13 Febbraio 2024

Compravendita di terreno inquinato: tra vizi redibitori e mancanza di qualità

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 13 settembre 2023, n. 26402 – Pres. Manna – Rel. Rolfi

Parole chiave: Compravendita – Terreno contaminato – Vizi redibitori – Mancanza di qualità promesse – Differenza – Conseguenze

[1] Massima: “In materia di compravendita, si verte in ipotesi di vizi redibitori quando la cosa consegnata presenti imperfezioni attinenti al processo di formazione, fabbricazione o produzione di essa, ovvero difetti di qualità essenziali per l’uso cui è destinata, sicché esulano dall’ambito della garanzia per i vizi quei fenomeni (quale la condizione di inquinamento ambientale di un terreno, che costituisce fattore sopravvenuto che non incide sul formarsi in sé del bene, bensì su caratteristiche che vengono a porsi in rapporto con le finalità di utilizzo del bene medesimo) che si pongono al di fuori della fase di realizzazione del bene venduto e che su quest’ultimo vengono a incidere in un momento successivo, potendo tali profili assumere rilievo ove riconducibili nell’ipotesi di mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c.”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1489, 1490, 1492, 1494, 1497

CASO

Una società, dopo avere acquistato un complesso industriale costituito da un terreno con sovrastanti fabbricati e avere scoperto che il suolo era contaminato da idrocarburi, conveniva in giudizio la venditrice affinché fosse condannata a effettuare gli interventi di bonifica e a risarcire i danni.

Il Tribunale di Bergamo, facendo applicazione dell’art. 1489 c.c., accoglieva la domanda, con sentenza confermata all’esito del giudizio di appello (fatta eccezione per la mera modifica degli importi riconosciuti a titolo risarcitorio).

La società venditrice proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione degli artt. 1489 e 1494 c.c., dal momento che la Corte d’appello di Brescia aveva qualificato come vizio occulto la contaminazione del terreno, ovvero la necessità di bonificarlo, mentre tale necessità discendeva direttamente dalla legge e non era preesistente alla compravendita (visto che, a quella data, non era stato adottato alcun provvedimento amministrativo che imponesse la bonifica); inoltre, secondo la ricorrente, la società acquirente aveva ottenuto la disponibilità anticipata del sito e verificato lo stato dei luoghi, sicché non poteva parlarsi di vizio non apparente.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la presenza di sostanze inquinanti nel terreno oggetto di compravendita non integra un vizio sussumibile nell’ambito della garanzia delineata dall’art. 1490 c.c., ma consente, al limite, di invocare la mancanza di qualità promesse ai sensi dell’art. 1497 c.c.; in ogni caso, poiché l’obbligo del proprietario di farsi carico degli oneri di bonifica e di rimessione in pristino del sito contaminato sorge solo dopo che l’amministrazione competente ha emesso i provvedimenti previsti dalla legislazione speciale in materia ambientale, prima di allora non è configurabile alcun danno che consenta di agire nei confronti del venditore del terreno (ovvero del responsabile delle condotte che hanno provocato l’inquinamento) per ottenerne il risarcimento.

QUESTIONI

[1] In una fattispecie in cui si discuteva se la presenza di materiali inquinanti in un terreno costituisse o meno fonte di responsabilità risarcitoria in capo alla società che lo aveva venduto, la Corte di cassazione ha compiuto un’approfondita disamina circa l’assimilabilità o meno di tale situazione a un vizio che consenta all’acquirente di invocare la garanzia prevista dall’art. 1490 c.c.

I giudici di legittimità hanno rammentato, in primo luogo, che si è in presenza di un vizio redibitorio quando la cosa consegnata presenti imperfezioni attinenti al processo di formazione, fabbricazione o produzione di essa, ovvero difetti di qualità essenziali per l’uso cui è destinata, mentre esulano dall’ambito della garanzia per vizi quei fenomeni che si pongono al di fuori della fase di realizzazione del bene venduto e che su quest’ultimo vengono a incidere in un momento successivo, potendo tali profili assumere semmai rilievo ove riconducibili nell’ipotesi di mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c.

La condizione di inquinamento ambientale di un terreno, quindi, non integra – da questo punto di vista – un vizio, dal momento che costituisce un fattore sopravvenuto che non incide sulla formazione del bene in sé, ma su caratteristiche che vengono a porsi in rapporto con le finalità di utilizzo del bene medesimo.

La differenza tra i due profili emerge in modo particolare avendo riguardo al regime normativo che caratterizza il trattamento dei terreni inquinati e che prevede uno specifico obbligo di bonifica e ripristino.

A questo proposito, com’è stato chiarito dalla giurisprudenza, l’obbligo di adottare le misure idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento è posto a carico di colui che della situazione medesima sia responsabile, per avervi dato causa, in applicazione del principio per cui chi inquina paga: di conseguenza, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica non può essere imposto al proprietario del sito contaminato che non abbia provocato l’inquinamento, perché gli effetti a suo carico restano limitati a quanto previsto dall’art. 253 d.lgs. 152/2006, che introduce un’ipotesi di onere reale e privilegio speciale immobiliare a garanzia del rimborso delle spese relative agli interventi effettuati in via sostitutiva dall’autorità competente e nei limiti del valore di mercato del sito dopo la loro esecuzione.

In altre parole, chi subentra nella proprietà o nel possesso di un sito contaminato, succede anche nella situazione connessa all’onere reale previsto dalla normativa di settore, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza, ma, non essendo responsabile della violazione, è gravato dell’obbligo di sostenere i costi degli interventi di bonifica e ripristino solo a seguito dell’adozione di un provvedimento dell’autorità competente che ne prescriva l’esecuzione all’esito dell’approvazione del progetto di bonifica.

In questo modo, il profilo della responsabilità per causazione diretta di un danno ambientale viene a essere nettamente distinto da quello – connesso – della garanzia destinata ad assicurare il rimborso dei costi di bonifica eventualmente affrontati dall’autorità competente in caso di inerzia del soggetto autore della contaminazione.

La responsabilità per le condotte di inquinamento ambientale, pertanto, grava su chi le ha poste materialmente in essere, dovendo questi procedere alle operazioni di bonifica e di ripristino ambientale dei siti contaminati, facendosi carico dei relativi oneri e costi.

Nell’ipotesi in cui i soggetti responsabili della contaminazione non siano individuabili o non provvedano direttamente alle operazioni di bonifica, gli interventi debbono essere realizzati d’ufficio dall’autorità competente: in questo caso, scatta la garanzia configurata dalla legge in termini di onere reale, che viene a gravare sul sito, coinvolgendo di fatto anche il soggetto che ne sia divenuto successivamente proprietario.

Quest’ultimo, pur non essendo responsabile della condizione di inquinamento (in quanto ovviamente non abbia concorso pure lui a cagionarla), è tenuto, in presenza di un provvedimento dell’autorità competente che prescriva l’esecuzione degli interventi di bonifica, a sostenere i relativi costi, ovvero a risponderne – nei limiti del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione degli interventi – qualora sia stata l’autorità a darvi materialmente corso.

Questo essendo l’assetto delineato dalla legislazione in materia di inquinamento ambientale, le ricadute che ne derivano nell’ambito della compravendita e sui rimedi azionabili dall’acquirente di un sito contaminato sono chiaramente illustrate nella sentenza annotata.

A questo proposito, la giurisprudenza ha ricondotto la fattispecie di inquinamento ambientale nell’ambito dell’art. 1489 c.c. (in forza del quale se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e che non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del prezzo), ma l’ha perimetrata in considerazione delle peculiari caratteristiche dell’onere reale imposto dalla normativa speciale a tutela dell’ambiente, che non sorge automaticamente per effetto della mera condizione di contaminazione del terreno, ma postula la preventiva emissione di un provvedimento della pubblica amministrazione che ingiunga al proprietario dell’area di procedere alle attività di bonifica.

Di conseguenza, sulla base di questa ricostruzione, la presenza di detto onere può essere affermata, anche ai sensi dell’art. 1489 c.c., solo a partire dal giorno in cui l’amministrazione competente ha adottato il provvedimento di approvazione del programma di bonifica, da cui scaturisce l’obbligo di dare corso agli interventi previsti per il ripristino del sito.

Di converso, l’acquirente del terreno, a maggior ragione se non sia ancora stato attinto dal provvedimento amministrativo che dispone la bonifica, non può agire direttamente nei confronti del soggetto responsabile dell’inquinamento allo scopo di conseguire, sotto forma di risarcimento del danno, l’integralità delle spese di bonifica, non potendo la situazione di inquinamento di per sé legittimare l’operatività della garanzia per vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c. e la conseguente azione risarcitoria disciplinata dall’art. 1494 c.c.

La radicale diversità tra l’onere reale contemplato dalla legislazione in materia di tutela dell’ambiente e la nozione di vizio redibitorio delineata dalla giurisprudenza (in termini, come detto, di imperfezioni attinenti al processo di formazione, fabbricazione o produzione della cosa, ovvero di difetti attinenti a qualità essenziali per l’uso cui la cosa stessa è destinata) impedisce di sussumere la fattispecie scrutinata nell’ambito dell’art. 1490 c.c., facendo applicazione del trattamento normativo afferente a fenomeni che concernono la fase in cui l’oggetto della compravendita viene a esistenza.

In definitiva, l’acquirente di un terreno che lamenti la presenza di sostanze inquinanti:

  • non potrà agire nei confronti del venditore per ottenere il risarcimento dei danni sostenendo che la contaminazione integra vizio o difetto rientrante nel novero di quelli considerati dall’art. 1490 c.c.;
  • potrà agire per la risoluzione del contratto, se e in quanto ricorrano le condizioni prescritte dall’art. 1497 c.c.;
  • potrà agire per il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 1489 c.c., ma solo una volta che sia stato emesso dall’amministrazione competente il provvedimento che determina il suo assoggettamento all’obbligo di farsi carico dei costi degli interventi di bonifica e di ripristino del sito inquinato, quale attuale proprietario dello stesso.

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