11 Luglio 2023

Impugnazione di testamento olografo falso

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. 1, Ordinanza n. 35649 del 05/12/2022

Prova civile – falso civile – querela di falso – in genere querela di falso – contestazione del contenuto quale falso ideologico – inammissibilità – scrittura proveniente da terzi – inammissibilità – limiti – fondamento.

“La querela di falso è ammissibile anche contro la scrittura proveniente dal terzo, qualora la stessa abbia un intrinseco dato di attendibilità, come ad es. (oltre che nel caso del testamento olografo o della cambiale) nel caso in cui il soggetto che l’ha materialmente formata sia legato alla parte contro la quale è prodotta da un particolare rapporto, ovvero ne sia procuratore o institore, così che debba presumersi che le circostanze rappresentate nel documento siano sostanzialmente riconducibili alla parte medesima. Tuttavia, alla pari di quanto avviene in caso di documento proveniente dalla parte, la querela di falso è esperibile al fine di scindere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione, ma non per contestare la veridicità di quanto dichiarato”.

Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 11659 del 04/05/2023

SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE TESTAMENTARIA – FORMA DEI TESTAMENTI – TESTAMENTO OLOGRAFO –

“La parte che contesti l’autenticità di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l’onere della relativa prova: tale principio, affermato dalle Sezioni Unite della Corte a risoluzione di un contrasto ermeneutico che ha consolidato una delle opzioni interpretative precedentemente seguite, non dà luogo ad una fattispecie di “overruling” e non integra un errore scusabile, ai fini dell’esercizio del diritto della parte alla rimessione in termini.”

Disposizioni applicate

Articoli 602, 2697 e 2702 cod. civ.; articoli 214 e 221 cod. proc. civ.

[1] Le pronunce in commento sembrano rinnovare il contrasto giurisprudenziale (fino a pochi anni fa estremamente vivace) relativo al mezzo di impugnazione da azionare al fine di contestare l’autenticità di un testamento olografo.

In entrambi i casi, gli Ermellini dovevano giudicare in ordine allo strumento processuale utilizzato al predetto fine e, se nella prima decisione, si è ritenuta necessaria la querela di falso, il secondo assesto ha sostenuto la sufficienza della domanda di accertamento negativo.

Al di là degli elementi concreti dello specifico singolo caso – che non rilevano ai fini della presente indagine – ciò che preme evidenziare è l’avere la Suprema Corte riproposto un’interpretazione che sembrava ormai esser stata definitivamente accantonata dopo la pronuncia a Sezioni Unite n. 12307 del 15/06/2015.

Giova ripercorrere il dibattito ed i ragionamenti che hanno portato a tale decisione. Prima di allora (e sin d’ora anticipando l’esistenza di una ulteriore pronuncia a Sezioni Unite del 2010, di cui a breve si dirà), due erano gli orientamenti che si rinvenivano, sia in dottrina che nella giurisprudenza di legittimità: a chi riteneva sufficiente per colui che contestasse l’autenticità di un testamento olografo effettuare il disconoscimento della scrittura, si contrapponevano coloro che asserivano fosse necessario promuovere querela di falso per contestarne l’autenticità.

[2] È la stessa Suprema Corte a dare atto del contrasto esistente:

Secondo un primo indirizzo, il testamento olografo, nonostante i requisiti di forma previsti dall’art. 602 cod. civ., trova comunque la sua legittima collocazione tra le scritture private, sicché, sul piano della efficacia sostanziale, è necessario e sufficiente che colui contro il quale sia prodotto disconosca (rectius, non riconosca) la scrittura, da ciò derivando l’onere della controparte, che alla efficacia di quella scheda abbia invece interesse (perché fonte della delazione ereditaria), di dimostrare la sua provenienza dall’autore apparente.

(…) Alla luce di tale orientamento nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e colui il quale vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe su quest’ultimo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sul primo, con l’ulteriore conseguenza che, sulla ripartizione dell’onere probatorio, nessuna rilevanza può attribuirsi alla posizione processuale delle parti – ossia se la falsità del documento sia fatta valere in via principale dall’erede legittimo che a tal fine abbia proposto l’azione, oppure se, introdotto dall’erede testamentario un giudizio per il riconoscimento dei propri diritti ereditari in forza della scheda testamentaria, questa sia stata disconosciuta dall’erede legittimo.

Un secondo orientamento, pur senza iscrivere il testamento olografo nella categoria degli atti pubblici, ne evidenzia tuttavia la (particolarmente elevata) rilevanza sostanziale e processuale, di talché la contestazione della sua autenticità si risolve in un’eccezione di falso, e deve essere sollevata soltanto nei modi e con le forme di cui all’art. 221 e ss. cod proc. civ., con il conseguente onere probatorio a carico della parte che contesti la genuinità della scheda testamentaria”.

Ed è proprio tale secondo indirizzo che venne sposato, seppure in obiter dictum, dalle Sezioni Unite nella decisione n. 15169 del 23/06/2010.[1]

[3] Chiamata a pronunciarsi nuovamente, e questa volta specificamente, sul punto, la Suprema Corte a Sezioni Unite si discosta non solo dal (certamente rilevante) precedente del 2010, bensì anche da tutte le altre decisioni che si erano schierate sull’uno o l’altro dei fronti citati.

Viene, infatti, individuata quella che dalla stessa giurisprudenza è battezzata come una terza via, fondata su un risalente pronunciato dell’inizio degli anni ’50 del secolo scorso,[2] che ebbe modo di affermare la necessità di proporre un’azione di accertamento negativo della falsità.

Pur nella consapevolezza delle obiezioni mosse illo tempore a tale ipotesi di soluzione del problema, è convincimento del collegio che la proposizione di una azione di accertamento negativo che ponga una questio nullitatis in seno al processo (anche se, più correttamente, sarebbe a discorrere di una quaestio inexistentiae) consente di rispondere:

  • da un canto, all’esigenza di mantener il testamento olografo definitivamente circoscritto nell’orbita delle scritture private;
  • dall’altro, di evitare la necessità di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso”, non potendosi esse “relegare nel novero delle prove atipiche” (così la citata Cass. ss.uu. 15161/2010 al folio 4 della parte motiva); dall’altro, di non equiparare l’olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa;
  • dall’altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa;
  • infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all’oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita “risorsa non illimitata”.

[4] Le Sezioni Unite del 2015 giungono dunque ad affermare il seguente principio di diritto:

La parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa”.

In questo quadro, occorre interrogarsi su quale sia la reale portata della recente pronuncia n. 35649 del 05/12/2022, ove nuovamente si richiama l’occorrenza della querela di falso. Tale decisione, per giungere alla conclusione riportata in massima, fa espresso riferimento esclusivamente alla citata decisione a Sezioni Unite del 2010, non richiamando in alcun modo quella del 2015. Si tratta di un voluto discostamento da tale orientamento, ovvero di una superficiale dimenticanza? La natura specifica del caso affrontato dalla Suprema Corte in tale assesto (che non riguardava espressamente l’ipotesi di un testamento olografo) fa propendere per tale seconda interpretazione: chiamati a pronunciarsi su un caso particolare, gli Ermellini hanno richiamato e fatto proprio il precedente (autorevole in quanto a sezioni unite)  che meglio si adattava alle pratiche esigenze di giudizio, probabilmente senza adeguatamente valutare le conseguenze più generali che un simile pronunciato avrebbe potuto riverberare sul dibattito, mai sopito, in ordine alle modalità di impugnazione di un testamento olografo non autentico.[3]

Può, pertanto, oggi dirsi consolidato (seppur non esente da critiche), l’orientamento che vede nella domanda di accertamento negativo il mezzo processuale necessario e sufficiente per contestare la genuinità del testamento olografo.[4]

[1]Le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 cod. civ., né quella processuale di cui all’art. 214 cod. proc. civ., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo. Nell’ambito delle scritture private deve, peraltro, riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l’autenticità”.

[2] Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 1545 del 15/06/1951

[3] Per una autorevole lettura critica della pronuncia a Sezioni Unite del 2015 si rinvia a S. Patti, Falsità del testamento olografo e ripartizione dell’onere della prova, nella rivista Familia, Pacini Editore, fascicolo 1-2 del 2016, pagg. 123 ss., https://www.rivistafamilia.it/wp-content/uploads/2016/07/8_Patti_giur.pdf

[4] Oltre alla pronuncia in commento, si rinvengono, conformi alle Sezioni Unite del 2015: Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 24835 del 17/08/2022; Cass. Civ., Sez. 6, Ordinanza n. 32827 del 09/11/2021; Cass. Civ., Sez. 6, Ordinanza n. 18363 del 12/07/2018; Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 22197 del 22/09/2017; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 109 del 04/01/2017

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