15 Gennaio 2019

Bigenitorialità non è divisione paritaria del tempo da trascorrere con il minore

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza n. 30826 del 28 novembre 2018

Provvedimenti relativi ai figli – affidamento condiviso–bigenitorialità – (Art. 337 ter e quater c.c.)

MASSIMA

La bigenitorialità vuol dire presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione nell’adempimento dei doveri genitoriale, ma non comporta necessariamente una divisione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, essendo invece sufficiente prevedere modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore.      

La distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e dei modi di presenza del minore presso ciascuno di essi, ma non è di ostacolo all’affido condiviso, al quale si può derogare, invece, in caso di manifeste carenze di un genitore e persistente rifiuto da parte del figlio.

CASO

Un padre ricorre al tribunale dei minorenni per ottenere l’emissione di un provvedimento limitativo della potestà genitoriale nei confronti della ex convivente e madre della figlia nata dalla relazione. Il tribunale di Milano dispone, invece, l’affidamento esclusivo della minore alla madre, con sospensione dei rapporti della figlia con il padre, salvo incarico ai Servizi Sociali di attivare un intervento di supporto psicologico in favore della minore.

La Corte d’appello di Milano, dopo avere dato incarico al Servizio, accerta l’incapacità dei genitori di comunicare nell’interesse della figlia a causa della persistente ed elevata conflittualità.

Dalla relazione, inoltre, emerge un persistente del rifiuto della minore di relazionarsi con il padre, giudicato dalla stessa “una figura del tutto marginale” nella sua crescita proprio perché, in passato, non si sarebbe mai interessato di lei né sotto l’aspetto scolastico né dal punto di vista socio-relazionale.

Il padre ricorre in Cassazione contro il decreto, ritenendo violato il diritto della minore alla bigenitorialità e ad intrattenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori.

Secondo il ricorrente, la Corte d’appello non avrebbe adottato interventi necessari, o svolto indagini sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia, causate da un atteggiamento non collaborativo della madre e dalla scelta unilaterale della stessa di trasferirsi con la figlia dalla Sicilia a Milano.

SOLUZIONE E PERCORSO ARGOMENTATIVO SEGUITO DALLA CASSAZIONE

La decisione di sospendere i rapporti padre-figlia, e di affidare la minore in via esclusiva alla madre, è stata legittimamente assunta, secondo la Corte, alla luce del manifestato rifiuto da parte della figlia (quasi quattordicenne, all’epoca dell’ultimo ascolto da parte dei Servizi Sociali) di frequentare il padre.

E’ stato accertato, infatti, che la stessa aveva ancora bisogno di “uno spazio di rielaborazione dei vissuti interiori rispetto alla figura paterna”, da attuare attraverso il supporto psicologico.

Tali valutazioni di merito hanno tenuto conto della complessiva condotta di ciascun genitore e dell’ incapacità di entrambi di comprendere i reciproci bisogni e di creare relazioni serene tra loro nell’interesse della figlia.

Quanto alla scelta della madre di spostare la residenza della minore dalla Sicilia a Milano, la decisione della Corte d’appello, ha tenuto conto di una situazione di fatto, venutasi indubbiamente a creare anche per effetto della lontananza tra il luogo di residenza della minore con la madre e quello in cui ha continuato a vivere il padre, ma ha anche rilevato che la figlia si era inserita stabilmente e serenamente nel nuovo nucleo famigliare costituito dalla madre con un nuovo compagno.

La doglianza relativa ai mancati interventi finalizzati ad agevolare la conservazione o il ripristino di una assidua frequentazione tra padre e figlia, anche nel caso di lontananza tra i luoghi di residenza, risulta infondata alla luce del rifiuto della minore di incontrare il padre, rifiuto definito “non forzabile”, in quanto interventi coattivi avrebbero effetti controproducenti, pregiudicando l’equilibrio psico-emotivo della minore.

La Corte richiama i consolidati principi giurisprudenziali secondo cui, in tema di affidamento dei figli, alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi se la sua applicazione sia pregiudizievole per l’interesse del minore.

La distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, ma ai fini dell’affidamento esclusivo, occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario e, in negativo, dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, 17/01/2017, Cass. Civ., Sez. 6, 2/12/2010, n. 24526).

La sentenza precisa, infine, che la realizzazione della cd. bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, non comporta necessariamente una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore.

QUESTIONI

La sentenza in oggetto mette a fuoco due importanti questioni circa l’affidamento dei figli minori. La prima è che la derogabilità alla regola generale della condivisione dell’affido consiste non nella oggettiva distanza tra i luoghi di residenza del figlio e del genitore, ma comporta un giudizio sulla capacità educativa del genitore affidatario e sulle carenze genitoriali dell’altro.

La lontananza delle abitazioni attiene invece alle modalità della frequentazione del figlio presso ciascun genitore a prescindere dalla tipologia di affidamento.

La decisione, inoltre, contiene l’esplicazione del concetto di bigenitorialità, che non significa parità di tempo da trascorrere con il figlio per i genitori.

Con una recente sentenza della stessa sezione, la Corte di Cassazione ha sottolineato che la bigenitorialità non comporta l’applicazione di una proporzione matematica paritaria dei tempi di frequentazione del minore, ma richiama il diritto di ciascun genitore – e del figlio – ad essere presente in maniera significativa nella sua vita.

Ciò che rileva è il modo in cui i genitori hanno in precedenza svolto i propri compiti, le capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un costante rapporto, le abitudini di vita di ciascun genitore e l’ambiente sociale e familiare che ciascuno è in grado di offrire al minore.

Il diritto alla bigenitorialità deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore.

Il giudizio prognostico che il giudice deve compiere nell’esclusivo interesse morale e materiale dei figli minori, riguarda le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione causata dalla disgregazione dell’unione (Cass. Civ. sez. I, 10.12.2018, n. 31902).

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