9 Dicembre 2015

Sconfinamenti e Centrale dei rischi

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

È diffuso il convincimento che gli sconfinamenti non siano indice, in assenza di segnali di mancati pagamenti dei creditori, di incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte – requisito, quest’ultimo, necessario ai fini della segnalazione a sofferenza – essendo, al contrario, lo strumento di regola utilizzato per adempiere alle proprie obbligazioni pecuniarie (Trib. Milano 29.8.2014).

La sistematica tolleranza da parte della banca di significativi  sconfinamenti del cliente, cui per anni è consentito un utilizzo largamente superiore al fido formalmente concesso, legittima un ragionevole affidamento del cliente nella prosecuzione di tale tolleranza da parte della banca, sul rilievo che essa presupponga quantomeno la valutazione della banca stessa circa la sufficiente affidabilità creditizia del cliente (cui altrimenti non sarebbe consentito a lungo il pericoloso irregolare utilizzo delle linee di credito accordate, peraltro ben remunerato dall’applicazione dei più alti interessi contrattuali su sconfino e commissioni legate allo scoperto di conto).

Detta scelta di gestione, presupponendo una valutazione di sufficiente affidabilità creditizia del cliente e fondando il legittimo affidamento di questo (anche ancorato alla consapevolezza del maggior lucro della banca) sulla prosecuzione del rapporto alle medesime condizioni, confligge apertamente con il repentino recesso dal rapporto da parte della banca stessa, la conseguente richiesta al cliente di rientro immediato del debito e soprattutto la segnalazione a sofferenza dello scoperto di conto, quantomeno in tutti quei casi nei quali manchino indici evidenti del sopravvenuto mutamento in pejus delle condizioni economico-finanziarie del cliente, sì da concretizzarsi, tale condotta, nella palese violazione di quegli obblighi di buona fede e correttezza nel rapporto contrattuale tra banca e cliente (Trib. Verona 12.11.2015).