29 Giugno 2021

Conflitto tra giudice penale e giudice civile e regolamento di competenza

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., 24 maggio 2021, n. 14174 Pres. Amendola – Rel. Cirillo

Competenza – Conflitto di competenza con il giudice penale – Regolamento di competenza – Ammissibilità – Rinvio alle Sezioni unite (C.p.c. artt. 42, 43, 45; C.p.p. artt. 28-32)

[1] Si rimettono gli atti al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di devolvere all’esame delle Sezioni unite la questione di particolare importanza e, comunque, “di sistema” concernente l’esperibilità del regolamento di competenza al fine di dirimere le situazioni di conflitto negativo derivanti dalla declinatoria di un medesimo affare giurisdizionale da parte tanto del giudice penale che del giudice civile 

CASO

[1] Disposto, nella fase delle indagini preliminari di un procedimento penale, il sequestro preventivo delle somme esistenti su un libretto di deposito intestato a uno degli indagati e ad altro soggetto estraneo alla vicenda, veniva decretato, nel corso del successivo dibattimento, svoltosi al cospetto del Tribunale penale di Sondrio in formazione collegiale, il parziale dissequestro di quelle somme, con annesso ordine di restituzione delle medesime per la parte corrispondente e di corresponsione degli interessi in allora maturati. Uno dei beneficiari del provvedimento, e, precisamente, quello non coinvolto nel processo penale, si doleva dell’errata quantificazione di detti interessi e ne chiedeva la ri-liquidazione mediante apposita istanza rivolta allo stesso Tribunale, il quale, però, si asteneva dal pronunciare al riguardo, affermando trattarsi di questione di natura civilistica della quale, pertanto, solamente il giudice civile avrebbe potuto conoscere. La medesima istanza era allora svolta, nelle forme del ricorso ex art. 702-bis cp.c., dinanzi al Tribunale civile dello stesso capoluogo, mettendo capo, tuttavia, a una nuova e speculare pronuncia di absolutio ab instantia, fondata sul rilievo che, risolvendosi quelle doglianze nella contestazione del merito della misura di dissequestro adottata dal giudice penale, soltanto quest’ultimo avrebbe potuto conoscerne, una volta adito nelle apposite forme prescritte dall’art. 586 c.p.p.

Parte istante ha ritenuto necessario, a quel punto, far valere le proprie ragioni davanti alla Corte di cassazione, facendo oggetto d’impugnativa, in quella sede, l’ordinanza declinatoria emessa dal giudice civile, a mezzo dell’istanza di regolamento di competenza che è all’origine della pronuncia quivi in rassegna

SOLUZIONE

[1] Ribadito, in linea con una giurisprudenza assolutamente consolidata (la motivazione richiama, a tal proposito, Cass., Sez. un. 25 maggio 2005, n. 10959; Cass., Sez. un., 29 luglio 2013, n. 18189), come quella inerente alla regolamentazione dei confini tra giurisdizione civile e giurisdizionale penale non possa invero dar corpo a una questione di giurisdizione tecnicamente intesa, stante la comune appartenenza dei giudici che sono investiti delle rispettive potestà giurisdizionali all’ordine della magistratura ordinaria, i giudici della Sezione sesta della Suprema Corte hanno ritenuto di doversi immediatamente misurare con la questione se quella del riparto della potestas iudicandi tra giudice civile e penale sia allora da configurare come un problema di competenza (ché solo così, evidentemente, vi sarebbe materia per l’istanza di regolamento proposta nell’occasione).

La questione, come noto, registra la netta contrapposizione di giurisprudenza civile, da un lato, e giurisprudenza penale, dall’altro: la prima, fermamente attestata sul convincimento che la competenza attenga esclusivamente alla ripartizione del contenzioso tra gli organi investiti della funzione giurisdizionale civile (cfr. Cass. civ., 2 agosto 2019, n. 20830; Cass. civ., 28 maggio 2019, n. 14573; Cass. civ., 26 luglio 2012, n. 13329); la seconda, per contro, propensa ad ammettere che anche il riparto della potestas iudicandi tra i giudici ordinari rispettivamente addetti al settore civile e penale abbia ad integrare una questione di competenza propriamente intesa o, almeno, ad essa totalmente assimilata, nel senso della possibilità di attivare, al fine di risolvere i contrasti che possano sorgere a quel riguardo, il medesimo strumento del conflitto di competenza di cui agli artt. 28-32 c.p.p. (così, facendo leva sul generico ed onnicomprensivo riferimento, di cui alla prima di quelle norme, all’eventualità che “due o più giudici ordinari contemporaneamente prend[a]no o ricus[i]no di prendere cognizione di un medesimo fatto attribuito alla stessa persona”, Cass. pen., 15 marzo 2019, n. 31843; Cass. pen., 2 aprile 2004, n. 19547).

Dato conto di questo persistente dissidio ricostruttivo, i predetti giudici hanno ravvisato la sussistenza, nella fattispecie, degli estremi per devolvere l’esperito ricorso all’esame delle Sezioni unite, in vista, chiaramente, della definitiva composizione di quel dissidio medesimo. Ma l’opzione, ben lungi dal potersi riguardare come espediente messo in atto per sfuggire al diretto confronto con la vexata quaestio, ne presuppone una precisa soluzione, che nitida traspare in filigrana dal percorso logico-argomentativo seguito per addivenire alla disposta investitura del supremo consesso, anzi dai contenuti stessi di quell’investitura.

Ed invero, le Sezioni unite non sono chiamate a stabilire, una volta per tutte, se la distribuzione, all’interno dello stesso tribunale (o anche tra tribunali distinti), degli affari civili e penali possa inquadrarsi o meno in termini di ripartizione della competenza; bensì sono chiamate a statuire su una questione che il problema se si abbia, nella specie, a parlare oppure no di competenza presuppone come già e a monte risolto, e risolto, per l’esattezza, in senso negativo. La presente ordinanza interlocutoria si muove, quindi, in perfetta consonanza con la precedente giurisprudenza in materia della Cassazione civile, avvertendo però come a quel modo, così stabilmente acquisito, di vedere le cose si raccordi un problema ulteriore, che esige e rende indifferibile un apposito intervento nomofilattico. Quale poi sia questo problema, è presto detto. Assumere come premessa indiscutibile che la delimitazione delle attribuzioni di giudice civile e penale non abbia mai a ricadere nell’orbita della disciplina della competenza del giudice ordinario, significa fatalmente escludere la disponibilità del regolamento di competenza per la soluzione delle questioni cui tale delimitazione possa dar luogo. Ed evidente è, allora, che il problema che ne deriva sia quello della situazione di stasi in cui il procedimento viene a cadere nel caso in cui il giudice penale, dapprima, e il giudice civile, successivamente, si rifiutino di prenderne cognizione nel merito, nell’impossibilità di adire un giudice superiore che individui in termini vincolanti a chi quella cognizione appartenga.

Detta situazione di stasi potrebbe, invero, essere superata mediante una nuova rimessione degli atti al giudice penale, che, preso atto del sopravvenuto conflitto con il giudice civile, potrebbe attivare il meccanismo approntato dagli artt. 28 ss. c.p.p. per porvi rimedio. Ma, come la Corte giustamente osserva, si tratterebbe di una soluzione “difficilmente compatibile col principio della ragionevole durata del processo”, oltre che implicante un vistoso squilibrio sistematico, nella misura in cui l’intervento della Cassazione in funzione regolatrice del conflitto negativo sarebbe consentito soltanto allorché l’ultima delle pronunce declinatorie che al conflitto abbiano dato corpo provenga dal giudice penale.

L’inutilizzabilità del regolamento di competenza al fine di dirimere le questioni che si aprano in sede di riparto della potestas iudicandi tra giudici civile e penale determina, pertanto, una lacuna del sistema processuale civile non priva, come tale, di rilievo sul piano della stessa legittimità costituzionale di tale sistema. Prima di investire della questione la Corte costituzionale, è parso però opportuno, ai giudici della sesta Sezione, vagliare la possibilità di colmare quella lacuna in via interpretativa, attraverso la valorizzazione del suddetto art. 28 c.p.p. come norma “di sistema”, sulla cui base ridefinire l’àmbito operativo del regolamento di competenza del processo civile, in modo da estenderne l’applicabilità anche ai casi di conflitto tra giudice penale e giudice civile o, almeno, a quei casi, di conflitto negativo tra detti giudici, ove si avrebbe altrimenti il pericolo di quella situazione di impasse processuale di cui poc’anzi si è fatta parola: un intervento di ingegneria ermeneutica di consistente respiro, che ha reso inevitabile la mobilitazione della Suprema Corte nella sua più autorevole composizione.

QUESTIONI

[1] Se si può convenire sul punto che quelli del caso insorgenti tra giudice civile e giudice penale non siano ascrivibili al genus dei conflitti di competenza stricto sensu intesi, lecito è, però, dubitare che quella additata dalla presente ordinanza interlocutoria costituisca la sola via percorribile per uscire dalle situazioni di impasse processuale indotte dallo speculare rifiuto di quei giudici di occuparsi di un medesimo affare.

Il dubbio nasce dalla considerazione di quella che è la tipica materia di tali conflitti negativi. Nella motivazione del provvedimento in rassegna, si legge che assai variegata è la casistica che viene a questo riguardo in gioco. Ma una anche rapida disamina di questa casistica permette immediatamente di rilevare come le fattispecie che vi afferiscono, pur nelle rispettive peculiarità, siano tutte riconducibili a un comune denominatore, dato dall’attinenza ad autentiche situazioni di diritto soggettivo di cui sono richiesti l’accertamento e – ove si abbia a che fare, come è nella stragrande maggioranza dei casi, con crediti pecuniari – la liquidazione. Quand’anche demandato al giudice penale, si tratta pertanto, sempre e invariabilmente, dell’esercizio di vera e propria iurisdictio civile, sicché, se è giusto non parlare di competenza ove il problema riguardi la distribuzione di tale iurisdictio tra sezioni civili e penali dello stesso tribunale, non si vede, al contempo, motivo perché il problema non possa essere affrontato e risolto secondo gli stilemi tipici della ripartizione del contenzioso tra le distinte sezioni civili del tribunale, con quanto ciò significa in termini di devoluzione degli eventuali conflitti al Presidente dell’ufficio giudiziario coinvolto: soluzione da ritenersi, nel suo complesso, praticabile anche laddove detta ripartizione sia fondata su base legale e non “tabellare”, come è per i rapporti tra sezioni civili ordinarie e sezioni specializzate in materia d’impresa (così, sempre, beninteso, con riferimento ai rapporti tra tali sezioni all’interno dello stesso ufficio, Cass., Sez. un., 23 luglio 2019, n. 19882).

Ne discende che, se ciò risponde al vero, sarebbero, nella specie, ravvisabili gli estremi del conflitto di competenza, con tutto quello che ne consegue sub specie dell’ammissibilità del regolamento ex art. 42 ss. c.p.c., ove i giudici convolti appartenessero a differenti tribunali

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