9 Aprile 2024

La clausola floor non è uno strumento finanziario: focus giurisprudenziale

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

La clausola floor, talora apposta ai contratti di mutuo (o leasing) a tasso variabile, è un meccanismo di redditività minima del finanziamento scollegato dalla variabilità dell’interesse corrispettivo; configura un limite percentuale al di sotto del quale gli interessi dovuti dal mutuatario non possono scendere, anche in presenza di una sensibile riduzione dei tassi di interesse di periodo.

È ampiamente diffuso il convincimento giurisprudenziale che la presenza di una clausola floor non faccia assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario (con conseguente applicabilità della disciplina del TUF, e in particolare degli obblighi informativi in esso previsti a carico dell’intermediario finanziario). Non può fondatamente ritenersi che, a fronte dell’inserimento di tale clausola, la pattuizione di interessi “minimi” da corrispondersi da parte del mutuatario al mutuante, quale accessorio dell’obbligo di restituzione e remunerazione per la cessione del capitale, snaturino l’essenza del contratto mutandone la natura da contratto reale avente causa di finanziamento a strumento finanziario con cui il cliente, controparte dell’istituto di credito, mira a realizzare un investimento mobiliare economicamente proficuo (ed ha diritto a ricevere informazioni complete e puntuali in relazione all’effettivo grado di rischio assunto, e sull’equilibrio delle condizioni contrattuali così come effettivamente praticate) (ex multis Trib. Genova 5.2.2019: l’introduzione di un tasso minimo in un contratto a tasso variabile non è sufficiente a qualificare il rapporto come strumento finanziario derivato. Il contratto di finanziamento non muta la sua causa tipica e continuerà pertanto ad essere regolato dalle norme del codice civile e dal TUB; Trib. Bologna 6.3.2018; Trib. Modena 19.9.2018; Trib. Rovigo 9.9.2018: la clausola floor non ha natura di strumento derivato implicito, ed è escluso che alteri la causa tipica del negozio cui accede, la quale rimane in via del tutto prevalente quella del mutuo stesso; Trib. Treviso 5.12.2017: deve essere disattesa, in quanto infondata, la suggestiva deduzione per cui l’inserimento nel mutuo di una clausola floor comporterebbe l’integrazione del contratto con uno strumento finanziario derivato e imporrebbe l’osservanza della disciplina contrattuale e precontrattuale prevista dal TUF. Non sono infatti ravvisabili gli stessi elementi strutturali che connotano la tipicità dello strumento finanziario derivato, ovvero il patto per lo scambio, a scadenze prefissate, di flussi di interessi legati a determinati e distinti nozionali di riferimento e l’addebito, all’una o all’altra parte, del conguaglio a debito; Trib. Crotone 27.1.2020: la clausola floor non ha l’effetto di introdurre nella pattuizione uno strumento derivato implicito né, pertanto, è idonea ad alterare la natura del contratto di finanziamento cui accede.; Trib. Pordenone 24.4.2020; Trib. Rovereto 19.12.2020; Trib. Roma 13.10.2020; Trib. Bari 14.9.2022 n. 3318).

Il tasso minimo denominato floor non deve essere confuso con la cosiddetta “opzione floor”, che è uno strumento finanziario derivato che consente a chi lo acquista, a fronte di un premio da versare, di porre un limite alla variabilità in discesa di un determinato indice o di un prezzo, ricevendo la differenza che alla scadenza/alle scadenze contrattuali si manifesta tra l’indice/prezzo di riferimento ed il limite fissato (Trib. Lanciano 4.4.2018). La clausola “pavimento”, infatti, non dà luogo a un’operazione a sé stante correlata a valori che restano esterni al rapporto tra le parti (cosiddetto sottostante); al contrario, la clausola resta legata da un nesso di stretta inerenza rispetto allo svolgimento del rapporto contrattuale e al suo oggetto (onerosa messa a disposizione di denaro), inserendo in punto di interessi un elemento di rigidità che funge da limite – in favore della banca finanziatrice – alla variabilità del tasso (Trib. Trento 6.7.2017; Trib. Sulmona 28.3.2018).

L’equiparazione della clausola floor ad uno strumento derivato è stata reputata « una vera e propria acrobazia logica e dialettica », considerato che non si è in presenza di un contratto d’investimento mobiliare ma di un contratto di mutuo, « dove la prestazione del mutuante è già avvenuta, mentre deve avvenire soltanto quella del mutuatario, e dove l’unica “alea” consiste proprio nell’inadempimento di quest’ultimo; contratto tipico, quindi, con causa e funzione tipizzati, che trova la sua disciplina positiva nelle norme del codice civile e del TUB, nonché in quella secondaria ad opera del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del CIPE e della Banca d’Italia espresse in materia bancaria e creditizia» (così Trib. Bologna 8.2.2018).

In sostanza, con la sottoscrizione di un contratto di mutuo con clausola floor, il mutuatario non intende realizzare un investimento ma mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell’acquisto di un bene e non già, ad esempio, a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera et similia, specialmente quando sussiste una previsione chiara e determinata in ordine al tasso d’interesse, che esclude ogni rilevanza a meccanismi aleatori, giuridicamente rilevanti e facenti parte come tali del contenuto del contratto (Trib. Crotone 27.1.2020; Trib. Forlì 18.6.2020; Trib. Sondrio 12.6.2020; Trib. Bologna 8.2.2018; Trib. Bologna 29.5.2017).

Dirimente, in argomento, è infine quanto stabilito dalle Sezioni Unite n. 5657/2023, secondo cui «costituisce un puro artificio la tesi … secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una “inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore” di una option, e dunque un contratto derivato. Infatti la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell’indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l’evento condizionante è la fluttuazione dell’indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l’evento condizionato la misura del saggio: dunque un patto lecito e consentito dall’art. 1353 c.c.».

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