6 Luglio 2021

L’omessa pronuncia su eccezione di rito nell’arbitrato rituale

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 4 giugno 2021, n. 15613, Pres. Di Virgilio – Est. Giusti

[1] Arbitrato – Lodo – Impugnazione – Nullità – Mancato esame di eccezioni di rito – Vizio di omessa pronuncia – Configurabilità – Esclusione – Conseguenze (artt. 112, 829 c.p.c.)

La nullità del lodo per omessa pronunzia su domande ed eccezioni delle parti, in conformità alla convenzione di arbitrato, ex art. 829, comma 1, n. 12, c.p.c., è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte degli arbitri, di questioni di merito e non anche di rito, nel qual caso l’impugnazione per nullità può essere proposta soltanto, in base ad altri numeri del medesimo art. 829 c.p.c., per far valere la mancanza delle condizioni per la decisione nel merito da parte degli arbitri.

CASO

[1] Un lodo arbitrale rituale veniva impugnato per nullità deducendo, tra gli altri motivi, il vizio di omessa pronuncia relativo alle modalità di svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio e alla dedotta incapacità a testimoniare di uno dei soggetti escussi in sede arbitrale.

L’adita Corte d’Appello di Ancona rigettava l’impugnazione proposta rilevando, in parte qua, l’inammissibilità dei motivi di doglianza avanzati.

Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione con il quale, per quanto qui interessa, veniva denunciata la violazione dell’art. 829, n. 12), c.p.c., nonché la falsa applicazione degli artt. 246 e 194 c.p.c. per non essersi, il collegio arbitrale, pronunciato né sull’eccezione di incapacità a deporre di uno dei testimoni escussi né sull’eccezione di nullità della c.t.u. Più nello specifico, i ricorrenti si dolevano della circostanza per cui la Corte d’appello avesse erroneamente ritenuto che il collegio arbitrale si fosse pronunciato sull’eccezione di incapacità a deporre e sull’eccezione di nullità della c.t.u. mentre, ad avviso degli stessi, il collegio arbitrale non avrebbe affatto statuito su dette eccezioni.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte giudica infondata la doglianza proposta.

In particolare, si rileva come il menzionato art. 829, n. 12), c.p.c., configuri sì, quale vizio di nullità del loro arbitrale, l’omessa pronuncia su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità della convenzione di arbitrato, ma che tale vizio deve ritenersi integrato esclusivamente nell’ipotesi di mancato esame su questioni di merito e non anche – come avvenuto nel caso di specie – su eccezioni di rito (per l’affermazione di tale principio, il provvedimento richiama Cass., 25 gennaio 2018, n. 1876 e Cass., 11 ottobre 2018, n. 25154).

In altri termini, prosegue la Corte, il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non sarebbe suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia – il quale si configurerebbe esclusivamente nel caso di mancato esame di domande o eccezioni di merito -, ma potrebbe configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se ed in quanto si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte. Tale principio, affermato con riguardo al giudizio ordinario di cognizione (in tal senso, il provvedimento richiama Cass., 12 gennaio 2016, n. 321), deve ritenersi valido anche per il giudizio arbitrale, dove il mancato esame, da parte degli arbitri, di un’eccezione di rito può dar luogo all’impugnazione per nullità del lodo soltanto in base ad altri numeri dell’art. 829 c.p.c., diversi dal n. 12), per far valere (non l’omessa pronuncia ma) la mancanza delle condizioni per la decisione nel merito da parte degli arbitri.

Sulla base di tali rilievi, la Cassazione rigetta il ricorso proposto.

QUESTIONI

[1] La pronuncia in commento interviene sulla configurazione del vizio di omessa pronuncia in sede arbitrale e, nello specifico, se esso possa considerarsi integrato anche nell’ipotesi di mancata statuizione su un’eccezione di rito sollevata dalle parti.

Come verrà subito illustrato, tuttavia, in relazione all’integrazione del vizio di omessa pronuncia nel processo ordinario di cognizione essa lascia intendere l’adesione a orientamenti che appaiono minoritari o, comunque, lontani dalla communis opinio maturata sulla materia.

Preliminarmente, peraltro, può essere utile soffermarsi sulla natura delle eccezioni sollevate nel caso in questione: si tratta, lo si ricorda, dell’eccezione di incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. e dell’eccezione di nullità della c.t.u. A tal riguardo, la qualificazione nei termini di eccezioni di rito, che i giudici hanno ritenuto di riconoscere alle stesse, deve ritenersi corretta, attenendo, come ovvio, a nullità processuali.

Ciò detto, è allora possibile spostarsi sul successivo piano dell’indagine, ossia sulla questione – centrale nel provvedimento in commento – se la mancata statuizione su un’eccezione di rito integri, oppure no, il vizio di omessa pronuncia ex art. 829, n. 12), c.p.c. (nonché, a monte, ex art. 112 c.p.c.).

Muovendo dall’elaborazione, dottrinale e giurisprudenziale, formatasi intorno all’art. 112 c.p.c., è in effetti assodato che la mancata pronuncia, da parte del giudice, su un’eccezione di rito non sia idonea a integrare il vizio di omessa pronuncia, inteso quale violazione dei doveri decisori del giudice sanciti nella norma da ultimo menzionata (ex multis, Cass., 25 gennaio 2018, n. 1876; Cass., 31 maggio 2017, n. 13786; Cass., 30 giugno 2016, n. 13425; Cass., 12 gennaio 2016, n. 321; in dottrina, G. Verde, Domanda (principio della). I) Diritto processuale civile, in EGT, XII, Roma, 1989, 10), ma sia censurabile per violazione di norme diverse, nella misura in cui la decisione offerta dal giudice sulla questione si riveli errata.

La conclusione raggiunta dalla Suprema Corte nel provvedimento in commento, dunque, deve senz’altro ritenersi corretta e meritevole di approvazione.

Ciò che non convince, tuttavia, è un passaggio argomentativo rinvenibile nella decisione. La Cassazione, per l’esattezza, ha optato per una soluzione al quesito direttamente mutuata dai frutti della propria esegesi dell’art. 112 c.p.c., in particolare richiamando il principio espresso da Cass., 12 gennaio 2016, n. 321, dove, con riguardo al processo ordinario di cognizione, si ritrova l’affermazione per cui “il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale […] non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte [corsivo nostro]”.

Come si evince dalla massima, la sentenza ha esteso il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. alla mancata pronuncia su eccezioni di merito. A questa fattispecie, poi, il provvedimento in esame contrappone l’ipotesi di omessa pronuncia su eccezioni di rito, per ivi escludere la configurabilità del vizio ex art. 829, n. 12), c.p.c. Il punto, però, è che, con riguardo all’art. 112 c.p.c., l’elaborazione maggioritaria tradizionalmente esclude che la mancata statuizione su un’eccezione di merito configuri omissione di pronuncia, circoscrivendo tale vizio al caso di mancata decisione su una domanda (per un esaustivo resoconto, si rinvia a M. Montanari, sub art. 112 c.p.c., in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018, 1285 ss.).

La necessità di sceverare, con riguardo alle eccezioni, può tuttavia sorgere in materia arbitrale, in correlazione al diverso disposto normativo che, nei due processi (ordinario di cognizione e arbitrale, appunto), regola il vizio di omessa pronuncia. In relazione al primo, infatti, è noto come manchi del tutto un riferimento testuale al vizio in discorso, il quale, oggi, viene desunto dal già richiamato art. 112 c.p.c., dove si prevede soltanto, però, che il giudice debba «pronunciare su tutta la domanda»: previsione sul fondamento della quale, come sappiamo, l’interpretazione maggioritaria esclude che l’omessa pronuncia su eccezioni integri il vizio de quo. Diverso è il dettato dell’art. 829, n. 12), c.p.c., dove la patologia dell’omessa pronuncia è espressamente contemplata, in grazia della comminatoria di nullità del lodo rituale per il caso in cui lo stesso non abbia «pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato [corsivo nostro]»: è evidente, dunque, che, nella misura in cui la legge estende i confini dell’omessa pronuncia all’ipotesi di mancata statuizione su eccezioni, può assumere rilievo, come si diceva, la necessità di sceverare tra eccezioni di merito ed eccezioni di rito, al fine di verificare se anche l’omessa pronuncia su queste ultime integri il vizio in discorso.

A tal riguardo, può osservarsi che le pronunce giurisprudenziali che ritengono censurabile quale violazione dell’art. 112 c.p.c. il vizio di omessa pronuncia su eccezioni, circoscrivono il perimetro applicativo della censura alle eccezioni di merito in quanto idonee – in virtù dell’omessa considerazione di un fatto costitutivo, estintivo o impeditivo del diritto dedotto in giudizio – a riflettersi sull’oggetto della decisione (si veda Cass., 29 settembre 2017, n. 22799).

Lo stesso, probabilmente, può predicarsi con riguardo al giudizio arbitrale, così che le nullità procedurali che possono ingenerarsi nel corso del processo – e il rigetto implicito della relativa eccezione, insito nella mancata pronuncia sulla stessa – possono (rectius: devono) essere veicolate tramite uno dei motivi di cui all’art. 829 in discorso.

Può prestarsi adesione, in definitiva, al principio di diritto affermato dalla pronuncia in commento, che ha escluso che la mancata pronuncia su eccezione di rito possa essere censurata, quale motivo di nullità del lodo rituale, ai sensi dell’art. 829, n. 12), c.p.c.

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