27 Settembre 2022

Il contratto privo dell’indicazione del prezzo è nullo

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 2022, n. 39441 – Pres. Manna – Rel. Fortunato

Parole chiave: Usufrutto di bene immobile – Costituzione – Contratto – Determinatezza o determinabilità dell’oggetto – Dichiarazione di avvenuto pagamento del prezzo – Insufficienza

Massima: “Nel contratto di costituzione di usufrutto di bene immobile a titolo oneroso, l’indicazione del prezzo, quale elemento essenziale, deve risultare per iscritto, non essendo sufficiente, a tale scopo, la semplice dichiarazione di avvenuto pagamento del corrispettivo, che, in assenza di altre indicazioni circa il suo effettivo ammontare o circa i criteri di determinazione dello stesso richiamati dai contraenti, non è idonea a integrare i requisiti imposti a pena di nullità dal combinato disposto degli artt. 1346 e 1350 c.c.”.

Disposizioni applicate: cod. civ., art. 978, 1346, 1350, 1418

CASO

Sostenendo che il figlio e la nuora, dopo avere acquistato un immobile, lo avevano costituito usufruttuario dello stesso, mediante scrittura privata contenente la dichiarazione di avvenuto pagamento del prezzo pattuito, colui che si affermava titolare del diritto agiva in giudizio perché ciò venisse accertato.

I convenuti, costituitisi, eccepivano la nullità del contratto, in quanto privo dell’indicazione del corrispettivo e affermando che, in realtà, esso non era mai stato pagato.

La domanda attorea veniva accolta in primo grado, con sentenza confermata all’esito del giudizio di appello.

La pronuncia di secondo grado veniva gravata con ricorso per cassazione, con il quale i proprietari dell’immobile lamentavano la violazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., in quanto, essendo richiesta la forma scritta ad substantiam per la valida conclusione di un contratto di usufrutto a titolo oneroso avente per oggetto un bene immobile, il prezzo, quale elemento essenziale, doveva necessariamente essere indicato.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la mera dichiarazione di avvenuto pagamento del corrispettivo del diritto di usufrutto contenuta nella scrittura privata costitutiva, non accompagnata da alcuna indicazione che consenta di individuarne o di stabilirne l’entità, non vale a integrare il requisito di forma prescritto ai fini della valida conclusione del contratto.

QUESTIONI

[1] In una fattispecie in cui i proprietari di un immobile si opponevano alla richiesta di accertamento del diritto di usufrutto sul medesimo bene proposta da colui che se ne affermava titolare in forza di scrittura privata che, pur contenendo la dichiarazione che il corrispettivo era stato pagato, non ne precisava l’importo, i giudici di legittimità, con la sentenza che si annota, hanno affermato che la mancata indicazione del prezzo pattuito nel contratto rende quest’ultimo nullo per difetto di forma.

Stante, da un lato, la natura onerosa del negozio oggetto di controversia (evincibile dal fatto che, nell’atto costitutivo del diritto, era stato dato atto, per l’appunto, dell’avvenuto versamento del corrispettivo asseritamente pattuito) e considerata, dall’altro lato, la necessità di concludere per iscritto il contratto con cui viene costituito il diritto di usufrutto su beni immobili, in virtù di quanto espressamente previsto dall’art. 1350, n. 2), c.c., si trattava di valutare se – come ritenuto sia dai giudici di primo che di secondo grado  – la dichiarazione dei presunti concedenti di avere ricevuto il pagamento del prezzo fosse sufficiente a reputare integrato il requisito di forma quanto al corrispettivo.

È opportuno premettere, in linea generale, che il prezzo, nei contratti a titolo oneroso, non può essere considerato sempre e comunque elemento essenziale del negozio: valga, a titolo di esempio, la disposizione dettata in materia di appalto dall’art. 1657 c.c., che si occupa proprio del caso in cui le parti non abbiano convenuto la misura del corrispettivo, né le modalità per determinarlo, sicché la sua individuazione va effettuata, in prima battuta, sulla base delle tariffe esistenti o degli usi e, in seconda battuta, dal giudice.

Anche la disciplina della compravendita comprende una norma volta a regolare le ipotesi nelle quali le parti abbiano omesso di determinare espressamente il prezzo: si tratta dell’art. 1474 c.c., peraltro applicabile quando il contratto abbia per oggetto cose che il venditore vende abitualmente (nel quale caso, in assenza di una sua determinazione convenzionale o di un atto della pubblica autorità che lo stabilisce, il prezzo si presume corrispondente a quello normalmente praticato dal venditore) o che hanno un prezzo di borsa o di mercato (dovendosi, in tale caso, fare riferimento ai listini o alle mercuriali del luogo in cui dev’essere eseguita la consegna o di quelli della piazza più vicina). La fattispecie considerata dal comma 3 dell’art. 1474 c.c., invece, presuppone che le parti, nel contratto, abbiano espressamente fatto riferimento all’applicazione del giusto prezzo (anche, al limite, utilizzando espressioni equivalenti, quali prezzo congruo, adeguato, conveniente, purché si tratti di beni suscettibili di rientrare in una delle previsioni dettate dai commi 1 e 2 dell’art. 1474 c.c.), rappresentandosi proprio quel concetto e non un altro e senza che possano assumere rilievo accordi successivi (utili, casomai, a evitare che si debba ricorrere all’intervento di un terzo per la determinazione del prezzo, ma non già a integrare l’accordo cui fa direttamente riferimento la norma).

La disposizione da ultimo citata, peraltro, ha natura derogatoria e viene, dunque, considerata di stretta interpretazione (come ribadito, da ultimo, da Cass. civ., Sez. II, 12 ottobre 2021, n. 27722), visto che le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 7246 del 26 marzo 2007, hanno affermato che, nella compravendita, il prezzo è elemento essenziale, di modo che, quando per essa è imposta la forma scritta ad substantiam, anche il corrispettivo deve risultare per iscritto e per intero, non essendo sufficiente che del requisito formale partecipino le sole manifestazioni di volontà di concludere il negozio formalizzate dalle parti contraenti.

Tale principio è reputato estensibile a ogni contratto di scambio, ivi compreso quello con cui viene costituito un diritto reale a titolo oneroso.

D’altro canto, va considerato che, affinché il contratto sia valido, non è indispensabile la determinatezza del suo oggetto, ovvero dei suoi elementi essenziali, essendo sufficiente, a tale scopo, la loro determinabilità, sia pure sulla base di quanto risulta dal contratto stesso, non potendosi fare ricorso a elementi estranei al documento: tale principio, con riferimento ai contratti formali, viene declinato nel senso che il documento negoziale, se non contiene esso stesso elementi o criteri prestabiliti che consentano l’individuazione e l’esatta determinazione dell’oggetto del contratto, deve quantomeno rinviare a un elemento esterno che svolga funzione integrativa del contenuto dell’accordo, tramite la cosiddetta relatio.

Perché ciò risulti ammissibile, tuttavia, non solo dev’essere osservato il medesimo requisito formale (nel senso che anche l’elemento esterno cui viene fatto rinvio lo deve soddisfare), ma è pure necessario che il richiamo abbia per oggetto un dato univoco e obiettivamente individuabile.

In altre parole, i parametri prefissati dalle parti debbono possedere i caratteri della precisione e della concretezza, in modo tale da permettere la futura determinazione dell’elemento non ancora compiutamente definito, senza che debba intervenire un’ulteriore manifestazione di volontà delle parti medesime; ove così fosse, il contratto non potrebbe considerarsi validamente concluso fin dall’inizio, ma andrebbe considerato, tutt’al più, alla stregua di una puntuazione.

In quest’ottica, dunque, la mera dichiarazione di avvenuta corresponsione del prezzo, priva di ogni ulteriore specificazione quanto alla sua entità o ai criteri in base ai quali stabilirla, non può reputarsi sufficiente al fine di assicurare la prescritta determinatezza o determinabilità e, di conseguenza, l’osservanza del requisito formale stabilito dall’art. 1350 c.c.

Nemmeno la regola dettata dall’art. 1362, comma 2, c.c., che consente di tenere conto, nella ricerca dalla comune intenzione dei contraenti, del loro comportamento precedente o successivo alla conclusione del contratto, può sopperire alla carenza della forma scritta, dal momento che la prova dei contratti formali richiede necessariamente la produzione in giudizio della scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori, ovvero surrogata dal comportamento processuale delle parti, nemmeno qualora abbiano concordemente ammesso l’esistenza del diritto oggetto di controversia.

Per questi motivi, secondo la Corte di Cassazione, non poteva reputarsi sufficiente, nel caso di specie, il fatto che i contraenti avessero dato atto del pagamento del prezzo da parte dell’usufruttuario: tale dichiarazione, mentre consentiva di individuare la causa del contratto (la costituzione di un diritto di usufrutto a titolo oneroso, dietro pagamento di un prezzo) e pur presupponendo che un accordo fosse stato raggiunto in ordine all’entità del corrispettivo, non forniva alcuna indicazione né sull’ammontare di quest’ultimo, né sul criterio da impiegare per addivenire alla sua quantificazione. Di conseguenza, non poteva dirsi assicurata non solo la determinatezza, ma nemmeno la determinabilità di un elemento essenziale del contratto nella forma (scritta) imposta dall’art. 1350, n. 2), c.c.

Allo stesso modo, non poteva assumere rilievo il fatto che il valore dell’usufrutto (che non coincide necessariamente con il corrispettivo concordato) fosse determinabile facendo applicazione dei coefficienti rapportati alla vita residua del beneficiario, dal momento che non solo tale criterio, nel caso deciso dai giudici di legittimità, non era stato richiamato nella scrittura privata, ma non costituiva nemmeno un metodo di quantificazione suscettibile di integrare il contenuto dell’accordo, attesa la sua utilizzabilità a meri fini fiscali (e, più precisamente, per il calcolo delle imposte di registro, catastali e ipotecarie).

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