La protezione internazionale per la donna in fuga da un matrimonio imposto
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile sez. I, ordinanza del 9 maggio 2025, n.12378
Matrimonio imposto- status di rifugiato- protezione sussidiaria
(D.lgs. n.251/2007)
Massima: “In materia di protezione internazionale, ai fini della concessione della misura, il giudice ha il dovere di accertare se la persona in fuga dal suo Paese ha subito minacce o rilevanti pressioni per indurla al matrimonio così da incidere sulla sua facoltà di autodeterminazione e libertà, essendo ciò qualificabile come danno grave per trattamento inumano o degradante.”
CASO
Una donna proveniente dalla Costa d’Avorio aveva chiesto la protezione internazionale in Italia. La Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Palermo aveva respinto sia richiesta dello status di rifugiata sia la domanda subordinata di protezione sussidiaria.
Dalla Commissione la donna ottiene solo un permesso di soggiorno per protezione speciale, in considerazione della durata della permanenza in Italia, della vulnerabilità della ricorrente e del fatto che la stessa aveva avuto da pochi mesi una figlia.
La ricorrente si rivolge allora al tribunale competente narrando la sua vicenda. Nel 2006 era stata costretta a sposare, per volere della famiglia, un uomo dal quale aveva avuto due bambine e dal quale aveva subito ripetute violenze fisiche. Più volte aveva tentato scappare riuscendoci nel 2015 e arrivando in seguito in Italia.
In particolare, la donna raccontava di avere paura di tornare nel suo Paese per non subire i soprusi da parte del padre che l’aveva costretta al matrimonio per saldare un suo debito e di essere uccisa dal marito.
Il tribunale non ha ritenuto credibile la sua storia e ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non rilevando il rischio reale di grave danno ai sensi delle lett. b) dell’art. 14 D.lgs. 251/2007, decreto che da attuazione alla direttiva 2004/83/CE sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di protezione internazionale.
Secondo il tribunale di Palermo la ricorrente non aveva più contatti con il primo marito già da tempo, e le due figlie avute da quel matrimonio vivevano con la nonna per cui non era verosimile la minaccia del marito di non farle vedere più le figlie.
Inoltre, poiché la famiglia della donna aveva accettato la dote offerta dal nuovo compagno non era credibile che la costringessero a tornare con il primo marito.
In Cassazione la donna lamenta che è stato omesso l’esame di una importante prova che dimostrava l’esistenza di un pericolo attuale, e di subire un grave danno nel caso di rimpatrio. In una lettera del 2023 scritta dallo zio paterno della ricorrente, che aveva preso il posto di suo padre dopo la sua morte, risultava che la madre della ricorrente era stata bandita dal villaggio per averla aiutata a fuggire, e si narravano i fatti che confermavano il matrimonio forzato della ricorrente ed in particolare la volontà del padre, e ora dallo zio paterno incaricato della questione, di farla ritornare dal marito violento da cui era fuggita, per ripagare il debito di 10.000.000 di Franchi.
SOLUZIONE
I gravi motivi per ottenere la protezione internazionale.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. Secondo la giurisprudenza di legittimità il danno grave e il trattamento inumano o degradante di cui all’art. 14, comma 1, lett. b), del D.lgs. n. 251/2007, può consistere nella grave violazione della dignità della persona, nella coercizione esercitata mediante minaccia su una persona, diretta a contrarre un matrimonio forzato in base a norme consuetudinarie del Paese d’origine quando le autorità pubbliche non possano o non vogliano fornire protezione adeguata (cfr. anche Cass. Civ. 09/03/2020 n. 6573).
La Corte deduce che se le pressioni poste in essere per costringere al matrimonio la ricorrente abbiano causato forti disagi e sofferenze incidendo sulla sua facoltà di autodeterminazione e di esercizio della libertà personale, mettendola in una situazione di vulnerabilità, ricorrono i seri motivi di carattere umanitario di cui all’art. 5, comma 6, del D.lgs. n. 286 del 1998.
La norma riguarda il caso di concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari.
Nel caso di specie, comunque, i giudici di merito dovevano non solo doverosamente esaminare la documentazione prodotta e valutare il contenuto, ai fini della credibilità della ricorrente, ma anche assumere d’ufficio, informazioni sulla situazione generale della Costa d’Avorio, con riferimento al tipo di problema della richiedente, attraverso i canali indicati dalla legge o mediante altre fonti disponibili, e solo all’esito di tale istruttoria formulare una valutazione adeguata.
La protezione per motivi umanitari.
In tutti i casi in cui la persona da tutelare non rientra nei casi in cui si riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, subentra un’altra forma di tutela che ha carattere di chiusura del sistema, che è il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Con il Decreto Sicurezza del 2018 questo tipo di permesso era stato abolito per limitare e controllare le richieste di asilo in Italia. Nel 2020 sono state corrette alcune norme in conformità con l’art. 10 della Costituzione che sancisce il diritto di asilo dello straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Attualmente sono previsti una serie di permessi di protezione speciale, se siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità (art. 18 TUI).
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