20 Ottobre 2020

Gratuito patrocinio: nessuna liquidazione al legale se la mediazione ha esito negativo e se non è seguita dalla fase giudiziale

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. II, 31 Agosto 2020, n. 18123. Pres. e Rel. Gorjan

Soggetti, competenza e giurisdizione civile – Avvocato – Mediazione obbligatoria – Gratuito patrocinio – Compenso.

(D.P.R . 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, 75, 82; D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, artt. 5, 8, 17, co. 5 bis)

Il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non ha diritto al compenso professionale a carico dell’Erario per l’attività svolta nella fase della mediazione obbligatoria, cui non è seguita la proposizione della lite.

CASO

Il ricorrente è un avvocato che, in sede di mediazione obbligatoria, aveva rappresentato un cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Espletata negativamente tale procedura, la lite non era stata promossa, perché le parti avevano raggiunto un accordo stragiudiziale

La successiva istanza di liquidazione dei compensi secondo la disciplina del patrocinio a spese dello Stato veniva respinta dal Tribunale. Anche l’impugnazione non veniva accolta, con la motivazione  che la legge non consente la liquidazione dell’attività professionale svolta in ambito mediatorio.

L’avvocato proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in tema di patrocinio a spese dello Stato (artt. 74 e 75, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 – T.U. spese di giustizia) doveva portare al riconoscimento del diritto al compenso anche per lo svolgimento della sola fase di mediazione. Si tratta, infatti, di uno strumento che va espletato obbligatoriamente ai fini della successiva instaurazione del procedimento civile e, quindi, di natura para-giurisdizionale. La pronuncia impugnata sarebbe, infine, in contrasto con la disciplina europea, in quanto, solo nel nostro ordinamento, tale attività professionale rimane priva di remunerazione.

SOLUZIONE

La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non ha diritto al compenso professionale a carico dell’Erario per l’attività svolta nella fase della mediazione obbligatoria. Si tratta di una di regola assoluta che non ammette deroghe, compreso il caso in cui, dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, non segua la fase giudiziale.

La Suprema Corte ricorda, inoltre, che l’art. 74 cit. limita l’operatività del beneficio del gratuito patrocinio ai procedimenti penali e civili, sul presupposto che la lite in ambito giudiziario sia già iniziata. Tale limite non può essere superato dal giudice mediante attività interpretativa, poiché, così facendo, si inciderebbe sulla sfera riguardante la gestione del denaro pubblico, materia riservata al Legislatore e presidiata da specifiche previsioni costituzionali (Cass. 23 novembre 2011, n. 24723;  Cass. 11 agosto 2004, n. 15490, Cass. 4 luglio 2019 n. 17997).

Peraltro, la disciplina contenuta nel D.lgs 4 marzo 2010 n. 28, relativa alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, non ha omesso ogni considerazione sul patrocinio a spese dello Stato. Ha, al contrario, espressamente richiamato l’istituto nel comma 5-bis dell’articolo 17, per stabilire che, quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda (o è disposta dal giudice), la parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio in questione non deve pagare all’organismo di mediazione alcuna indennità.

In ogni caso – sottolineano  i Giudici di legittimità – il D.lgs. n. 28/2010 prevede espressamente che da tale procedimento non possa conseguire alcun onere economico a carico dello Stato.

Secondo la Corte è manifestamente infondata anche la questione relativa all’illegittimità costituzionale delle norme, in tema di patrocinio a spese dello Stato, che non consentirebbero la liquidazione del compenso al difensore anche per la fase di mediazione obbligatoria quando non consegua la lite giudiziale.  L’istanza del ricorrente si fonda, infatti, su un presupposto fattuale che non si è verificato. Alla procedura di mediazione obbligatoria conclusa senza alcun accordo, sarebbe dovuta conseguire la lite, che, tuttavia, non intervenne mai, poiché le parti raggiunsero ante judicium un accordo stragiudiziale.

In forza di tali argomentazioni, la Suprema Corte ritiene che al difensore non debba essere liquidato il compenso per la fase della mediazione cui non sia seguita la proposizione della lite, poiché non consentito dall’attuale assetto normativo in materia. La richiesta di compenso riguarderebbe, infatti, un’attività professionale stragiudiziale.

QUESTIONI

La tesi, recepita dalla pronuncia in rassegna, che il patrocinio a spese dello Stato non trovi applicazione con riguardo all’attività difensiva spiegata nel quadro dei procedimenti di mediazione obbligatoria si fonda principalmente sull’assenza di previsioni normative ad hoc. In particolare, secondo l’interpretazione ivi accolta, la scelta di non estendere la disciplina sul gratuito patrocinio anche alla procedura di mediazione, troverebbe conferma nella previsione di cui all’art. 17, D.lgs n. 28/2010, secondo cui, se da un lato, non è dovuta alcuna indennità all’Organismo di Mediazione a carico della parte ammessa al gratuito patrocinio; dall’altro, nulla viene prescritto in merito al compenso dell’avvocato che abbia assistito la parte nel corso del procedura.

L’art. 85 T.U. Spese di giustizia e l’art. 29 del Codice Deontologico Forense stabiliscono, inoltre, che, in caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato, l’avvocato non può ricevere dal cliente alcun compenso. Si dovrà, invece, rivolgere all’autorità giudiziaria per la liquidazione ed all’Erario per il pagamento. In difetto, incorrerebbe in un grave illecito disciplinare, sanzionato con la sospensione dall’esercizio della professione.

Tuttavia, il co. 1 dell’art. 75, T.U. spese di giustizia stabilisce che “l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse“.

Secondo la Corte, l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato svolge nell’interesse del proprio assistito non è, dunque, ammessa, al patrocinio a spese dello Stato, in quanto esplicata al di fuori del processo: il compenso, in questi casi, dovrebbe essere a carico del cliente (Cass. 23 novembre 2011, n. 24723 cit.; Cass. 19 aprile 2013, n. 9529).

Nondimeno, se l’attività viene espletata in funzione di una successiva azione giudiziaria – come nel caso della mediazione obbligatoria – ben potrebbe essere ricompresa, siccome funzionalmente collegata al procedimento apud iudicem, tra quelle beneficianti della liquidazione del compenso a carico dello Stato. In tale ipotesi, al professionista non è, allora, consentito chiedere il compenso al cliente.

Bisognerebbe, dunque, verificare se l’attività di mediazione, alla quale non segua una fase giudiziale, possa essere qualificata, in ogni caso, come attività processuale o da/a questa derivata o collegata.

La soluzione professata dalla sentenza in commento, nel solco della precedente giurisprudenza, sia di legittimità (cfr. Cass. 23 novembre 2011, n. 24723 cit.; Cass. 19 aprile 2013, n. 9529 cit.; e v. pure Tribunale Tempio Pausania 19 luglio 2016, in www.adrprogestitalia.com; Tribunale Roma 11 gennaio 2018, in De Jure) è stata oggetto di severe censure in dottrina, che ha sottolineato come, non solo vi sarebbero numerose incongruenze con le direttive comunitarie in materia di mediazione n. 2008/52 e 2003/8, ma risulterebbero violati anche gli artt. 3 e 24 Cost. (Bertoldini-Morello, La Cassazione nega l’ammissione al patrocinio a carico dello Stato per le prestazioni stragiudiziali: dubbi di legittimità sul piano costituzionale, amministrativo e comunitario, in Foro Amm. CDS,  2012, 35). Il diritto alla difesa non può, infatti, subire condizionamenti, né essere ostacolato e limitato dalle condizioni economiche disagiate del titolare del diritto.

Trattasi, in definitiva, di soluzione difficilmente condivisibile, in particolare, alla luce degli effetti che essa determina.

Appare, infatti, paradossale ed irragionevole – oltre che un evidente disincentivo rispetto ad un istituto che il legislatore sta cercando di promuovere in vario modo – riversare sui privati (il difensore o la parte abbiente, in virtù del vincolo di solidarietà) un onere che dovrebbe essere sostenuto dallo Stato (sul tema v. Tribunale Firenze 13 gennaio 2015, in Diritto & Giustizia 2015).

Non è invero corretto ritenere che il summenzionato art. 75 escluda del tutto il patrocinio a spese dello Stato per l’attività stragiudiziale. Tale norma si limita, infatti, ad individuare i casi assimilabili alla fase giudiziale vera e propria ai fini dell’estensione del beneficio. In particolare, l’elencazione contenuta al secondo comma non pare tassativa, andando ad individuare un minimo comune denominatore (e quindi la ratio dell’estensione del patrocinio a spese dello Stato) nella circostanza che “l’interessato debba o possa essere assistito da un difensore”. (P. Comoglio, Patrocinio a spese dello Stato e mediazione obbligatoria: uno stop inatteso, in Quot. Giur. 2 febbraio 2018).

Tale esigenza sussiste anche nel caso della mediazione, in cui l’assistenza del difensore è addirittura obbligatoria. In definitiva, parrebbe ragionevole adottare un’interpretazione estensiva del secondo comma dell’art. 75, applicandolo a tutti i casi in cui l’assistenza di un difensore sia obbligatoria, anche se riferita a un procedimento stragiudiziale.

Va, peraltro, precisato che la Suprema Corte ha, in passato, considerato come giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, sono strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè quelle attività svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio. Sulla base di tale presupposto, essa ha, ad es., riconosciuto come dovuto il compenso per l’assistenza e l’attività svolta dal difensore per la transazione della controversia già instaurata. (Cass. 23 novembre 2011, n. 24723 cit).

In tale ottica, appaiono particolarmente incisivi l’art. 47 della Carta di Nizza e la disciplina con cui l’Italia ha recepito la direttiva europea sul Legal Aid (D. lgs. 27 maggio 2005 n. 116), volta a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE), che hanno esteso il patrocinio dello Stato ai procedimenti stragiudiziali, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge, ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa. Tali previsioni avvalorerebbero l’interpretazione secondo cui l’aiuto statale alla fase pre-processuale per le sole liti transfrontaliere e non per quelle domestiche violerebbe i principi dettati dall’art. 3 della Costituzione: appare, infatti, del tutto irragionevole che l’attività difensiva svolta nei procedimenti stragiudiziali obbligatori relativi a controversie transfrontaliere sia ammessa al patrocinio a spese dello Stato e che, invece, non lo sia quella svolta con riferimento a controversie esclusivamente interne.

Anche il Consiglio Nazionale Forense, con circolare 6 dicembre 2013, n. 25, richiamando espressamente la direttiva sul Legal Aid, ha sostenuto che l’assistenza dell’avvocato, obbligatoria per la mediazione pre-processuale o demandata dal giudice, debba rientrare nel patrocinio a spese dello Stato.

Né conforme ai precetti dell’art. 3 Cost. può reputarsi la previsione del supporto dello Stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da un’attività processuale in antitesi ai casi di mediazione, intesa quale condizione di procedibilità, non seguita dal processo.

L’unica interpretazione rispondente ai parametri di cui agli artt. 2, 3 e 24 della Carta fondamentale è, dunque, quella secondo cui l’art. 75 T.U. Spese di Giustizia può essere applicato anche alla fase di mediazione obbligatoria pre-processuale, pur non seguita da alcuna fase giudiziale (in quanto conclusa con accordo). (Tribunale Trieste, 29 novembre 2017, n.6797, in Ilprocessocivile.it 17 maggio 2018; Tribunale Firenze 17 marzo 2014 e 18 marzo 2014, in Guida al diritto 2014, 17; Tribunale di Roma, 30 giugno 2014 in De Jure; Tribunale Bologna 05 giugno 2014; Tribunale Rimini 16 luglio 2014, Tribunale Palermo 16 luglio 2014 in GiustiziaCivile.com 12 febbraio 2015, Tribunale Firenze 26 novembre 2014. Tribunale Palermo 14 febbraio 2017; Tribunale Napoli 06 aprile 2017; Tribunale Reggio Emilia 6 aprile 2017, in n Ilcaso.it; Tribunale Verona 10 marzo 2017 in www.adrprogestitalia.com, Appello Milano 10 maggio 2017, in Ilcaso.it).

Al di là degli aspetti strettamente tecnico-formali, la soluzione adottata dalla Suprema Corte non convince per ulteriori ragioni. Da una parte, va, infatti, a disincentivare il ricorso alla mediazione e a distorcerne le finalità; dall’altra non considera che, ove si realizzi un accordo tra le parti che eviti il processo, lo Stato non dovrà sostenere le spese del giudizio.

La strumentalità del procedimento stragiudiziale doveva, al contrario, essere valutata in astratto e a prescindere dall’effettiva instaurazione del successivo procedimento giudiziale; e ciò per rendere effettivo l’obiettivo che si è posto il legislatore di favorire al massimo il ricorso a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e di dare alle parti l’effettiva possibilità di definire amichevolmente le proprie liti.