 Luglio 2020

Mediazione immobiliare e diritto alla provvigione

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., 10 Aprile 2020, n. 7781, Ord., Rel. Dott A. Cosentino

Mediazione – Provvigione – Conclusione dell’affare – Nozione – Proposta irrevocabile d’acquisto – Diritto alla provvigione – Esclusione (art. 1755 c.c.)

[1] Il diritto del mediatore alla provvigione sorge quando l’affare è concluso, ossia quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Va, invece, escluso il diritto alla provvigione qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dello stesso, come nel caso in cui sia stata formulata una proposta di acquisto che seppur accettata rinvia la conclusione alla possibilità di un futuro accordo.

CASO

[1] Tizio (mediatore) conveniva in giudizio Caio e Sempronio, al fine di ottenerne la loro condanna al pagamento della provvigione maturata a seguito dell’attività di mediazione posta in essere dal primo e finalizzata all’acquisto di un immobile.

Tizio sosteneva che le parti avrebbero concluso l’affare cui è subordinato, ai sensi dell’art. 1755 c.c., il pagamento della provvigione del mediatore e che tale affare si sarebbe perfezionato a seguito dell’invio di una proposta irrevocabile d’acquisto, “gradita” dal promittente venditore seppure con l’auspicio di pervenire a un accordo migliore. Secondo il mediatore, cioè, si sarebbe formato comunque un accordo vincolante (nella specie un preliminare di preliminare) tale da rendere esigibile la provvigione.

Si costituivano in giudizio le parti convenute, contestando l’assunto attoreo e affermando non essere dovuta alcuna provvigione perché nei fatti all’intesa iniziale non era seguito alcunché di concreto.

Il Tribunale e successivamente la Corte d’Appello respingevano la domanda attorea, escludendo che l’affare fosse stato concluso; posto che le parti non avevano concluso un contratto preliminare di compravendita, si escludeva che il semplice preliminare di preliminare potesse legittimare la richiesta di pagamento della provvigione, anche a prescindere dall’esatta sussunzione della fattispecie concreta alla nozione di preliminare di preliminare.

Tizio proponeva ricorso in Cassazione per ottenere la riforma della decisione del giudice del merito.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, respinge il ricorso.

QUESTIONI

La questione di più rilevante interesse che si trova ad affrontare la Corte attiene all’individuazione del presupposto, la conclusione dell’affare, che legittima la richiesta di pagamento della provvigione da parte del mediatore.

È noto infatti che ai sensi dell’art. 1755 c.c. “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.

La conclusione dell’affare è dunque un presupposto indefettibile affinché sorga in capo al mediatore il diritto alla provvigione. Ma in cosa consiste questo affare e quando può dirsi concluso?

Il tema è stato a più riprese indagato in giurisprudenza, ma ormai può considerarsi pacifico che l’affare consista nella creazione di un vincolo giuridico tra le parti e che deve ritenersi concluso quando ciascuna delle parti è legittimata ad agire per la esecuzione del negozio ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato.

Il caso di specie presenta profili di interesse non tanto nella parte introduttiva, perché la Corte disquisisce in ordine alla natura dell’atto concluso dalle parti nel caso di specie (se cioè minuta, accordo di massima o preliminare di preliminare), quanto piuttosto nella parte in cu la Corte si sofferma sul preliminare di preliminare, indagandone la natura e la sua inclusione nel novero di quegli “affari” che comportano il pagamento della provvigione al mediatore.

La Corte ribadisce, anzitutto, un principio espresso a sezioni unite  negli ultimi anni, confermando la validità ed efficacia del preliminare di preliminare, almeno nei casi in cui sia configurabile un interesse delle parti meritevole di tutela alla formazione progressiva del contratto fondata sulla differenziazione dei contenuti negoziali delle varie fasi in cui si articola il procedimento formativo (cfr. Cass. Sez. Un., 15/4628).

Detto questo, la Corte richiama però altro suo precedente (cfr. Cass. 19/30083), di cui riafferma il contenuto, evidenziando come, ai fini dell’insorgenza del diritto del mediatore alla provvigione, poiché l’affare è concluso quando viene creato un vincolo giuridico che abiliti ciascuna delle parti ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato, a tale scopo non è allora sufficiente un accordo preparatorio, destinato a regolamentare il successivo svolgimento del procedimento formativo del programmato contratto definitivo. Ciò che avviene appunto, ad esempio, nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. “preliminare di preliminare”, che è un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento e non legittima pertanto la parte non inadempiente a esercitare gli strumenti di tutela finalizzati a realizzare, in forma specifica o per equivalente, l’oggetto finale del progetto negoziale abortito, ma soltanto ad invocare la responsabilità contrattuale della parte inadempiente per il risarcimento dell’autonomo danno derivante dalla violazione, contraria a buona fede, della specifica obbligazione endoprocedimentale contenuta nell’accordo interlocutorio.

La conclusione, per la S.C. è dunque quella per cui il preliminare di preliminare non legittima in ogni caso il mediatore a pretendere il pagamento della provvigione.

Va pur detto, però, che la tesi sostenuta dal mediatore trovava sponda per la verità in un paio di precedenti della stessa Corte Suprema nemmeno tanto risalenti nel tempo (Cass. 17/923 e Cass. 15/24397), superati peraltro ancor più recentemente nel 2019 e ora con la decisione in commento. Occorrerà ora attendere per vedere se tale ultimo indirizzo  troverà ulteriore conferma, tale da poterlo ritenere consolidato o se piuttosto non interverranno, anche in questo caso, le Sezioni Unite.