23 Aprile 2024

Apertura di credito: il recesso per ‘giusta causa’

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

Il primo comma dell’art. 1845 c.c. (Recesso dal contratto) stabilisce che «Salvo patto contrario, la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa».

Si considerano «giusta causa» di recesso quegli eventi che determinano una concreta modificazione delle basi essenziali del contratto, soprattutto in termini di significativa menomazione del rapporto di fiducia normalmente posto a fondamento del contratto di apertura di credito (Molle).

Rilevano, al riguardo, il deterioramento delle condizioni patrimoniali del sovvenzionato (inadempimento; indici di insolvenza); l’aver fornito alla banca informazioni inesatte sulla propria situazione finanziaria; il rifiuto a sostituire/reintegrare le garanzie prestate (art. 1844 c.c.); la destinazione delle somme accreditate diversa da quella concordata (ex multis Cass. n. 4538/1997: è il grado di solvibilità del cliente ad orientare legittimamente le scelte della banca circa il mantenimento o la revoca degli accreditamenti concessi, sicché è legittimo il recesso della banca dal rapporto di apertura di credito di fronte a scarsa solvibilità dell’accreditato; Trib. Roma, 14.2.2011: la banca ha assunto un comportamento conforme al principio generale della buona fede nell’esecuzione del contratto, avendo sollecitato più volte il rientro dalla esposizione debitoria e, solo a seguito del costante inadempimento – idoneamente documentante tramite gli estratti analitici di conto corrente – ha legittimamente esercitato il diritto di recesso attribuitogli dalla legge e dal contratto; Trib. Livorno 9.5.2016: la sussistenza di elementi obiettivi quali la forte esposizione debitoria della società e l’avvenuto protesto di assegni rende di per sé giustificata e comunque non arbitraria e non contraria a buona fede la revoca del fido e la richiesta di rimborso delle somme).

Il recesso per giusta causa dagli affidamenti non può essere intimato dalla banca senza la circostanziata indicazione della motivazione che lo sorregge. Come chiarito dalla Cassazione, la giusta causa è coessenziale alla fattispecie negoziale di cui trattasi, che proprio per la presenza di essa si differenzia dalla fattispecie del recesso ad nutum; non  potrebbe dirsi perfezionata una manifestazione di volontà di recedere (non già ad nutum, bensì) «per giusta causa», che non indichi tale causa. La necessità di detta indicazione nell’atto di recesso si connette direttamente al rispetto dei principi di correttezza e buona fede e all’esigenza che la controparte, cui il recesso è rivolto, sia posta in condizione di difendersi e di contestarlo efficacemente in giudizio (nei termini Cass. n. 5415/2024).

In sostanza, possono integrare giusta causa sia circostanze relative al comportamento dell’accreditato, sia circostanze relative alle condizioni economiche dell’accreditato (sopravvenuta insolvenza o deterioramento delle condizioni economiche) sia infine circostanze oggettive.

La «giusta causa» non va valutata in astratto ma in concreto, in relazione alle particolarità del rapporto, e quindi secondo la natura del credito, la circostanza che questo sia o meno allo scoperto e così via (Molle).

L’esercizio del diritto di recesso è legittimo anche nel caso in cui la banca abbia in precedenza tollerato gli sconfinamenti dell’accreditato. Il solo ritardo nell’esercizio del diritto di recesso – per quanto imputabile al titolare del diritto stesso e tale da far ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato – non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di un’inequivoca rinuncia tacita o modifica della disciplina contrattuale, per cui, in difetto di deduzione e prova di tali evenienze, è legittima la revoca dell’affidamento intimata dalla banca pur dopo avere a lungo tollerato gli sconfinamenti dai relativi limiti da parte del correntista (Cass. n. 23382/2013, che richiama il precedente di Cass. n. 5240/2004; Cass. n. 29317/2020).

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