30 Gennaio 2018

Finanziamento infruttifero soci: presupposti e modalità operative

di Redazione Scarica in PDF

Le S.r.l. possono essere finanziate dai soci nel rispetto delle previsioni di cui al Provvedimento della Banca d’Italia del 08.11.2016: pertanto, se lo prevede lo statuto della società, è possibile la raccolta di risparmio solo presso i soggetti che rivestono la qualifica di socio da almeno tre mesi e detengono una partecipazione pari ad almeno il 2% del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato.

Il contratto di finanziamento non richiede però la forma scritta: l’unico caso in cui, effettivamente, le disposizioni civilistiche impongono la forma scritta è rappresentato dalla previsione di un tasso di interesse superiore al tasso legale (articolo 1284 cod. civ.).

Purtuttavia, si ritiene sempre utile la stipula di un contratto in forma scritta, pur in presenza di un finanziamento infruttifero, in primo luogo per formalizzare la volontà del socio di vedersi restituite le somme di denaro – eventualmente con il vincolo della postergazione ai sensi dell’articolo 2467 cod. civ. -, ed escludere così la natura di apporto a titolo di capitale.

La forma scritta, con previsione della natura infruttifera del prestito, è inoltre consigliata in considerazione delle disposizioni fiscali, nonché di quelle antiriciclaggio in materia di limiti alla circolazione del contante.

Giova infatti a tal proposito ricordare che, dal punto di vista fiscale, l’articolo 45 Tuir, in combinato disposto con l’articolo 1815 cod. civ., introduce una presunzione di onerosità del finanziamento, la quale può essere superata, oltre che facendo ricorso alle risultanze dei bilanci e dai rendiconti, anche producendo il contratto stipulato tra le parti, dal quale risulti la natura non fruttifera di interessi del prestito.

Rileva poi la disciplina antiriciclaggio in materia di circolazione del contante, nel caso in cui i versamenti siano effettuati in contanti e in più tranches, in quanto l’operazione potrebbe essere qualificata come artificiosamente frazionata in mancanza di accordi preventivi dai quali risulti la volontà delle parti di effettuare il versamento (o la restituzione) a determinate scadenze.

Così motivata l’opportunità di ricorrere alla forma scritta, si rende necessario stabilire le modalità concrete di stipula del contratto, soprattutto al fine di minimizzare gli obblighi di pagamento dell’imposta di registro.

Come noto, infatti, in caso di stipula mediante scrittura privata di un contratto di finanziamento infruttifero, è dovuta l’imposta di registro in misura proporzionale pari al 3%, eccetto l’ipotesi in cui la concessione del finanziamento sia prevista da uno scambio di corrispondenza: ricorrendo quest’ultima fattispecie la registrazione è prevista solo in caso d’uso, con pagamento dell’imposta di registro in misura fissa, pari a 200 euro.

È sconsigliabile, invece, ricorrere allo strumento della delibera assembleare, in quanto non idonea “a fondare alcun credito della Srl verso il socio, essendo la Srl onerata della dimostrazione della successiva adesione del socio alla richiesta di finanziamento rivoltagli dalla società” (Trib. Milano 19.6.2017 n. 6865).

Stante quanto appena precisato pare quindi evidente la convenienza a ricorrere alla stipula del contratto per corrispondenza – che, dal punto di vista civilistico, rappresenta sempre una scrittura privata -, ricordando comunque che l’imposta di registro è dovuta nel caso in cui il contratto sia successivamente richiamato in un altro atto soggetto a registrazione stipulato tra le stesse parti.

Il caso tipico è quello della rinuncia del finanziamento da parte del socio in occasione dell’assemblea con la quale si delibera l’aumento del capitale sociale.

Sul punto pare utile richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n. 15585 del 30 giugno 2010, con la quale è stato appunto chiarito che il contratto di finanziamento, seppur stipulato verbalmente, debba essere comunque assoggettato ad imposta di registro proporzionale al 3% se “menzionato in atto di ripianamento perdite, attraverso la rinuncia dei soci a conseguire la restituzione della somma erogata, a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento”.

Di diverso avviso sono stati invece i Giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Piacenza, i quali, con la sentenza 18 febbraio 2014 n. 71/2/14 hanno ritenuto, in un caso simile, che l’atto enunciato non potesse essere soggetto a tassazione, non essendo le parti coincidenti. Ed infatti, nell’atto di finanziamento, la società figurava da mutuataria e i singoli soci da finanziatori, mentre, nel secondo atto, era parte l’assemblea dei soci e non la società.

Inoltre il Consiglio nazionale del Notariato nello Studio n. 208-2010/T del 14 dicembre 2011, ha avuto modo di sollevare le sue perplessità, sottolineando la differenza tra “enunciazione” e mera “menzione”.

È stato quindi ritenuto che il semplice riferimento alle posizione creditorie dei soci (desumibili anche dalle poste passive del bilancio), non dovrebbe costituire … l’enunciazione di un atto di mutuo autonomamente tassabile, ma un’ordinaria premessa per la quantificazione della somma da destinare appunto alla ricostituzione del capitale”.

È comunque opportuno ricordare che l’imposta di registro non è dovuta se il contratto è richiamato in un altro atto non soggetto a registrazione, come può essere, ad esempio, un verbale di assemblea dei soci.

Pertanto, come suggerito dal Consiglio Nazionale Notarile con il richiamato documento, è opportuno che la rinuncia al credito o, comunque, il suo utilizzo per la ricapitalizzazione, avvenga al di fuori del verbale notarile, e, quindi, risulti da un verbale dell’assemblea dei soci non soggetto a registrazione.

Alternativamente, il socio può rinunciare al finanziamento mediante scambio di corrispondenza: il suo versamento andrà quindi ad alimentare una riserva per “versamenti in conto futuri aumenti di capitali”, la quale, appunto, sarà utilizzata per l’aumento del capitale.

Articolo tratto da “Euroconferencenews“